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Export, Transizione 5.0, reti e formazione: i consigli di Ucimu e Federmacchine per il machinery italiano


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L’exit strategy del machinery italiano per riuscire a gestire l’esponenziale incertezza dei mercati e reagire all’instabilità globale che verrà scatenata dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina? Secondo il rapporto Ingenium del Centro Studi Confindustria, realizzato con il sostegno di Federmacchine, occorre estendere la presenza sui mercati emergenti e sviluppare nuovo business nei mercati avanzati attraverso una maggiore diversificazione e sofisticazione dei prodotti.

Il nuovo Eldorado? Oltre a Cina, India e Turchia, gli occhi sono puntati su Messico, Brasile, Tailandia, Arabia Saudita, Vietnam e Indonesia. Operazione espansiva che potrebbe generare un surplus di fatturato di circa 15 miliardi, compensando eventuali potenziali perdite generate da nuovi balzelli doganali. Exit strategy che dovrà essere accompagnata da investimenti nel digitale e nell’intelligenza artificiale: serviranno a creare il valore aggiunto indispensabile per consentire al Made in Italy di mantenere i livelli di unicità che da sempre lo caratterizzano. Dall’automotive al farmaceutico, dal confezionamento e imballaggio alla chimica e alla siderurgia, dall’alimentare alla ceramica, alla plastica, dal tessile al calzaturiero, dal marmo al legno e al vetro.

Seppure in flessione rispetto al 2023, con 52 miliardi di fatturato il comparto italiano dei costruttori di macchine utensili e automatiche continua ad essere uno dei pilastri dell’export nazionale. Un settore in cui vantiamo eccellenze a livello internazionale, con aziende come Ima, Coesia, Marchesini, Goglio, Sacmi, Scm Group, Angelini Technologies-Fameccanica, Breton, Salvagnini, Prima Industrie, Biesse, Cama, Cavanna, Ficep, Prima Industrie, Salvagnini, Mario Frigerio e Cosberg.

Quali le prospettive per i costruttori di macchine in una global economy che sotto l’effetto delle tensioni geopolitche e commerciali diventa sempre più imprevedibile? Come afferma Franco Bettelli, presidente di Federmacchine, «Non tutto potrebbe rivelarsi negativo. Ci si confronterà con dazi differenziati. Gli Stati Uniti tenderanno a mettere in difficoltà soprattutto l’economia cinese. Questo vuol dire che noi potremmo beneficiare di una domanda crescente grazie a prezzi più competitivi nei confronti dei concorrenti asiatici. E comunque, dazi o non dazi, vale sempre uno stesso principio: se riusciremo a tenere alto il valore della tecnologia Made in Italy, le macchine si continueranno a vendere perché nessun altro potrà fornirle». Ecco le riflessioni raccolte da Industria Italiana. Con Barbara Cimmino, Alessandro Fontana e Tullio Buccellato di Confindustria, Alessandra Pastorelli del Ministero Affari Esteri, Alessandra Ricci e Alessandro Terzulli di Sace, Giuliano Noci, docente del Politecnico di Milano, e Riccardo Rosa, presidente di Ucimu.

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L’adozione dell’IA potrebbe dare una forte spinta alle competitività delle imprese italiane. Non mancano però delle sfide per l’adozione, a partire dalla scarsità di competenze per arrivare alla scarsa disponibilità di dati. (Fonte: Confindustria).

Centrale, il tema dell’intelligenza artificiale, da tutti considerato il fattore strutturale e irreversibile di cambiamento dell’industria manifatturiera. Se per Cina e Stati Uniti l’IA è il fondamento del nuovo mercato, e ci investono centinaia di miliardi di dollari, l’Italia resta a guardare: non la considera ancora una priorità nazionale, se non a parole, e va a traino degli investimenti europei, che sono di un ordine di grandezza infinitesimale rispetto a quello americano e cinese. «Per il machinery italiano non sarà più sufficiente eccellere nella meccanica. In futuro si potrà continuare ad essere protagonisti sullo scacchiere mondiale solo valorizzando le capacità hardware con l’IA. Se questa componente sarà assente l’indice di competitività del settore sarà progressivamente più basso dell’attuale», dice Bettelli.

Tracollo del mercato interno e locomotiva export che rallenta. Per il machinery italiano un 2024 da dimenticare (- 7,8%) ma nel 2025 si stima una miniripresa con una crescita del 2%

Fatturato a 52,2 miliardi, 7,8% in meno rispetto al 2023, export in calo del 3,9% a 36,2 miliardi e domanda interna che scende a 25,2 miliardi con una perdita del 17,4%. Il 2025 tornerà di segno positivo. Secondo Federmacchine, il fatturato sarà di 53,2 miliardi (+2%), ma la dinamica espansiva dell’export, vera locomotiva del settore, è a un punto fermo: il volume d’affari su mercato esteri si attesterà sugli stessi i risultati del 2024. Buone notizie sul fronte del consumo interno, che dovrebbe riprendersi dallo schock del 2024, registrando un aumento del 4,3%. Andamento in negativo che incide anche sulle vendite di macchine tensili.

I dazi minacciati da Trump potrebbero essere un’opportunità per aprirsi verso altri mercati. Come Africa e Medio Oriente, i maggiori importatori di prodotti Act. (Fonte: Confindustria).

Secondo il centro studi di Ucimu, nel 2024 il comparto ha chiuso a – 11,4% La causa? «In massima parte determinata dal calo del 33,5% della domanda interna. L’export, invece, nonostante tutte le difficoltà che si riscontrano sui mercati internazionali, ha tenuto, mettendo a segno una crescita del 6,3%, raggiungendo un fatturato di 4,49 miliardi, un record mai raggiunto prima d’ora», afferma il presidente di Ucimu, Riccardo Rosa.

Macchine utensili e per il packaging: secondo il rapporto Ingenium di Confindustria per i costruttori italiani c’è un’immensa prateria di export che potrà compensare la perdita potenziale generata dalla guerra commerciale a livello globale

Secondo il rapporto Ingenium, per il settore dei beni strumentali esiste un potenziale di crescita di 8 miliardi. Nei mercati avanzati, che attualmente assorbono 21,6 miliardi, la crescita potrebbe essere di 4,6 miliardi, mentre in quelli emergenti, che al momento generano vendite per 10,5 miliardi, il surplus è valutato in 3,3 miliardi. Potenzialità di espansione esistono negli Stati Uniti (+760 milioni) in Germania e Francia (+470 milioni ciascuno), in Cina (+760 milioni), India (+472 milioni) e Turchia (+364).

Secondo il rapporto Ingenium, per il settore dei beni strumentali esiste un potenziale di crescita di 8 miliardi. Nei mercati avanzati, che attualmente assorbono 21,6 miliardi, la crescita potrebbe essere di 4,6 miliardi, mentre in quelli emergenti, che al momento generano vendite per 10,5 miliardi, (Fonte: Confindustria).

Si aggiungono poi le potenzialità di aree ancora marginali: dal Mercosur, con il Messico visto come mercato più promettente (+286 milioni), al Nord Africa e gli Emirati Arabi. Mercati che sono visti come opportunità per colmare il vuoto lasciato dalla Russia, ora alla mercé dei cinesi. Se lo scontro commerciale a livello globale rischia di tradursi in una perdita potenziale compresa tra i 7 e i 15 miliardi, il surplus complessivo che può nascere da una estensione intensiva ed estensiva del machinery su mercati avanzati ed emergenti potrebbe compensare le perdite con un equivalente ritorno di fatturato.

Bruno Bettelli, presidente di Federmacchine – Le politiche protezionistiche impongono alle imprese italiane di valorizzare ulteriormente il marchio Made in Italy, puntando su prodotti di alta qualità e customizzati, che possano giustificare prezzi più elevati e attrarre consumatori disposti a pagare per l’eccellenza tecnologica

Bruno Bettelli, presidente di Federmacchine.

«Le complicazioni geopolitiche e le politiche di protezionismo richiedono un’analisi attenta e una strategia flessibile per affrontare le nuove sfide e opportunità. La capacità di negoziare accordi commerciali favorevoli sarà cruciale per facilitare l’ingresso nei mercati esteri, afferma il presidente di Federmacchine. Serve un Riposizionamento sui mercati emergenti che in passato non erano considerati prioritari, ma che ora offrono opportunità significative. Il Mercosur, per esempio, un’area con un bacino di utenti importante che potrebbe portare a un aumento dell’export. Ma per avere più opportunità ci si deve concentrare sull’eccellenza tecnologica. Da non trascurare l’individuazione di nuovi modelli di business basati sulla servitizzazione, che implica la fornitura di servizi basati su dati e informazioni. Dazi, c’è di che preoccuparsi? Vedremo, l’imposizione di barrire doganali e le relative restrizioni commerciali possono certamente limitare l’accesso delle imprese italiane a mercati esteri. Ecco, perché ripeto, vi è una necessità di un adattamento strategico a livello geografico che possa compensare le eventuali mancate vendite. Per rimanere competitivi vanno ricercati nuovi mercati di sbocco e, al tempo stesso, vanno diversificate le linee di prodotto».

Riccardo Rosa, presidente Ucimu – Il timore che la nuova amministrazione americana possa decidere di attuare una nuova politica di dazi per beni legati alla nostra produzione ci mette in allerta e ci impone un ragionamento puntuale sulle nostre attività di internazionalizzazione 

Secondo Riccardo Rosa, Ucimu, «la guerra in Ucraina e le tensioni geopolitiche continuano a influenzare negativamente l’accesso a mercati importanti».

«Le preoccupazioni riguardo ai dazi e all’export delle macchine utensili esistono, dice Rosa Tuttavia, è verosimile che i balzelli saranno applicati in modo differenziato tra Europa e Cina, il che potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo per l’Italia. La competizione con i produttori cinesi è un tema ricorrente. Se i dazi imposti sui prodotti cinesi aumentano, esiste un’opportunità per le macchine utensili italiane, che potrebbero beneficiare di una domanda crescente per tecnologie più avanzate e di qualità superiore. Dazi o non dazi, la potenziale riduzione dell’export può essere comunque essere compensata dalla presenza su in mercati scarsamente presidiati. Centro e Sud America, Africa, Emirati Arabi, che possono offrire nuove opportunità di crescita. Certo, la guerra in Ucraina e le tensioni geopolitiche continuano a influenzare negativamente l’accesso a mercati importanti. Abbiamo regalato il mercato russo alla Cina. Prima del conflitto, veniva considerata una delle aree di sbocco con un alto potenziale di crescita. Opportunità sfumata. Nonostante i russi preferiscano storicamente le tecnologie europee stanno ora comprando macchine cinesi. Situazione che richiede quindi una strategia di diversificazione per mitigare l’impatto negativo della guerra e delle sanzioni che sono state adottate per quel paese».

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A Industria Italiana Summit, Riccardo Rosa analizza le sfide del settore delle macchine utensili e dei robot industriali. «La normativa 5.0 rischia il flop senza semplificazioni». Prevista una ripresa degli ordini interni del 17% nel 2025, ma restano problemi legati a costi energetici, crisi dell’automotive e limiti tecnologici del machinery italiano.

L’intelligenza artificiale come tecnologia abilitante la trasformazione digitale della produzione, fondamento dei machine builder per migliorare l’automazione, la manutenzione, la personalizzazione e la sicurezza delle macchine

L’adozione di tecnologie IA potrebbe portare a una maggiore automazione, essere da base per lo sviluppo di soluzioni di manutenzione predittiva, rilevando anomalie che potrebbero portare a incidenti. Un approccio che serve a ridurre i tempi di inattività e migliorare l’efficienza operativa.

Le aziende del machinery hanno competenze prevalentemente meccaniche, come riuscire a compiere la transizione digitale, di prodotto e di processo, per competere nei nuovi scenari di mercato? «Le competenze digitali devono diventare una competenza core, risponde Bettelli. È fondamentale che queste capacità siano sviluppate all’interno dell’azienda o da aziende collegate, partecipate, o connesse in modo intrinseco alla produzione. Integrare nuove competenze, sperimentare». Insomma, il differenziale competitivo è sempre più riposto nel software, nel dato che diventa informazione accessibile da ogni parte del mondo.

Per uscire dalla crisi servono investimenti nel digitale e nell’intelligenza artificiale: serviranno a creare il valore aggiunto indispensabile per consentire al Made in Italy di mantenere i livelli di unicità che da sempre lo caratterizzano. (Fonte: Confindustria).

«La transizione digitale ormai avviata deve procedere senza stop e in modo sempre più omogeneo fino a toccare anche le aziende che si sono dimostrate più restie a questo cambiamento. L’hardware resta l’elemento centrale della nostra attività di costruttori di macchinari ad alta tecnologia ma non può più prescindere dal software. È l’unica scelta che ci può mettere al sicuro dalla concorrenza sul prezzo. Siamo dei grandi artigiani della manifattura, abbiamo l’attenzione al dettaglio. Bene. se aggiungiamo le competenze specialistiche, se si ha il coraggio di valutare nuovi modelli di business continueremo a essere i player indiscussi del machinery globale», afferma Bettelli.

 

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 23 gennaio 2024)



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