L’ex presidente della Liguria e l’addio alla politica dopo aver patteggiato la condanna per corruzione impropria e finanziamento illecito ai partiti
Quella volta che…
«Era l’estate del 2019. Silvio Berlusconi, in uno dei tanti tentativi mai riusciti (o forse mai davvero voluti) di rinnovamento di Forza Italia, mi aveva appena nominato, con Mara Carfagna, coordinatore nazionale del partito. Il nostro primo atto fu destituire sei coordinatori regionali nominati dal Cavaliere. Fummo immediatamente cacciati, dopo nemmeno un mese. Avevamo spinto troppo sull’acceleratore. Che errore. Mi costò la rottura di un rapporto politico e personale che durava da anni. Berlusconi si sentì tradito. E forse aveva ragione».
E quell’altra volta che…
«Eravamo a pranzo ad Arcore con Denis Verdini, Daniela Santanché, lo scomparso avvocato Niccolò Ghedini il giorno in cui il Senato decretò la decadenza da senatore di Berlusconi come effetto della condanna definitiva per evasione fiscale. Ricordo ore tempestose e la telefonata ad Angelino Alfano per intimargli di lasciare il governo Letta. Ma il ministro se ne guardò bene…».
Gli aneddoti si affollano nella mente. Quando volti pagina e cambi vita, come è stato costretto a fare Giovanni Toti, azzoppato dall’inchiesta giudiziaria che un anno fa lo ha portato alle dimissioni da presidente della Liguria, è forse utile abbandonarsi ad un esercizio di rilettura di fatti o situazioni di cui si è stati protagonisti o testimoni privilegiati. Quasi un bilancio (ovviamente non definitivo all’alba dei 57 anni che compirà a settembre) di un’esistenza a mille all’ora, in un intreccio di politica e giornalismo militante che ha visto l’ex governatore coltivare anche l’ambizione di diventare un leader nazionale. Ed è questa la pagina su cui il giudizio postumo è più onesto e sincero: «Aver pensato di rafforzare la base elettorale del centrodestra creando un partito nuovo (Cambiamo) è stato un errore politico grave. Un esperimento velleitario, frutto di un’analisi sbagliata della realtà, che forse ha addirittura contribuito ad indebolire lo schieramento moderato».
La Milano da bere
Ma nel libro di una vita ci sono tanti altri capitoli che Toti racconta dal suo ufficio genovese accendendo una sigaretta via l’altra. E si parte da quel ragazzo, poco più che adolescente, di Marina di Massa, con un bisnonno deputato alla Costituente e poi ministro dei Trasporti (il dc Armando Angelini), che negli anni Ottanta rimane folgorato da Bettino Craxi. «Erano i tempi della Milano da bere, un’esplosione di individualismo, di energie, la nascita della tv commerciale. Qualcosa di assolutamente affascinante che io associavo all’esperienza di governo socialista» racconta. Si iscrisse al movimento giovanile del Garofano e, già sveglio e intraprendente fin da allora, arrivò presto fino alla direzione regionale della Toscana. «Partecipai da delegato al congresso nazionale del Psi all’Ansaldo di Milano. Ricordo i fischi a Berlinguer…». Ma di lì a poco arrivò Mani Pulite e la pur promettente carriera politica si interruppe.
«Non avevo idee chiarissime su cosa fare. Dopo il liceo classico a Massa, mi iscrissi a Scienze politiche a Milano. La zia della mia fidanzata di allora era una dirigente di Fininvest che in quegli anni era in fortissima espansione. Cercavano giovani per il settore dell’informazione. E così finii a fare uno stage a Studio aperto con Paolo Liguori direttore (che poi mi assunse)». A cui è legato un riconoscente ricordo professionale: «Feci il mio primo collegamento in diretta con gli occhiali da sole da bulletto. Mi presi una solenne lavata di capo e una giusta punizione».
Ma la carriera giornalista non ne fu danneggiata, anzi. In pochi anni Toti si vide affidata prima la direzione di Studio Aperto (2010) e poi, nientemeno, la guida del Tg4 (marzo 2012), sostituendo quell’Emilio Fede che era stato il pioniere e il simbolo dell’informazione berlusconiana. «Stavo andando a cena con Antonio Ricci e Michelle Hunziker quando ricevetti una telefonata inaspettata di Fedele Confalonieri: “Da domani lei guiderà il Tg4”. Era un telegiornale ormai logorato nell’immagine, quasi un simbolo deteriore (era il tempo delle Meteorine, ndr)».
Questione di feeling
Il feeling con Berlusconi era implicito. «Non c’era bisogno di sentirsi. Anche se andavo da lui ogni due settimane. Qualche volta mi chiedeva dei pareri, ma nulla più». Il passo in avanti arriva nei giorni di Natale tra il 2013 e il 2014. «Il presidente a cena mi disse: “A 40 anni ha già diretto due tg nazionali, cosa vuoi fare di più? Non ti piacerebbe impegnarti in politica al mio fianco?». Risposi che l’ultima parola l’avrebbe avuta mia moglie Siria Magri (oggi condirettrice di Videonews, testata giornalistica di Mediaset, ndr). Lei liquidò tutto con una battuta: “Se lo chiede Berlusconi…”. E fu così che diventai consigliere politico di Berlusconi».
Erano gli anni dell’Expo, del renzismo arrembante che a colpi di rottamazione terremotava il sistema politico. «Berlusconi ammirava Renzi» conferma Toti «ma ne temeva l’intraprendenza e il cinismo politico. Firmò con lui il famigerato Patto del Nazareno ma poi ci fu la drammatica spaccatura sull’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale. Posso assicurare, comunque, che mai il Cavaliere pensò a Renzi come suo possibile successore».
Per oltre un anno l’ex presidente della Liguria lavora in un ufficio ad Arcore, la residenza del Cavaliere. «Uscivo alle 3 di notte dopo giornate intensissime che si chiudevano vedendo vecchi film a notte fonda. Passavamo ore ed ore a studiare i tassi di sviluppo di Cina e India. Altro che notti allegre, o forse quando sono arrivato io erano tramontate. Ho conosciuto Berlusconi da vicino. Un gigante, un mostro per capacità di lavoro. Sapeva dosare sapientemente sentimenti e reazioni». Con un limite comune a molti leader: «Vedeva il mondo girare intorno a sé. Si riteneva indispensabile. Io già allora cercavo di spiegare che Forza Italia doveva trasformarsi in qualcosa di diverso, un partito come la Dc. E quando nel 2019 provai a forzare fui messo alla porta».
Nel 2014 Toti si candida alle Europee e viene eletto con quasi 150 mila preferenze. L’anno dopo, a sorpresa, butta lì a Berlusconi che gli piacerebbe candidarsi in Liguria, dove la sinistra è in crisi. Serve il via libera di Matteo Salvini, che arriva senza problemi nonostante fosse pronto a candidare Edoardo Rixi. «Mia moglie apprese della candidatura dall’annuncio del segretario leghista» rivela Toti.
In Liguria
E qui inizia l’avventura ligure. «Una rivoluzione liberale in una Regione ingessata» spiega l’ex presidente. «Abbiamo portato una ventata di novità. Ho copiato un po’ da Berlusconi, un po’ da Blair e un po’ da Renzi». Le parole d’ordine sono: semplificazione, liberalizzazioni, lotta alla burocrazia. «Il successo si basa soprattutto sulla comunicazione. Noi avevamo un prodotto piccolo per stare sugli scaffali. Per questo abbiamo dovuto lavorare molto sull’immagine». Una corsa a rotta di collo, facendo leva sui rapporti con imprenditori. Fino al 7 maggio 2024, quando alla porta dell’albergo di Sanremo dove stava dormendo bussarono gli agenti della Guardia di Finanza: «Una cosa totalmente inaspettata, caddi dalle nuvole. Perché è vero che raccoglievamo molti fondi da privati, ma era tutto registrato. Io continuo a pensare che alla base dell’inchiesta ci sia una interpretazione errata della legge e non ho nulla di cui pentirmi. Non sono mai andato dai privati con il cappello in mano, ho cercato di coinvolgerli in un processo di sviluppo della Regione».
La giustizia ha presentato un conto diverso, Toti ha patteggiato la pena (e mal gliene è incolto perché i suoi ex alleati non hanno apprezzato). Ed ora è pronto per un nuovo capitolo. Con alcuni amici (Paolo Liguori, Andrea Ruggeri, Paolo Romani, Jessica Nicolini, Cristiano Lavaggi) ha creato Philia, agenzia di comunicazione con sede a Milano che lavora con le piccole e medie imprese prevalentemente del Nord ovest. «Un’esperienza professionale che mi riporta alle origini» sottolinea. Poi c’è la collaborazione giornalistica con Il Giornale. Ma nel cassetto c’è anche un libro. Un originale racconto dell’ultimo secolo visto da una visuale particolare molto cara all’ex governatore: Portofino. Dalla perla del Tigullio sono passati Winston Churchill e Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Amintore Fanfani (ma anche Leopoldo Pirelli e Humphrey Bogart). E chissà che da lì non riparta Giovanni Toti per un nuovo capitolo. «La passione per la politica c’è sempre. Chissà…».
CHI E’
La vita
Giovanni Toti è nato a Vireggio il 7 settembre 1968 ma è cresciuto a Marina di Massa. A 17 anni si iscrive alla Federazione giovanile socialista italiana (nella foto la sua tessera). Laureato in Scienze politiche a Milano, inizia a lavorare come giornalista con Paolo Liguori a Studio Aperto, che ha poi diretto nel 2010 per arrivare alla guida del Tg4 nel 2012, al posto di Emilio Fede.
La politica
Toti diventa consigliere politico di Silvio Berlusconi nel 2013. L’anno successivo si candida alle Europee e quindi alla guida della regione Liguria, dove viene rinnovato per due mandati. Il 7 maggio 2024 viene arrestato nell’ambito di una inchiesta sui finanziamenti illeciti ai partiti.
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