I ministri della difesa UE che si riuniscono stasera e domani a Copenhagen per il consueto ‘Gymnich’ informale organizzato da ogni nuova presidenza di turno. Discuteranno soprattutto di come offrire all’Ucraina ‘garanzie di sicurezza’, ed eventualmente quali e quando. La questione è sul tavolo ormai da giorni, dopo essere stata sollevata prima dal presidente Zelensky – nel quadro di un possibile cessate il fuoco o armistizio – e poi apparentemente accettata perfino da Donald Trump, in occasione del recente vertice a Washington con i leader europei.
Le ‘garanzie di sicurezza’ per l’Ucraina, tuttavia, sono ancora un bersaglio mobile – per così dire – e i tavoli a cui se ne discute sono più di uno. Le possibili ‘garanzie’ presentano infatti almeno tre dimensioni: ce n’è una più immediata, e cioè come continuare a sostenere Kiev di fronte alla lenta ma inesorabile avanzata delle forze russe e ai continui bombardamenti delle città ucraine. A questo fine, gli europei avrebbero proposto a Trump di acquistare in prima persona i sistemi di difesa antiaerea (e di eventuale offesa aerea) e di cederli poi a Zelensky, disinnescando in questo modo uno degli argomenti usati dallo stesso Trump, che anche di recente ha accusato Zelensky di aver ‘truffato’ Washington e promesso di non dargli più un soldo. L’Unione europea, per parte sua, oltre a garantire un sostanziale sostegno macroeconomico al governo ucraino – quello americano cesserà del tutto a giorni – sta discutendo un nuovo possibile pacchetto di sanzioni contro Mosca (il 19esimo dal 2022) per cercare di esercitare sulla Russia quella pressione che Trump ogni tanto minaccia ma non mette poi mai in pratica.
Come garantire una cessazione delle ostilità
La seconda dimensione riguarda invece l’eventualità, appunto, di un cessate il fuoco: un’eventualità ora più lontana, ma che non si può (e non si deve) ancora escludere. In tal caso, le ‘garanzie’ sarebbero legate al suo rispetto e monitoraggio, in modo da prevenire – o quanto meno scoraggiare – una possibile ripresa degli attacchi da parte di Mosca. Molto, in questo caso, dipenderebbe dai termini dell’accordo, dalla sua durata e dalla sua portata (linea di demarcazione, condizioni da rispettare e così via). Donald Trump non pare contrario, almeno per il momento, all’ipotesi di una cosiddetta “forza di rassicurazione” da dispiegare in Ucraina, a condizione che siano gli europei ad assumersene il carico maggiore (”frontload”), se non esclusivo. Mosca continua invece a ripetere due cose: una presenza militare occidentale in Ucraina sarebbe inaccettabile e che, comunque, non si può decidere nulla senza il suo assenso – quasi che il cessate il fuoco fosse l’equivalente di una resa, evocando il ‘guai ai vinti’ di Brenno.
È in questo quadro che la ‘coalizione dei volenterosi’ aveva cominciato a discutere già mesi fa di come assemblare quella “forza di rassicurazione”, ventilando una serie di opzioni che andavano da una squadra di osservatori, ad un contingente di supporto alle forze ucraine ma dispiegato a distanza dalla linea di contatto, fino ad un corpo d’armata di decine di migliaia di uomini da schierare invece a suo ridosso. Per tutte queste opzioni, tuttavia, la ‘coalizione’ guidata da britannici e francesi non aveva fatto mistero dell’importanza di avere quanto meno un “backdrop” americano – una condizione ritenuta anzi necessaria da molti dei ‘volonterosi’. Per mobilitare i mezzi e le truppe necessarie, in altre parole, la “forza di rassicurazione” chiede a sua volta di essere rassicurata.
La terza dimensione si sovrappone in parte alla seconda. Se l’eventuale cessate il fuoco dovesse diventare un vero e proprio armistizio (parlare di ‘pace’ appare eccessivo), la questione delle ‘garanzie’ diventerebbe infatti parte di un assetto auspicabilmente più duraturo in cui – in cambio di un riconoscimento di fatto, se non di diritto, della perdita di controllo di una parte del proprio territorio (che comunque Zelensky dovrebbe sottoporre ad un referendum) – l’Ucraina chiederebbe ‘garanzie’ credibili per la propria sicurezza futura, indispensabili anche per la necessaria ricostruzione fisica, economica, e civile del paese. In questo contesto, Trump ha da tempo escluso l’ipotesi di un ingresso di Kiev nella NATO, e il suo Segretario alla difesa Hegseth quella di un coinvolgimento diretto dell’Alleanza nella “forza di rassicurazione”. Anche la prospettiva di una futura adesione dell’Ucraina all’UE – che Trump ora pare perfino incoraggiare – è, prima di tutto, ancora molto lontana nel tempo ma, soprattutto, sarebbe del tutto inadeguata ad offrire quella hard security di cui Kiev avrebbe bisogno da subito.
Come garantire l’Ucraina
Francia e Gran Bretagna, potenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, hanno manifestato la loro disponibilità ad offrire certe ‘garanzie’, ed altri paesi – come la Polonia, i nordici, il Canada – potrebbero associarvisi, mentre la Germania sta discutendo intensamente al proprio interno quale ruolo politico e militare potrebbe svolgere. Ma, di nuovo, solo gli Stati Uniti potrebbero conferire a queste garanzie la credibilità strategica desiderata, e Trump si è finora impegnato soltanto (e solo a tratti) ad un vaghissimo “coordinamento” con i ‘volenterosi’ – molto meno di quella garanzia “tipo articolo 5” a cui aveva alluso lo stesso Steve Witkoff alla vigilia del recente vertice a Washington.
E qui entrano in gioco anche i diversi ‘tavoli’ a cui si discute: c’è quello della diplomazia di ‘pace’ promossa da Trump e gestita da Witkoff, che vorrebbe sfociare in un summit a tre per un accordo finale; c’è poi il tavolo dei ‘volenterosi’, senza gli Stati Uniti ma con molti paesi alleati (e non solo europei); c’è quello propriamente UE, che non si limita agli aspetti militari; e ora c’è anche il gruppo di lavoro lanciato giorni fa a Washington e coordinato da Marco Rubio – nella sua duplice veste di Segretario di stato e Consigliere per la sicurezza nazionale – che include esperti militari (Pentagono compreso) e che pare stia cercando di tradurre in termini concreti il riferimento fatto giorni fa da Trump ad un possibile supporto americano “by air”. Si tratterebbe, in pratica, di fornire ai ‘volenterosi’ assistenza diretta in termini di intelligence (satellitare e non), logistica e comunicazioni. I colloqui tecnici svoltisi finora avrebbero dato indicazioni promettenti, ma l’esperienza dimostra che il tavolo che conta di più si trova sempre alla Casa Bianca.
Detto questo – e senza escludere che Putin cerchi invece di imporre un dispiegamento di ‘caschi blu’ ONU comprendente anche militari cinesi, indiani o brasiliani – sia i possibili ‘volenterosi’ che gli eventuali futuri ‘garanti’ avrebbero, almeno sulla carta, le capacità strategiche per supportare e proteggere l’Ucraina. Non solo infatti gli arsenali nucleari di Londra e Parigi avrebbero comunque credibilità sufficiente per dissuadere Mosca (minimum deterrence), ma l’eventuale presenza di forze di paesi alleati in Ucraina richiamerebbe di per sè, sia pure indirettamente, la solidarietà transatlantica implicita nell’articolo 5. Le ‘garanzie’, in altre parole, hanno certo una dimensione militare (e legale) importante, ma hanno anche e soprattutto un elemento politico e di comunicazione, che oggi dipende tanto dalla vanità e volubilità caratteriale di Trump quanto dal coraggio degli europei a difendere l’Ucraina anche per meglio difendere se stessi.
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