Tra gli ospiti del Meeting di Rimini nella sua giornata di apertura ci sarà anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy
Occupazione e salari potranno crescere ancora in Italia grazie a un Patto sociale che veda coinvolti sindacati, imprese e Governo. Ne è convinto anche il ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, oggi ospite del Meeting di Rimini in un incontro dedicato al tema. E che in questa nostra intervista commenta anche gli ultimi sviluppi dell’accordo Usa-Ue sui dazi emersi ieri.
Ci sono oggi le condizioni per un patto sociale, sollecitato da Confindustria e da una parte del sindacato? Come potrebbe contribuire a far crescere l’occupazione e i salari?
Un Patto sociale è sicuramente un buon viatico per accrescere ulteriormente occupazione e salari, che in questi anni di Governo Meloni hanno avuto un andamento nettamente positivo. L’occupazione è infatti cresciuta di oltre un milione duecentomila occupati, raggiungendo il suo record storico, e nello scorso anno abbiamo avuto una netta inversione di tendenza positiva anche per quanto riguarda la retribuzione dei lavoratori e il potere d’acquisto delle famiglie, purtroppo decurtati negli anni precedenti.
Questo trend finalmente positivo può sicuramente migliorare con un Patto sociale che porti al rinnovo immediato dei Contratti collettivi nazionali ancora non siglati, all’aumento dei salari e alla crescita della produttività, condizioni fondamentali per la competitività del sistema Italia. Il Governo farà la sua parte con misure incentivanti e premianti sul fronte delle imprese e del lavoro.
Confindustria nei mesi scorsi ha sollecitato non solo l’adozione di semplificazioni a costo zero, ma anche il finanziamento di una nuova Industria 4.0 per il prossimo triennio per incentivare gli investimenti in innovazione delle imprese. Come risponderà il Governo?
Confindustria ci ha trasmesso 80 proposte di semplificazione. Quelle di competenza diretta del ministero delle Imprese e del Made in Italy erano sette e sono state tutte realizzate, introdotte nel Ddl PMI e nel Codice incentivi. In particolare, siamo intervenuti sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, sul regime assicurativo dei muletti e carrelli, sui modelli semplificati per l’applicazione della legge 231 da parte delle piccole e medie imprese, sui controlli relativi al lavoro agile, sulla formazione diretta alla Cig, sulla semplificazione del Durc e sulla responsabilità del servizio prevenzione.
E le altre proposte?
Per quanto riguarda le altre proposte, ascrivibili a vario titolo ad altri Dicasteri, ulteriori dodici sono già state inserite nel Ddl di semplificazione della Pubblica amministrazione. Mi riferisco, in particolare, a misure come la soppressione dei riferimenti normativi nelle fatture per Transizione 4.0 e 5.0, alla ripresentazione di dichiarazioni telematiche già trasmesse e scartate, agli interventi sui percorsi di formazione degli Its Academy, alla gestione dei rifiuti e al riutilizzo delle acque nel settore industriale, nonché all’inclusione del calcare industriale tra le materie prime critiche. Il nostro impegno è completare il pacchetto con la Legge di bilancio, soprattutto per le misure che comportano impegni finanziari onerosi. Ci stiamo lavorando insieme con gli altri Ministeri competenti.
E per quanto riguarda Transizione 5.0, che sta iniziando a decollare proprio ora con l’avvicinarsi del termine ultimo per completare gli investimenti, sono previste eventuali proroghe?
Grazie anche alle semplificazioni recentemente introdotte, le imprese hanno mostrato un crescente interesse per Transizione 5.0: da giugno le prenotazioni mensili hanno superato i 300 milioni di euro. Attualmente, stiamo collaborando con il Mef per definire un intervento che garantisca continuità al Piano, assicurando alle imprese il sostegno necessario per i processi di innovazione e per la transizione verso la sostenibilità ambientale.
La produzione industriale italiana non sembra riuscire ancora a ripartire. Quali le cause e le possibili e realistiche soluzioni che si possono mettere in campo?
La produzione industriale ha dovuto affrontare tre guerre in pochi anni: quella della Russia in Ucraina, che ha accresciuto il costo dell’energia e chiuso l’importante mercato russo; quella del “Green Deal”, che ha soffocato l’industria delle auto con conseguenze gravi su siderurgia, chimica e microelettronica; infine, la “guerra commerciale” in corso, che speriamo possa mitigarsi con l’accordo tra l’Amministrazione Trump e la Commissione europea. La crisi ha avuto epicentro in Germania, polmone industriale d’Europa, che è infatti al terzo anno consecutivo di recessione, mentre l’Italia continua a crescere, seppure a ritmi contenuti.
Ora dobbiamo passare dalla “resistenza” alla “reazione”, cambiando radicalmente la politica industriale europea. Per questo credo sia importante l’intesa raggiunta con il ministero dell’Economia e dell’Energia tedesco sulle flotte aziendali, sulla base del principio di neutralità tecnologica, flessibilità e sostenibilità, che penso potrà essere a fondamento di altre iniziative comuni non solo nel settore dei veicoli. Cambiano gli equilibri, finalmente, anche in Europa.
Quale pensate saranno alla fine gli impatti dei dazi Usa per l’economia italiana? Ci saranno compensazioni per i settori più colpiti?
Il risultato sin qui conseguito è apprezzabile perché dà finalmente un quadro di certezze per le imprese, scongiurando la “guerra commerciale” che sarebbe stata devastante. Bene il risultato per farmaceutica, semiconduttori e automotive, che erano i settori che rischiavano di più. Ora occorre lavorare per altre esenzioni ancora possibili, per esempio nel settore agroalimentare, e predisporre eventuali misure compensative a livello comunitario ove fossero necessarie, alle quali potranno aggiungersi ulteriori interventi specifici nazionali. Nel contempo, abbiamo messo in atto un piano promozionale per cogliere le opportunità in altri mercati, e i risultati sono già evidenti, come dimostra la crescita dell’export in mercati extraeuropei.
Considerando l’impegno preso dall’Ue ad acquistare più Gnl dagli Usa, più costoso di quello proveniente dal Medio Oriente e dall’Africa e del gas trasportato via tubo, e in attesa dell’eventuale ritorno al nucleare dell’Italia, come si possono abbassare i costi dell’energia per le imprese e le famiglie italiane? La via dell’aumento della produzione nazionale di gas è da considerare non percorribile?
È la via che abbiamo intrapreso con uno dei primi provvedimenti della legislatura riguardante il gas in Adriatico, il “gas release”, che assieme all’energy release garantisce significativi abbattimenti dei costi per le imprese energivore. Le procedure sono in stato avanzato, anche grazie al parere positivo arrivato a fine giugno dalla Commissione. A questi provvedimenti si uniscono quelli più recenti del DL bollette che prevedono un finanziamento da 600 milioni di euro attraverso il Fondo per la transizione energetica nel settore industriale e l’azzeramento per sei mesi di alcuni oneri di sistema, insieme all’aiuto delle famiglie più vulnerabili con un contributo straordinario di 200 euro, oltre al bonus sociale già esistente per i redditi più bassi.
L’anno scorso ci aveva spiegato come, dopo le elezioni europee, il vento fosse cambiato in Europa rispetto al Green Deal e all’impatto che ha sull’industria. Che bilancio si sente di fare dopo più di 8 mesi di attività della nuova Commissione europea?
Si sono fatti grandi passi in avanti proprio sulla strada da noi indicata lo scorso anno, ma occorre fare di più e subito. La Commissione ha accolto le nostre prime richieste sul settore auto: ha rimosso l’ostacolo insormontabile delle “mega multe” miliardarie, che avrebbero solo favorito i concorrenti cinesi e americani, e ha accolto di anticipare di quasi due anni la revisione del regolamento CO2, così che il confronto è già iniziato.
Siamo poi riusciti a ottenere che si decidesse di revisionare il Cbam proprio sulla base del nostro “non paper” e che si procedesse con il pacchetto Omnibus sulla semplificazione. Ora la consonanza con la Germania può aiutarci ad allargare il fronte delle riforme e, peraltro, anche con la Francia abbiamo già condiviso alcuni documenti settoriali, sulla siderurgia e sulla chimica, e abbiamo creato l’Alleanza delle imprese energivore.
Le nostre tesi, fondate sul principio della realtà, sono diventate spesso linee guida. Ma il processo di revisione è ancora troppo lento. E mentre Bruxelles discute, Sagunto, cioè l’industria europea, viene espugnata. Occorre accelerare.
C’è ancora preoccupazione sul futuro degli stabilimenti italiani di Stellantis. È tramontata l’ipotesi di un altro costruttore straniero in Italia?
No, ma gli investitori aspettano di sapere quali saranno le nuove regole e quali i nuovi dazi. Nessuno investe se non vi è certezza.
Quando pensa si riuscirà a dare una prospettiva certa al futuro dell’ex Ilva e dei suoi lavoratori, viste anche le preoccupazioni espresse dai sindacati dopo l’incontro del 12 agosto? Chi si farà carico dei costi per i forni elettrici e gli impianti Dri?
L’ho spiegato più volte: i forni elettrici dovrà ovviamente realizzarli il player industriale al quale saranno assegnati gli impianti. Potrà richiedere, a fronte di un preciso piano industriale, la “dote” di 750 milioni di euro che era stata riservata da Invitalia per i contratti di sviluppo del precedente gestore, il quale poi non ha provveduto.
I Dri necessari li realizzerà la società pubblica Dri d’Italia, che ha già in dotazione un miliardo di euro di risorse Fsc (Fondo per lo sviluppo e la coesione) e che, a sua volta, con le modifiche legislative contenute nel recente decreto-legge potrà da subito aprirsi ai privati, anche a partner industriali ed energetici, così da incrementare la propria dotazione. Eventuali altre risorse saranno destinate con la prossima programmazione Fsc 2028/2035.
Su cosa potrà puntare l’Italia per riuscire a ottenere il finanziamento Ue per la realizzazione di una delle cinque gigafactory AI programmate dalla Commissione?
Abbiamo fatto bene i compiti a casa. Abbiamo un’infrastruttura solida per l’IA basata su molteplici tasselli, a partire dalla Fondazione Ai4Industry di Torino, la Fondazione Chips.IT di Pavia e l’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Abbiamo realizzato una legge nazionale sull’IA, che è in via di approvazione in Parlamento. Abbiamo creato l’AI Hub per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con l’Unpd a Roma. Il 31 luglio abbiamo presentato la nuova Strategia italiana per le tecnologie quantistiche, in collaborazione con gli altri Ministeri competenti. Inoltre, disponiamo dei tre super calcolatori più veloci in Europa: Leonardo a Bologna, Da Vinci a Genova e HPC6 di Eni a Pavia.
Queste sono le azioni chiave che, insieme alle nostre elevate competenze, rendono l’Italia un candidato ideale a ospitare una delle cinque gigafactory assegnate dalla Commissione europea entro la fine dell’anno. Siamo dunque pronti a fare la nostra parte per rendere l’Ue sempre più strategicamente indipendente a livello globale.
(Lorenzo Torrisi)
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