La pubblicazione del nuovo Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici Aran per il 2025 offre una panoramica completa su quanto guadagnano secondo gli ultimi aggiornamenti.
Si tratta di una fotografia dettagliata dello stato dei contratti e dei salari nel settore pubblico, tracciando un bilancio della stagione negoziale 2022-2024 e anticipando le prospettive per il prossimo triennio. Il documento mette in luce ritardi cronici e tensioni sindacali, ma anche un fatto inedito che potrebbe cambiare radicalmente lo scenario: la programmazione pluriennale delle risorse fino al 2030.
Contratti in ritardo e trattative difficili
Il quadro che emerge è tutt’altro che lineare. A giugno 2025, risultano ancora scaduti 31 contratti collettivi, che riguardano circa 5,7 milioni di lavoratori, pari a quasi la metà del personale pubblico. In pratica, il 100% dei contratti della PA è in attesa di rinnovo, mentre nel settore privato il 70% è già stato aggiornato.
Le negoziazioni del triennio 2022-2024 si sono caratterizzate per un clima più conflittuale rispetto al passato. Fin dall’inizio, molte sigle sindacali hanno denunciato l’impossibilità di recuperare interamente l’inflazione registrata negli anni di riferimento, chiedendo ulteriori stanziamenti. Questa posizione ha irrigidito i tavoli di confronto, allungando i tempi e aumentando le divisioni interne tra le stesse organizzazioni sindacali.
Il tasso di adesione agli accordi sottoscritti lo dimostra: poco più della metà dei sindacati ha firmato i contratti per Funzioni centrali e Sanità, mentre per l’area dirigenziale delle Funzioni centrali la firma è stata quasi unanime, con l’eccezione della Cgil. Restano invece aperte le trattative per Funzioni locali, Istruzione e Ricerca, oltre che per le altre aree dirigenziali.
Le tappe dei rinnovi 2022-2024
Nonostante le difficoltà, alcuni risultati sono arrivati. A inizio 2025 è stato firmato il contratto del comparto Funzioni centrali, seguito a marzo dagli accordi per le Forze armate e le Forze dell’ordine, sia civili sia militari. A giugno è stata chiusa l’ipotesi di contratto per il comparto Sanità e a luglio quella per i dirigenti delle Funzioni centrali.
Si tratta comunque di contratti relativi al triennio precedente, che entreranno in vigore nel corso del 2025, dopo i necessari passaggi di validazione e controllo. Una situazione che conferma la lentezza cronica della contrattazione pubblica: secondo i dati del Rapporto, nel triennio 2016-2018 ci sono voluti in media 32 mesi per chiudere i rinnovi, mentre nel 2019-2021 i tempi sono saliti a 47 mesi. Per il ciclo 2022-2024 la durata sarà probabilmente ancora più lunga.
Le cause di questi ritardi sono molteplici, ma il Rapporto indica un fattore chiave: la mancanza di risorse disponibili già nei primi anni di ciascun triennio. Spesso, infatti, è stato necessario attendere la terza o addirittura la quarta legge di bilancio per avere stanziamenti adeguati a far partire i negoziati.
La novità: risorse garantite fino al 2030
Proprio su questo fronte arriva però la svolta. Per la prima volta, la legge di bilancio ha previsto finanziamenti a lungo termine, destinati a coprire i rinnovi contrattuali fino al 2030. Sono stati messi sul piatto 10 miliardi per il triennio 2025-2027 e 11 miliardi per quello successivo.
Si tratta di un passaggio cruciale: avere risorse già stanziate elimina uno degli ostacoli principali che hanno sempre rallentato i contratti pubblici, creando le condizioni per avviare subito la nuova stagione negoziale. La disponibilità di fondi programmati potrebbe garantire maggiore continuità e stabilità, evitando che i lavoratori restino per anni con contratti scaduti.
Quanto guadagnano i dipendenti pubblici nel 2025
Secondo i dati Istat elaborati dal Rapporto, le retribuzioni contrattuali orarie nella PA hanno registrato a giugno 2025 un aumento del 2,9% rispetto allo stesso mese del 2024, un incremento superiore a quello del settore privato (+2,6%).
L’aumento è stato determinato da diversi fattori:
- gli aumenti tabellari previsti dai nuovi contratti, soprattutto per ministeri, forze armate e forze di polizia,
- l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per il nuovo triennio 2025-2027,
- l’adeguamento delle indennità di amministrazione nei ministeri, disposto da un Dpcm di fine 2024,
- il ripristino dell’intera indennità di vacanza contrattuale già prevista per il 2024 e anticipata nel dicembre 2023.
I settori che hanno beneficiato maggiormente sono quelli che hanno chiuso i nuovi contratti: i ministeri registrano un incremento medio del 6,9%, la difesa del 6,7% e le forze dell’ordine del 5,8%.
Le criticità che restano
Se il quadro finanziario appare più solido, non mancano i nodi da sciogliere. Il Rapporto evidenzia la crescente tendenza del legislatore a intervenire direttamente su materie che dovrebbero restare di competenza della contrattazione, in particolare sul fronte salariale. Questo approccio rischia di svuotare di significato i tavoli negoziali, riducendo lo spazio per un confronto autentico tra le parti.
Un altro elemento critico riguarda le forti differenze tra comparti. Ad esempio, le trattative per il settore istruzione e ricerca, avviate più tardi, presentano le stesse difficoltà legate alla scarsità di risorse, mentre le funzioni locali restano bloccate da oltre un anno, nonostante i tentativi del governo di allentare i vincoli sul salario accessorio.
Uno scenario in trasformazione
Guardando al futuro, il Rapporto invita a considerare la nuova fase come un’occasione per cambiare passo. La certezza delle risorse potrebbe permettere di avviare i rinnovi già all’inizio del triennio, superando i ritardi storici. Allo stesso tempo, sarà necessario trovare un equilibrio tra legge e contrattazione, evitando che le norme sostituiscano la negoziazione collettiva.
Resta poi la sfida di garantire aumenti salariali realmente in grado di compensare l’inflazione. Negli ultimi anni, il potere d’acquisto dei lavoratori pubblici ha subito un’erosione significativa e le nuove risorse, pur consistenti, dovranno essere gestite in modo da rispondere a questa esigenza.
Conclusioni
Il 2025 segna quindi un punto di svolta per il pubblico impiego. Se da un lato persistono i ritardi e le tensioni che hanno storicamente caratterizzato i rinnovi contrattuali, dall’altro l’introduzione di una programmazione pluriennale delle risorse fino al 2030 apre la strada a una gestione più ordinata e prevedibile.
Molto dipenderà dalla capacità di governo, sindacati e Aran di sfruttare questa opportunità per restituire dignità e stabilità a milioni di lavoratori che, ancora oggi, attendono contratti aggiornati.
Il testo del rapporto Aran
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