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La palude dei progressiti. Incapaci di pensare per sistemi e governare per progetti


TARANTO – Claudio Signorile, in una recente intervista. rilancia la nostra idea, quella di Mezzogiorno Federato, di un Italia Mediterranea utile e funzionale per il Paese tutto e per un Europa ponte verso l’Africa.

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Il Mezzogiorno ha un potenziale strategico che va oltre i suoi confini, è una piattaforma economico-logistica naturale che, sviluppata, attrezzata e interconnessa, può funzionare come “sistema paese”. Non si tratta più di integrare il Sud nel resto del Paese, ma di ripensare l’unità nazionale nel segno di una Nuova Europa, rilanciando il progetto di un “Partenariato euro-mediterraneo”. Per queste ragioni e per questi obiettivi, il Mezzogiorno deve lottare a tutti i livelli, sociali ed istituzionali, per promuovere lo sviluppo sostenibile proprio e dell’Italia.

 

La sinistra ha avuto ampia possibilità nel corso degli ultimi anni, di rendere visibile il suo progetto riformatore, le sue capacità di governo, di rafforzare il legame con gli interessi più attivi e dinamici del Paese. Di presentarsi come l’interprete delle speranze di riforma e delle possibilità di sviluppo della democrazia italiana.

Ma se la proposta riformatrice è isolata da un contesto organico di riferimenti che la sostenga e ne allarghi la capacità di orientamento e di influenza; quando la sua debolezza culturale la costringe a contaminazioni continue per poter sopravvivere; quando la contraddittorietà delle forze negli interessi a sostegno, obbligano a troppi compromessi innaturali, allora il riformismo è “debole”, perché vanifica le attese e si disgrega nella sua incidenza pratica.

 

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Giorgia Meloni persegue l’idea di proporsi come un governo di conservatori dell’Occidente. La sinistra arretra incapace di proporsi come alternativa. La sinistra egemone, che pensa di avere una superiorità quasi genetica sulla destra, è malata di presunzione e nei fatti incapace di competere con i conservatori. Si ripropone un rito stanco e già visto, incapace di confrontarsi con la realtà. Una ennesima occasione mancata e di paludamento.

Questa contraddittorietà e complessità di esperienze portano alla esigenza, presente in tutta la società italiana, di una radicale riforma della politica, dei suoi valori, del sistema che ne rappresenta la concreta quotidianità. L’astensionismo, prim’ancora di rappresentare la protesta di un elettorato deluso e rinunciatario, esprime un giudizio su una politica che mette insieme i numeri, rinunciando alle scelte strategiche e programmatiche.

Il dibattito su queste elezioni regionali nulla ha a che fare con ciò che serve alle regioni. Assistiamo a scambi di posti, negoziati che cancellano infrastrutture e erogano sussidi a pioggia insostenibili.

Gli accordi programmatici che si stanno chiudendo tra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico esprimono una sinistra soccombente e complice di scelte irragionevoli che renderanno difficile se non impossibile la governabilità delle regioni. Quanto sta avvenendo conferma che c’è qualcosa di profondamente malato nel sistema del regionalismo italiano.

 

La struttura regionalista va riscritta nelle dimensioni, nei poteri, nelle competenze; puntando a costruire soggetti forti che abbiano peso contrattuale con il governo nazionale nelle scelte di governabilità interne e nelle costruzioni sistemiche comunitarie. Per esserlo, questi soggetti, devono essere anche contenitori consapevoli della governabilità.

 

Claudio Signorile ha indicato con assoluta lucidità l’’intreccio dell’Europa con il destino dei Paesi Mediterranei, la rigenerazione delle sue finalità e delle sue politiche. La guerra in Ucraina e, per certi versi, anche in Medio Oriente, è un conflitto militare ma è anche strategico, economico e globale. Riflette la logica “muscolare” che sta alla base sia della politica putiniana che delle scelte dell’amministrazione statunitense e segna la messa ai margini di tutti gli altri attori.  Una visione condivisa del mondo, in cui la potenza fa premio sulle norme, la logica e la prassi del multilateralismo che sono sostituite dal dialogo diretto e non mediato fra un numero ridotto di grandi potenze.

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In una lettura sistemica, rappresenta una seconda caduta del muro di Berlino, nel rapporto con l’Est Europa e la diversità fra Occidente atlantico ed Occidente europeo.

Colloca strategicamente l’Italia in uno dei punti più delicati del mondo, il Mediterraneo orientale, con lo spostamento a sud-est degli equilibri dell’Europa e rappresenta l’altro polo dell’alleanza occidentale. Quello del Mezzogiorno per l’Italia Mediterranea, assume un potenziale strategico che va oltre i suoi confini: una piattaforma economicologistica naturale che, sviluppata, attrezzata e interconnessa, sostenibile sul piano sociale, ambientale ed economico può funzionare come “sistema paese”.

 

Il ponte sullo stretto, iI progetto chiave del Corridoio Comunitario Helsinki La Valletta, è una scelta comunitaria compresa nel masterplan europeo delle infrastrutture. Non è una rivendicazione localistica dei siciliani e calabresi. Insieme all’alta velocità Salerno Reggio Calabria è funzionale alla piattaforma logistica del Mediterraneo.

Noi oggi siamo incomprensibilmente una Paese che tiene una realtà di sei milioni di abitanti, come la Sicilia, separata dall’Europa. Il ponte sullo stretto a questo serve e può essere considerato un atto di perequazione al quale vengono connesse la Reggio Calabria Taranto, il completamento delle autostrade siciliane, il completamento della rete ferroviaria, gli aspetti infrastrutturali che fanno diventare il ponte un momento sistemico della piattaforma economica e logistica mediterranea già costruita per il sessanta per cento e che va completata.

Sono opere strategiche per unificare e rilanciare un sistema portuale e un grande territorio al resto del Mezzogiorno, per rafforzare l’offerta complessiva e rendere economicamente e politicamente più forte l’intero sistema Paese in Europa.

 

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Il Nuovo Polo tecnologico e ambientale di Taranto, la soluzione della grave crisi delle aree industriali di Taranto, Gioia Tauro e Termini Imerese che, in collegamento con i loro grandi porti, si prestano a diventare alfieri di una transizione ecologica e tecnologica e di una nuova economia circolare.

La produzione dell’acciaio è strategica per l’industria italiana e richiede un processo di modernizzazione complesso e articolato che attraverso la transizione deve garantire un compromesso tra ambiente e sostenibilità sociale. Rilanciare lo stabilimento di Taranto con un progetto per l’acciaio “pulito”.

L’ubicazione degli impianti di Taranto in prossimità della città, fa si che occorra programmare una transizione tecnologica senza ulteriori compromessi: dopo oltre 60 anni il ciclo dell’altoforno deve essere definitivamente abbandonato e occorre effettuare questo cambiamento con gli investimenti necessari per questa modernizzazione. E’ una trasformazione complessa, una transizione verso una produzione di acciaio “green”. La fabbrica di Taranto sarebbe tra le prime siderurgie in Europa a operare questa scelta per raggiungere gli obiettivi di una completa decarbonizzazione e l’abbattimento totale degli inquinanti legati al ciclo integrale.

La gradualità della transizione va definita e governata da una scelta di politica industriale e un piano di settore. La svolta della siderurgia“tutta elettrica” e ineluttabile e foriera di un freno alle ossessive campagne mediatiche per la chiusura di una fabbrica. Più che una lotta concreta contro il cambiamento climatico, fatta di innovazione, tecnologia e tutela delle imprese dell’ambiente e della salute,   esprime un pregiudizio ideologico, propagandistico, che non considera le conseguenze economiche delle misure assunte e che ha come obiettivo quello di colpire l’industria facendole perdere competitività, fatturato, posti di lavoro.

E’ la contraddizione che Taranto vive sulla sua pelle. Chiudere significherebbe condannarla ad essere abitata da ex operai, cassintegrati e giovani senza prospettive. E’ questo il punto sul quale fare chiarezza aprendosi alla collaborazione delle Istituzioni ad ogni livello.

Un tempo, ormai lontano, l’abbiamo vissuta come “vertenza Taranto”. Il sindacato ne è ben consapevole. Torna ad essere attuale e ne dobbiamo essere interpreti e protagonisti.

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La conversione della fabbrica, con tempi e risorse certe e definite, che non possono eludere l’approvigionamento del gas e del preridotto, in attesa che  possano avanzare ricerche e sperimentazioni che prefigurino il passaggio all’idrogeno verde ad un costo congruo, con tecnologie rinnovabili che non producono anidride carbonica.

Spetta al Governo innanzitutto fare chiarezza, a partire dalle risorse necessarie per il risanamento funzionale dell’impianto, ai fini ambientali e di riqualificazione dell’intero hinterland,  affidandone la gestione, per il tempo necessario, ad un Partenariato Pubblico Privato.

 

Il sistema portuale del Mezzogiorno nel Mediterraneo

I porti del Mezzogiorno, si trovano in un contesto estremamente competitivo, che tuttavia richiede uno sforzo di revisione e ricomposizione sistemico della politica settoriale nel mercato del trasporto marittimo Mediterraneo. L’integrazione tra il porto e il retroporto, tra il porto ed il territorio nel suo complesso, sono decisivi per le linee di navigazione e per la scelta degli scali più appetibili: l’algoritmo di localizzazione delle attività logistiche tende a far prevalere la vicinanza del mercato di destinazione prevalente. L’idea di fondo è quella di avere una portualità integrata con il territorio, una integrazione verticale tra logistica e manifattura all’interno della ZES che risponda rapidamente ed efficacemente alle evoluzioni dei mercati.

 

Purtroppo la realtà che sta emergendo, soprattutto dai territori, è lontana dalle nostre aspettative.

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Non serve una generica lettura di progressismo, quale quello espresso dalle intese con Taverna, Fico e Tridico. Occorre il riformismo forte dotato di capacità progettuale e visione sistemica della società nella quale si vive, in grado di far diventare il pensiero sistemico una proposta di governo reale.

La condizione di eccezionalità politica richiede questo coraggio riformatore e questa lungimiranza strategica…





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