La sostenibilità è diventata un elemento sempre più centrale nella strategia aziendale, spinta da normative europee, aspettative dei consumatori e richieste degli investitori. Tuttavia, mentre le grandi imprese si stanno attrezzando con strutture e risorse dedicate per affrontare gli obblighi di rendicontazione ambientali, sociali e di governance, le piccole e medie imprese – che rappresentano il 99% del tessuto imprenditoriale europeo – rischiano di restare indietro. Il tema non è solo regolatorio, ma anche competitivo: saper raccontare in modo credibile il proprio impatto ambientale, sociale e di governance (Esg) è ormai fondamentale per accedere ai mercati, alla finanza e alle catene di fornitura globali.
Fino a pochi anni fa, gli obblighi di rendicontazione non finanziaria riguardavano solo le grandi aziende, in base alla direttiva Nfrd (Non Financial Reporting Directive). Il quadro è cambiato con l’entrata in vigore della Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive), che ha ampliato significativamente il numero di imprese europee obbligate a pubblicare un bilancio di sostenibilità, introducendo gli Esrs (European Sustainability Reporting Standards), standard tecnici che definiscono che cosa devono rendicontare le imprese e come farlo. Per le realtà escluse da questo perimetro – tra cui moltissime Pmi – l’Unione europea sta lavorando a strumenti più proporzionati e accessibili.
Il Vsme (Voluntary Sustainability Reporting Standard for non-listed Smes) è uno di questi strumenti. Si tratta di uno standard di rendicontazione volontario, pensato specificamente per le piccole e medie imprese non quotate, in particolare per quelle che operano come fornitori all’interno di filiere più grandi o che desiderano migliorare la propria trasparenza Esg nei confronti di clienti, banche e investitori. È rivolto a un pubblico ampio e variegato: dalle microimprese con strutture minime fino alle medie imprese più strutturate che, pur non essendo obbligate dalla normativa Csrd, vogliono dotarsi di un linguaggio riconosciuto a livello europeo.
Lo standard è attualmente in revisione e non ancora definitivo. Ma già si intravedono alcuni benefici potenziali. “Il vantaggio per le Pmi potrebbe ravvisarsi nell’omologazione del pacchetto informativo che potrebbe permettere una maggiore comparabilità dei report”, osserva Gianluca Manca, docente di finanza sostenibile presso la Sda Bocconi. Al tempo stesso, però, la recente revisione al ribasso dell’impianto normativo europeo – con la proposta di direttiva Omnibus e la spinta alla semplificazione degli European Sustainability Reporting Standards rischia di alterare il perimetro del Vsme. “Non solo le Pmi verrebbero intercettate da questo standard”, aggiunge Manca, “e ciò potrebbe rilevare qualche difficoltà poiché l’insieme di riferimento del Vsme sarebbe caratterizzato da società molto diverse tra loro”. Il rischio è quello di costruire uno standard che, pur semplice nelle intenzioni, risulti poco adatto sia alle micro-imprese che alle realtà più strutturate.
Una delle caratteristiche distintive del Vsme è la sua struttura a moduli, che ambirebbe a consentire un approccio graduale e proporzionato alla rendicontazione. Esiste infatti un modulo base, con requisiti minimi, e uno completo, pensato per le aziende più organizzate. “La gradualità dell’approccio risiede nella composizione a moduli”, spiega Manca. “Ma la vera forza si ravviserà a seconda di quanti soggetti lo adotteranno su base volontaria. La sua accettazione chiarirà le idee su quanto sia semplice e praticabile il linguaggio usato e le informazioni richieste”. La sostenibilità, in altre parole, dovrà diventare accessibile non solo concettualmente, ma anche in termini di tempo e risorse necessarie per redigere un report.
Il Vsme rinuncia ad alcuni dei principi più complessi della rendicontazione standard, a partire dalla doppia materialità. “È stata abbandonata alla fine dello scorso anno”, spiega Manca, “come risposta alle forti pressioni dei portatori di interesse sul tema della complessità interpretativa dello standard”. Restano invece due principi chiave: il “comply-or-explain” (rispetta o spiega) e il criterio del “se applicabile”. Il primo consente flessibilità, ma chiede trasparenza. “Si riferisce alla pratica di dover spiegare al lettore quali siano i motivi per non aver rendicontato una specifica attività”, chiarisce Manca. Il secondo è pensato per proteggere le micro-imprese da richieste eccessive. “È una dicitura nata con lo scopo di proteggere da carichi burocratici non funzionali alla vera trasparenza. Cionondimeno”, avverte Manca, “c’è il rischio che l’interpretazione di applicabilità, lasciata sulle spalle del singolo microimprenditore, si traduca nella produzione di dati poco affinati o addirittura fuorvianti”. Ed è proprio per fornire una bussola alle Pmi che è stato creato il sito srblab.unibocconi.it, dove offrire contesto e soluzioni.
Un capitolo a parte riguarda il sistema bancario, che si trova a dover usare – ma anche valutare – i report delle Pmi. “Il contesto bancario è sotto pressione da quando è stata emanata la direttiva sulla rendicontazione non finanziaria”, spiega il docente. “Di fatto, si è chiesto alle banche di essere sia produttori di un report in quanto imprese, sia utilizzatori dei dati forniti nei report dei propri clienti per costruire il proprio bilancio di sostenibilità. Inoltre”, prosegue, “il sistema bancario ha richieste specifiche da parte delle autorità di vigilanza, che attualmente sono molto più approfondite rispetto alle importanti riduzioni che stanno interessando il pacchetto Omnibus. Il paradosso a cui si potrebbe assistere”, avverte, “è di una semplificazione ulteriore del Vsme, non seguita da una riduzione di richieste specifiche da parte delle autorità di vigilanza. In questo scenario, le Pmi potrebbero comunque essere soggette a richieste di dati più impegnative rispetto a quelle presenti nella versione rivista del Vsme”.
A oggi, il destino dello standard è dunque ancora aperto. Potrebbe diventare uno strumento chiave per favorire l’inclusione delle Pmi nella transizione sostenibile, ma molto dipenderà dal contesto politico e regolatorio europeo. “È ancora presto per dirlo”, conclude Manca. “La velocità alla quale si stanno susseguendo cambiamenti inattesi e non prevedibili impone prudenza. La speranza è che il Vsme risulti semplice al punto da essere applicato dal più alto numero possibile di imprese. Detto questo, la semplicità non è stata il faro dei lavori sulla sostenibilità in Europa fino a oggi”.
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