La recente sentenza del TAR Lazio n. 15288/2025 segna un passaggio cruciale nel contenzioso tra gli operatori del trasporto pubblico non di linea (NCC) e l’amministrazione statale, a seguito dell’adozione del decreto interministeriale n. 226 del 16 ottobre 2024. Il decreto, sospeso in via cautelare e ora annullato nel merito, ha acceso un ampio dibattito tra giuristi, operatori e istituzioni sulla liceità dell’introduzione di vincoli tecnici e gestionali non previsti espressamente dalla legge primaria.
La legge quadro n. 21 del 1992, come modificata negli anni, disciplina il trasporto pubblico non di linea, affidando al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti la definizione delle specifiche tecniche degli strumenti di tracciabilità del servizio NCC, tra cui il foglio di servizio (ora elettronico). Tuttavia, con il DM 226/2024 il MIT ha esteso indebitamente il perimetro della delega normativa, introducendo misure di natura sostanziale – tra cui obblighi operativi, vincoli temporali e una raccolta massiva di dati personali – eccedenti la mera specificazione tecnica. La reazione del settore è stata immediata, sfociando in tre ricorsi distinti accolti con una decisione di annullamento che rappresenta una pietra miliare nell’equilibrio tra regolazione pubblica e libertà economica.
1. Profili fattuali rilevanti: gli obblighi introdotti dal DM 226/2024
Il decreto oggetto di impugnazione ha previsto:
- Attesa obbligatoria di 20 minuti tra una corsa e l’altra;
- Coincidenza obbligata tra punto di arrivo e punto di ripartenza del servizio;
- Obbligo di utilizzo esclusivo della piattaforma ministeriale per la registrazione;
- Divieto per agenzie e consorzi di stipulare contratti continuativi;
- Conservazione centralizzata dei dati per tre anni in una banca dati accessibile da più soggetti pubblici.
Tali previsioni, sebbene motivate dall’intento di contrastare l’abusivismo e garantire la tracciabilità dei servizi, hanno creato un sistema rigido e invasivo, senza giustificazioni adeguate sotto il profilo tecnico o normativo.
2. Profili giuridici: eccesso di potere, difetto di legittimazione normativa e violazione del GDPR
Il TAR ha chiaramente rilevato che il Ministero ha travalicato i limiti della delega contenuta nell’art. 11, comma 4, della l. n. 21/1992. Tale norma abilita l’Amministrazione unicamente a definire le modalità tecniche del foglio di servizio elettronico, non a disciplinare vincoli sostanziali sull’esercizio dell’attività economica.
In tal senso, la giurisprudenza è consolidata: “Le specifiche tecniche devono intendersi come strumenti di attuazione operativa, non come fonti normative secondarie abilitanti ad incidere su libertà costituzionalmente garantite” (Cons. Stato, sez. VI, n. 6456/2021).
Le limitazioni temporali e spaziali introdotte dal DM 226/2024 hanno rappresentato una compressione illegittima della libertà d’impresa garantita dall’art. 41 della Costituzione. La previsione di un tempo minimo di 20 minuti e l’obbligo di ripartenza dallo stesso punto di arrivo rievocano implicitamente il “vincolo di rientro in rimessa”, già dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza n. 56/2020, poiché lesivo del principio di ragionevolezza e di libertà economica.
Inoltre, la violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, si è manifestata nell’elusione del principio di proporzionalità, cardine del diritto europeo e richiamato, tra l’altro, dalla direttiva 2006/123/CE (servizi nel mercato interno) e consolidato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (C-390/12, Pfleger).
Il decreto, inoltre, ha previsto la conservazione centralizzata dei dati per tre anni, ben oltre i quindici giorni previsti dalla disciplina sul foglio di servizio cartaceo. Tale misura è stata ritenuta sproporzionata, non necessaria e non fondata su una valutazione di impatto (artt. 5, 25 e 35 GDPR). La raccolta e conservazione dei dati di viaggio (comprensivi di orari, localizzazioni e dati personali dei clienti) configura un trattamento ad elevato rischio per i diritti e le libertà degli interessati.
A conferma, il Garante per la protezione dei dati personali ha più volte affermato che i trattamenti su larga scala, specie se attinenti agli spostamenti, necessitano di adeguata base normativa e preventiva DPIA, anche in ambito pubblico (cfr. Provv. Garante 20/12/2018 – Registro dei trattamenti dei comuni).
3. Il principio di tracciabilità: valido ma nei limiti della legge
La sentenza non nega la necessità della tracciabilità del servizio NCC, che resta un obiettivo legittimo, specie a fini di controllo e repressione dell’abusivismo. Tuttavia, tale obiettivo non giustifica l’adozione di sistemi informatici obbligatori e accentrati non previsti dalla legge e invasivi della sfera privata. È quindi legittimo un FDSE conforme alle specifiche tecniche, ma senza vincoli sul fornitore, sulla piattaforma da utilizzare, né sulla durata sproporzionata della conservazione dei dati.
4. Aspetti operativi e impatto sul settore
La decisione ha importanti ripercussioni pratiche:
• Gli NCC non sono più vincolati al rispetto dei 20 minuti di attesa né al punto fisso di partenza;
• Le agenzie e i consorzi possono riprendere la stipulazione di contratti continuativi;
• Il foglio di servizio può continuare a esistere in forma elettronica non accentrata, purché conforme alle specifiche tecniche;
• I controlli tornano ad essere basati su strumenti ordinari, come esibizione a bordo, senza accesso a database centralizzati;
• Le Polizie Locali dovranno svolgere verifiche in tempo reale, senza poter attingere a banche dati di lungo periodo.
5. Ulteriori riflessioni: la crisi del regolazionismo amministrativo e il ruolo del giudice amministrativo come garante delle libertà economiche
La sentenza n. 15288/2025 del TAR Lazio si inserisce in una linea giurisprudenziale sempre più attenta a scrutinare in profondità gli atti normativi secondari che incidono in maniera rilevante sull’esercizio delle attività economiche. Essa rappresenta un esempio emblematico della crisi del cosiddetto regolazionismo amministrativo, fenomeno per cui le amministrazioni, in assenza di una compiuta copertura legislativa, tendono a intervenire mediante atti regolatori, spesso a contenuto tecnicamente vincolante, ma in realtà sostanzialmente normativi.
Nel caso in esame, il Ministero ha adottato un decreto formalmente tecnico ma sostanzialmente normativo, imponendo restrizioni che condizionano profondamente l’organizzazione del servizio NCC. Il giudice amministrativo ha dunque esercitato una funzione di garanzia sistemica rispetto a due fronti sensibili: il rispetto della legalità formale, da un lato, e la tutela delle libertà costituzionalmente protette, dall’altro.
La decisione si distingue per una solida applicazione del principio di legalità sostanziale, che impone che ogni restrizione alla libertà economica sia fondata non solo su una fonte normativa adeguata, ma anche su un impianto argomentativo proporzionato e coerente. Il TAR ha così ribadito che l’Amministrazione non può utilizzare la leva tecnica per surrettiziamente introdurre regole sostanziali, eludendo il confronto democratico e parlamentare che la Costituzione riserva alla legge e agli atti aventi forza di legge.
6. Il rapporto tra regolazione amministrativa e concorrenza nel mercato dei servizi
Non meno rilevante è l’effetto distorsivo che il DM 226/2024 avrebbe avuto sul mercato del trasporto non di linea. L’obbligo di utilizzo esclusivo della piattaforma ministeriale, infatti, introduceva una forma di monopolio pubblico tecnologico non giustificato né da esigenze imperative di interesse generale né da una chiara valutazione di impatto sulla concorrenza.
Tale impostazione è apparsa in contrasto con i principi della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno, che impone agli Stati membri di evitare misure discriminatorie, sproporzionate o restrittive, anche quando si tratti di requisiti tecnici. La Corte di Giustizia ha più volte affermato che l’obbligo di utilizzare un’unica piattaforma pubblica può essere compatibile con il diritto europeo solo se giustificato da esigenze cogenti e se accompagnato da garanzie di trasparenza, neutralità e interoperabilità (v. CGUE, C-620/18, “Airbnb Ireland”).
Nel caso di specie, l’assenza di una procedura comparativa per la selezione del sistema informatico e l’imposizione di un unico gestore pubblico hanno determinato una compressione della libertà di concorrenza, con effetti disincentivanti per l’innovazione tecnologica privata nel settore dei servizi digitali per il trasporto.
7. Verso un nuovo equilibrio tra digitalizzazione e diritti fondamentali
La vicenda del DM 226/2024 si presta anche a una riflessione più ampia sul modello di digitalizzazione amministrativa adottato nei servizi pubblici e para-pubblici. L’idea che la digitalizzazione debba avvenire unicamente attraverso infrastrutture pubbliche accentrate rischia di confliggere con i principi di neutralità tecnologica, interoperabilità e libertà di iniziativa economica.
Come chiarito anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nelle segnalazioni in materia di trasporto e piattaforme digitali, l’introduzione di vincoli tecnologici e gestionali deve sempre tenere conto della pluralità degli operatori e della possibilità per il mercato di sviluppare soluzioni alternative, purché conformi agli standard tecnici richiesti. Una regolazione moderna dovrebbe quindi prevedere standard aperti e certificazione di conformità piuttosto che modelli chiusi ed esclusivi.
In questo senso, la sentenza del TAR invita ad abbandonare una visione paternalistica della regolazione digitale, a favore di un approccio collaborativo e multilivello, in cui la pubblica amministrazione definisca i requisiti minimi e consenta agli operatori di adeguarsi con strumenti liberamente scelti, nel rispetto dei diritti fondamentali e della legalità.
8. Conclusione: oltre la censura, un’occasione per ripensare la governance digitale del settore
La pronuncia del TAR Lazio n. 15288/2025 non si limita a censurare un eccesso di potere, ma offre l’occasione per ripensare l’intera governance del trasporto non di linea in chiave costituzionalmente orientata. Essa segna il fallimento di un tentativo di centralizzazione amministrativa realizzato senza adeguata base legale e senza confronto con gli attori del settore.
Sotto questo profilo, il caso costituisce una lezione anche per il futuro legislatore delegato: l’innovazione tecnologica può – e deve – trovare spazio nella regolazione del trasporto NCC, ma solo se inserita in cornici normative rispettose della legalità, della concorrenza e della dignità degli operatori economici. L’esigenza di tracciabilità, sicurezza e legalità dei servizi non può mai tradursi in una forma occulta di controllo economico o in una compressione indebita di diritti fondamentali, come l’autonomia imprenditoriale e la protezione dei dati personali.
La sentenza, dunque, va letta come un punto di svolta. Non una battuta d’arresto alla digitalizzazione, ma una richiesta di maggiore rigore giuridico, equilibrio sistemico e coerenza istituzionale. Resta ora alla responsabilità del legislatore e dell’amministrazione raccogliere questo monito e avviare un processo regolatorio più maturo, partecipato e conforme ai principi dello Stato di diritto.
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