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Maurizio Ferraroni: «Unità, consapevolezza e coraggio: così saremo protagonisti del futuro»


CREMONA – Lo scenario attuale: locale, nazionale, internazionale, fra dazi e guerre; i nodi irrisolti, a partire dalla burocrazia asfissiante, e le prospettive; e su tutto la convinzione, e la fiducia da imprenditore vero, che il sistema possa e sappia affrontare le difficoltà guardando al futuro con concretezza: è un’analisi a tutto campo, articolata e precisa, quella del presidente dell’Associazione Industriali della provincia di Cremona, Maurizio Ferraroni.

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Presidente, partiamo naturalmente dal tema più discusso del momento: i dazi. Cosa ci dobbiamo aspettare?
«A prescindere dalle diverse concezioni di economia politica sui dazi, che da sempre dividono opinioni e scuole di pensiero, il dato certo è che l’annuncio da parte di Trump sta turbando le dinamiche commerciali a livello mondiale. Ora che abbiamo a disposizione i documenti ufficiali dell’accordo, possiamo valutare con maggiore precisione le conseguenze per il nostro sistema industriale. E per il momento mi sento di dire che il bicchiere può essere visto come mezzo pieno o mezzo vuoto. Un dato oggettivo è che il tetto tariffario al 15% sugli scambi con gli Stati Uniti riguarda la grande maggioranza dei prodotti europei. Secondo le stime Ice, in Italia sono oltre 6.200 le imprese direttamente esposte a questo nuovo scenario, con circa 143mila addetti che hanno negli Usa il loro principale mercato di sbocco (11 miliardi di euro, pari al 73% del loro export complessivo). Se da un lato è vero che la misura equivale a una stangata di diversi miliardi di euro, con il rischio di riduzione anche di un terzo delle vendite per i comparti più sensibili, dall’altro bisogna ricordare che l’Europa ha ottenuto una clausola di esclusività: per la prima volta gli Stati Uniti hanno fissato un tetto massimo stabile e non cumulabile solo per l’Unione Europea, mentre con altri partner le nuove aliquote si sommano ai dazi già in vigore. A mio parere sarebbe stato un suicidio non raggiungere un primo accordo: dobbiamo ora effettuare un fine lavoro diplomatico per attenuare gli effetti sui settori più colpiti — in particolare quelli caratterizzati da una domanda spiccatamente elastica. Il dollaro deprezzato da inizio anno del 13% rende i nostri prodotti sono ancora meno competitivi. Io però non mi fascerei la testa: gli imprenditori italiani hanno sempre dimostrato una grande resilienza e sono sicuro che anche questa volta troveranno la via d’uscita. Concludendo, penso che queste due sponde dell’Atlantico debbano riavvicinarsi a tutti livelli strategici, la storia ce lo insegna».

Diceva che i nuovi dazi e il dollaro debole avranno effetti negativi su Pil. Qual è, secondo lei, la priorità politica ed economica per una ripresa?
«Pensare che i dazi e il cambio dollaro/euro siano l’esclusivo male dell’Europa è comodo e fuorviante, ve ne sono altri, la politica economica europea ha dimostrato negli anni una serie di criticità che hanno impattato pesantemente su molti settori industriali a partire dall’implementazione del green deal che non ha tenuto conto delle esigenze attuali del tessuto produttivo e delle specificità strutturali dei vari paesi membri. Un esempio per tutti la sciagurata gestione delle fonti energetiche. A livello legislativo manca troppo spesso una valutazione preventiva dell’impatto delle norme: si procede rincorrendo gli effetti, con la conseguenza che non di rado si è costretti a ricorrere a sospensioni per correggere leggi già nate sbagliate. L’Europa non si è fatta promotrice di un’adeguata politica industriale, i dati lo confermano. Nel 2008 il Pil europeo e americano erano pressoché simili, oggi quello statunitense, al netto della Brexit, è superiore al nostro di circa il 30%; la sua incide nza su quello mondiale è rimasta invariata, quella europea si è ridotta dal 26 al 18%, la quota cinese è quadruplicata passando al 17%. La pubblicità utilizzata dalla Byd sintetizza il fallimento della strategia europea: ‘Mentre l’Europa dorme, noi svegliamo il futuro’. Forse è giunto il momento di svegliarsi e di guardare in faccia la realtà».

Quindi?
«Quindi è interessantissimo ‘Il Rapporto sul futuro della competitività europea’ redatto da Mario Draghi, che traccia un’analisi severa e lucida: oltre alle difficoltà contingenti, emerge una profonda fragilità strutturale che espone l’Europa a vulnerabilità e ne indebolisce la posizione nel contesto globale. Lo studio suggerisce le azioni che dobbiamo intraprendere per invertire la rotta, quella attuale ci sta portando ad un tragico declino. Sotto il profilo economico è indispensabile un pacchetto di riforme ambiziose e pragmatiche che pongano l’impresa al centro delle politiche di sviluppo dove la crescita economica costituisce la condizione imprescindibile per garantire i diritti fondamentali dei cittadini».

Si stanno mettendo le basi al nuovo bilancio UE: quali sono le sue prime impressioni?
«Il nuovo quadro finanziario prevede duemila miliardi di euro per il 2028-2034, sembra una cifra importante che si ridimensiona se consideriamo che si tratta di un piano di spesa settennale, sono solo 285 miliardi per anno con un incremento di meno del 10 per cento rispetto al piano precedente approvato nel 2020. Se si paragona la spesa annuale prevista dell’Unione con quella degli Stati, si può notare che essa ha un ammontare simile a quello di un Paese membro come l’Austria, che ha solo il 2 per cento della popolazione dell’intera Unione Europea, un investimento che rappresenta solo l’1,26 per cento del Pil europeo con una spesa pubblica nell’Unione europea pari al 50%».

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Il presidente Pasini ha lanciato un allarme, dalla sede di Confindustria Lombardia, in merito ai rischi di perdere a livello regionale i Fondi di Coesioni che arrivano dall’UE proprio alle Regioni. Lei che ne pensa?
«Esattamente quello che ha espresso il presidente Pasini: un grave errore, che potrebbe aggiungersi ai tanti che l’Unione Europea ha fatto in questi anni. Ricordiamoci innanzitutto che i fondi sono strumenti che, generano sì in media 2,7 euro di Pil per ogni euro investito, hanno come obiettivo la crescita armoniosa ed inclusiva per tutti i cittadini europei. Ora, mettere in discussione le modalità di applicazione dei Fondi di Coesione rischia davvero di essere un grosso errore, il Parlamento europeo vorrebbe infatti trasferire la gestione di queste risorse dalle Regioni al Governo centrale con la conseguenza di creare l’ennesima impasse. Chi meglio di un organismo regionale conosce le priorità della propria area di competenza? Rischiamo davvero di perdere capitali importanti per il nostro territorio, per evitarlo mi auguro che tutte le forze politiche si compattino a livello europeo».

L’Indagine Internazionalizzazione di Confindustria Lombardia rileva che il 65,5% delle imprese lombarde ha cambiato strategia per effetto della geopolitica: come vede l’atteggiamento delle imprese cremonesi verso i nuovi mercati oltre all’Europa ed agli Stati Uniti?
«L’ultimo sondaggio condotto a livello regionale evidenzia un cambiamento epocale nelle strategie delle imprese lombarde. La crescente incertezza geopolitica sta spingendo le aziende a ridefinire le proprie politiche di approvvigionamento, il 30,5% delle aziende locali ha già incluso fornitori europei nella propria supply chain, puntando su una filiera più resiliente e affidabile. D’altro lato si pone l’attenzione a nuovi mercati; se fino a pochi anni fa l’export cremonese si concentrava principalmente sui Paesi europei e gli Stati Uniti, oggi si assiste a una forte interesse verso altri continenti. Le rilevazioni di Confindustria Lombardia segnalano che il 21,3% delle imprese regionali intende investire nei prossimi anni nel mercato indiano, un 10% guarda con attenzione ai Paesi del Golfo. È auspicabile che, in tempi brevi, venga ratificato l’accordo tra l’Unione Europea e i Paesi del Mercosur, un’area economica che complessivamente conta oltre 270 milioni di abitanti e genera un Pil pari a 3.000 miliardi di dollari; evitiamo di farci anticipare dalle politiche commerciali espansionistiche cinesi. In queste dinamiche, l’Associazione Industriali di Cremona svolge un ruolo attivo e importante, perché siamo in grado di accompagnare le imprese locali verso obiettivi ambiziosi, sia che si tratti di mercati maturi che emergenti. In un mondo in rapida trasformazione, la capacità di adattarsi, innovare e internazionalizzarsi non è più una leva opzionale, ma un prerequisito per restare competitivi».

Una riflessione sul nostro Paese?
«In un’Europa che non brilla, l’Italia non ricopre più il ruolo di Cenerentola. Siamo il secondo Paese esportatore e manifatturiero, come imprenditore ne sono orgoglioso».

E per crescere ancora cosa servirebbe? Cosa limita la crescita, secondo lei?
«C’è una zavorra che da decenni rallenta la corsa dell’Italia, il debito pubblico. Gli interessi che lo stato deve sobbarcarsi impediscono di effettuare investimenti strutturali che mancano al Paese; oggi circa l’80% delle entrate è utilizzato per la spesa corrente, c’è poco spazio per gli investimenti. Vi sono però altri freni che ostacolano le imprese e il loro superamento avrebbe impatto zero sul bilancio statale».

A cosa si riferisce?
«Si chiamano giustizia inefficiente e burocrazia asfissiante, due nodi irrisolti da tempo immemorabile che compromettono la competitività e scoraggiano gli investimenti. Una causa civile in Italia dura mediamente più di sette anni e, contemporaneamente, le imprese devono affrontare una burocrazia ipertrofica. Rilevazioni recenti segnalano che in Italia esistono 160.000 leggi, dieci volte di più rispetto alla somma di quelle francesi, tedesche ed inglesi. Il costo annuo relativo all’espletamento delle procedure amministrative da parte delle Pmi è pari a 80 miliardi di euro, una tassa occulta che ostacola lo sviluppo. Riformare la giustizia ed alleggerire la burocrazia non è un favore agli imprenditori, è una necessità nazionale, tra i tanti ostacoli eliminiamo almeno questi due colli di bottiglia prettamente italiani».

Le aziende del nord segnalano che l’offerta lavorativa è carente rispetto alla domanda: corrisponde alla realtà?
«Oggi le imprese, soprattutto nel Nord Italia, segnalano con forza la difficoltà nel reperire manodopera. Questo fenomeno non è un’impressione, ma una realtà concreta che si fonda su due grandi fattori strutturali. Il primo è il calo demografico: le generazioni che entrano oggi nel mercato del lavoro sono numericamente molto più ridotte rispetto a quelle che ne escono, e ciò crea un vuoto che inevitabilmente impoverisce l’offerta. Il secondo fattore è rappresentato dai Neet, ossia quei giovani che non studiano, non lavorano e non si formano; in questo, purtroppo, l’Italia detiene il primato europeo, con oltre due milioni di ragazzi che restano ai margini del circuito produttivo, rinunciando di fatto a contribuire allo sviluppo del Paese. Nel 2024, secondo i dati Istat, il saldo naturale della popolazione ha registrato un nuovo minimo storico nelle nascite con un saldo negativo di 120.000 abitanti in meno. Questa profonda crisi demografica minaccia non solo l’equilibrio economico del Paese, ma la sua identità sociale e culturale. Per questo oggi più che mai lo Stato deve far sentire concretamente la propria presenza, adottando politiche mirate a sostenere la natalità, investendo in modo significativo negli asili nido e introducendo misure fiscali favorevoli alle famiglie. Inoltre pesa la debolezza del nostro sistema educativo, orientamento inadeguato, formazione tecnica svalutata e scarso collegamento con il mondo delle imprese. Noi, come imprenditori, abbiamo il dovere di agevolare, laddove possibile, i nostri dipendenti nella gestione dei figli, contribuendo alla creazione di un contesto favorevole in cui i genitori possano fare il loro compito. Ricordiamoci che l’impresa è un luogo di formazione continua dove si trasmettono competenze, valori e senso di responsabilità. Ognuno deve fare la propria parte».

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Quali sono secondo lei le soluzioni possibili a medio-lungo termine? E nell’immediato?
«Dato per assodato che i lavoratori italiani oggi sono insufficienti, bisogna cambiare il paradigma sull’immigrazione che non può più essere considerata solo un problema, ma deve diventare parte della soluzione. Per trasformare il problema in opportunità servono però regole, bisogna distinguere tra assistenzialismo puro e politiche serie e realistiche d’integrazione, approccio nel quale la demagogia e l’ideologia non devono trovare spazio. Un’immigrazione regolare, svincolata dal puro assistenzialismo e legata invece alla formazione e alla richiesta di lavoratori, può rappresentare una preziosa risorsa economica per il nostro Paese».

Da imprenditore italiano, una riflessione sul mondo dell’imprenditoria del nostro Paese.
«L’Italia è un Paese che ha una straordinaria tradizione imprenditoriale e mille contraddizioni difficili da interpretare. Da sempre la nostra nazione è caratterizzata dalla presenza di uomini capaci di trasformare un’idea in un’impresa e di creare prodotti unici che tutto il mondo ci invidiano. Nel corso degli anni siamo diventati una potenza economica a livello mondiale e uno dei principali paesi esportatori. Mi permetto di fare una riflessione, il motto ‘piccolo è bello’ su cui si è basata da decenni la nostra economia, oggi rischia di non essere più attuale. Con una domanda interna stagnante, la nostra principale opportunità di crescita rimane l’export, una strategia vincente se intensifichiamo gli sforzi per ‘fare sistema’ creando reti tra imprese, consorzi e, perché no, anche processi di aggregazione aziendale. Questo non significa rinnegare l’identità della piccola impresa italiana ma piuttosto farla evolvere per superare quei limiti strutturali che derivano dal nostro nanismo produttivo. Il futuro appartiene a chi sa adeguarsi a un mondo in costante trasformazione cogliendo nel cambiamento non una minaccia, ma un’opportunità di crescita».

Passiamo ora al territorio. Lei è stato eletto presidente da poco, il 12 giugno: non le chiedo un primo bilancio o riflessione ma qualche anticipazione sul lavoro dei prossimi mesi e su quello che state immaginando.
«Siamo in una fase di progettazione. Insieme ai miei vice presidenti stiamo definendo una serie di progetti strategici: ogni componente della squadra ha una delega specifica e lavoreremo in parallelo su più fronti – dall’energia alle relazioni industriali, dalla sostenibilità e dall’economia circolare all’innovazione – per dare concretezza alla nostra visione. Abbiamo in cantiere un progetto ampio con il mondo dei giovani, degli istituti scolastici e delle università attraverso il Gruppo Giovani Industriali e la Fondazione Next Generation 3C, che in associazione seguono proprio questi temi. Ovviamente proseguiremo gli eventi per festeggiare gli 80 anni dell’associazione, fra cui una mostra fotografica in autunno all’interno dell’edificio del Museo del Violino».

Qualche considerazione sul nostro territorio provinciale?
«In un territorio geograficamente anomalo, la Provincia si caratterizza come realtà operosa e solida anche se purtroppo viene spesso sottovalutata e marginalizzata a livello decisionale. È auspicabile quindi che Cremona acquisisca piena consapevolezza del proprio valore e possa contare su una rappresentanza autorevole all’interno degli organismi decisionali. Per ottenere questo risultato dobbiamo presentarci come un territorio coeso e determinato, evitando inutili campanilismi. Abbiamo tutte le potenzialità per essere protagonisti e dobbiamo avere il coraggio di crederci, insieme».

E rispetto ai temi Masterplan e tavoli Ats?
«Il Masterplan 3C, elaborato da The European House Ambrosetti, anche se non equivale a un dogma, costituisce certamente una base di riflessione significativa e ci suggerisce obiettivi importanti per il nostro distretto. Dopo una partenza stentata, che ci ha fatto perdere rilevanti opportunità, sono convinto che lo spirito attuale sia quello giusto e le riunioni stanno procedendo intensamente. In particolare credo sarà molto importante la seconda edizione delle Assise dell’economia cremonese in ottobre. Il modello con i vari tavoli di lavoro ritengo sia davvero utile alla nostra realtà; come Associazione Industriali abbiamo suggerito di inserire anche un tavolo composto da giovani e da studenti per avere la loro opinione ed i loro suggerimenti. Solo attraverso il senso di responsabilità collettiva e la condivisione degli obiettivi potremo garantire una crescita duratura e competitiva per la nostra provincia, questo deve essere un imperativo per tutti».

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