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In calo titoli tech USA legati all’AI: dimensioni, cause e rischi


I colossi tecnologici statunitensi legati all’intelligenza artificiale (IA) hanno vissuto un 2025 dalle forti oscillazioni. Dopo mesi di entusiasmo, che avevano spinto l’indice Nasdaq in rialzo di oltre il 50% dai minimi di aprile e riportato titoli come Nvidia e Palantir a guadagni rispettivamente del 30% e del 100% da inizio anno, il settore ha improvvisamente rallentato.   Lo sottolinea Giacomo Calef, country head Italia di NS Partners

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Un rally eccezionale seguito da uno scivolone

Nelle ultime settimane – spiega l’esperto – il Nasdaq Composite ha perso circa il 2% in una sola settimana a metà agosto, con la peggiore flessione di due giorni da inizio mese. Anche l’indice S&P 500 Information Technology ha ceduto oltre il 2,5%, riflettendo una presa di profitto diffusa dopo mesi di rally quasi ininterrotto. Molte big tech avevano già superato i massimi storici, spingendo le valutazioni su livelli che non si vedevano da anni.

Valutazioni alle stelle e timori di bolla 

Il tema centrale rimane quello delle valutazioni. Nel 2025 la crescita degli indici come Nasdaq e S&P 500 è stata in linea con gli utili, ma nelle ultime settimane i multipli hanno ricominciato a salire. Inoltre, alcune big tech – in particolare Meta – stanno riducendo la propria posizione di liquidità negli ultimi trimestri. Questo solleva timori tra gli investitori: da un lato che l’impiego del cash non generi ritorni adeguati, dall’altro che possa essere interamente assorbito dalle spese in IA. In tal caso, il rischio è che aziende tradizionalmente ad alta redditività si trasformino in realtà “capital intensive”, caratterizzate da margini più bassi e da un maggiore livello di indebitamento.

Il comparto tecnologico statunitense tratta ora a circa 30 volte gli utili attesi a 12 mesi, riportandosi sui livelli più elevati dell’ultimo anno. Il peso delle big tech sull’indice complessivo sfiora i massimi storici e questo aumenta la sensibilità a ogni segnale di rallentamento. Alcuni dati recenti hanno messo in discussione la solidità del boom: uno studio del MIT ha stimato che il 95% delle aziende non ottiene ancora ritorni concreti dai progetti di IA generativa. Parallelamente, Sam Altman, CEO di OpenAI, ha avvertito che il settore potrebbe trovarsi in una fase di eccessiva esuberanza. L’effetto sui mercati è stato immediato: Nvidia ha perso circa il 5% in pochi giorni e altri titoli esposti all’IA hanno registrato cali simili. In Europa, la pressione si è riflessa su società come ASML e Infineon, particolarmente sensibili alle aspettative di domanda di semiconduttori.

Investimenti AI record: troppo e troppo in fretta? 

La spinta verso l’IA non si limita alle valutazioni borsistiche: riguarda anche i bilanci delle stesse big tech. Microsoft, Alphabet, Amazon e Meta hanno incrementato in modo senza precedenti i propri piani di spesa. Secondo alcuni analisti, i capex cumulati destinati all’IA cresceranno quest’anno, passando da oltre 220 miliardi di dollari nel 2024 a quasi 270 miliardi nel 2025, con uno scenario che potrebbe avvicinarsi ai 280 miliardi. Questi numeri rappresentano quasi la metà degli investimenti globali nel settore e testimoniano quanto il tema sia diventato strategico. Ma proprio l’accelerazione della spesa solleva interrogativi: riusciranno queste risorse a tradursi in utili concreti o alimenteranno un’ennesima corsa a rincorrere la tecnologia senza ritorni immediati?

L’episodio di DeepSeek, startup cinese che a gennaio ha presentato un assistente IA gratuito dichiarando di averlo sviluppato con costi e dati drasticamente inferiori rispetto agli standard occidentali, ha reso evidente la fragilità del sentiment. In un solo giorno, Nvidia ha perso il 17% in Borsa, pari a 593 miliardi di dollari di capitalizzazione, mentre il comparto ha bruciato oltre 1.000 miliardi. L’indice dei semiconduttori di Philadelphia è crollato del 9,2%, trascinando con sé società come Broadcom (-17%), AMD e Oracle (-13,8%). Una reazione esagerata, poi in parte rientrata, ma che ha mostrato quanto il mercato resti vulnerabile a qualsiasi segnale di potenziale disruption.

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Tassi d’interesse e rotazione del mercato 

Il ridimensionamento di agosto non è avvenuto in un vuoto macroeconomico. Al contrario, ha coinciso con un momento delicato per la politica monetaria americana. Dopo aver mantenuto i tassi al massimo da oltre vent’anni, la Federal Reserve si avvicina al simposio di Jackson Hole con il mercato che scommette su un imminente taglio, forse già a settembre. Tuttavia, i verbali dell’ultima riunione hanno evidenziato un dibattito interno ancora acceso: se da un lato l’inflazione resta sopra il target del 2%, dall’altro il rallentamento dell’occupazione impone cautela.

Per i titoli ad alta crescita, questo contesto è particolarmente critico: valutazioni elevate come quelle delle big tech diventano meno sostenibili se il costo del capitale resta alto. Da qui il movimento di rotazione settoriale che ha caratterizzato le ultime settimane: mentre il Nasdaq arretrava, gli investitori hanno aumentato l’esposizione verso comparti più difensivi come utility, sanità e beni di consumo di base. Anche gli asset rifugio hanno beneficiato: l’oro si è stabilizzato oltre i 3.400 dollari l’oncia e i Treasury decennali hanno visto rinnovati flussi in entrata. La ricerca di stabilità ha ridotto l’overweight sul tecnologico, segnalando che almeno una parte del capitale si sta spostando in settori percepiti come meno vulnerabili all’incertezza sui tassi.

Effetti a cascata lungo la filiera tech

Il calo non ha colpito solo i big americani: l’onda d’urto si è propagata lungo tutta la catena del valore. Le società di semiconduttori sono state le più penalizzate, ma la pressione si è estesa anche a chi fornisce infrastrutture cloud e servizi di cybersecurity, comparti che fino a pochi mesi fa avevano beneficiato del tema IA in termini di valutazioni. In Europa, la debolezza è stata evidente su ASML, leader nelle litografie per chip, e su Infineon, fornitore chiave dell’industria automotive. Anche alcuni gruppi software hanno risentito dei timori di una saturazione nella spesa per nuovi modelli di IA, segnalando che l’effetto “correzione” va oltre la Silicon Valley.

Conclusioni

Il recente calo dei titoli legati all’intelligenza artificiale sembra, per ora, più una correzione fisiologica che un’inversione di lungo termine. L’IA resta un motore di crescita e innovazione: le big tech continuano a investirvi centinaia di miliardi di dollari e le prospettive di medio periodo rimangono aperte. Ma il messaggio dei mercati è chiaro: non ogni valutazione è giustificabile, non ogni spesa è sostenibile. Dopo mesi di euforia, gli investitori chiedono risultati tangibili e modelli di business solidi. Il 2025 potrebbe segnare il passaggio dall’hype alla prova dei fatti.





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