Il settore degli affitti brevi turistici è stretto in un labirinto di divieti, ricorsi e conflitti istituzionali. Con il governo che impugna leggi locali e Regioni e Comuni che stringono le regole
Gli affitti previ sono diventati un nuovo campo di battaglia tra Governo, Regioni e Comuni. Ogni livello istituzionale tenta, infatti, di imporre regole proprie, dando vita a un quadro frammentato che confonde cittadini (molti lo stanno sperimentando questa estate) e operatori, alimentando una spirale di ricorsi al Tar e alla Corte Costituzionale. Da Firenze a Bolzano, passando per la Sicilia, le norme locali si sommano a quelle nazionali, spesso in contrasto con esse, trasformando il settore in una giungla di adempimenti.
Il nodo centrale
Il riferimento di base resta il D.L. 50/2017, che disciplina le locazioni brevi fino a 30 giorni, anche a fini non turistici (sopra il mese, è necessario registrare il contratto all’Agenzia delle Entrate perché non parliamo più di locazioni a breve termine). Su questo impianto (leggi qui la guida) si innestano le norme fiscali introdotte con la legge di Bilancio 2024 (dalla cedolare secca al 21% fino al 26% per più immobili) e gli obblighi di tracciabilità affidati alle piattaforme digitali. Da quest’anno, come sappiamo, è obbligatorio il Codice Identificativo Nazionale (Cin) per ogni immobile: misura pensata per la trasparenza, ma che ha già provocato un calo dell’offerta e maggiori costi di gestione.
Il ruolo delle Regioni
Parallelamente, le Regioni hanno iniziato a legiferare con crescente autonomia, spesso oltre i margini concessi dalla Costituzione, generando attriti con Roma. Due casi recenti, fotografano perfettamente lo scontro in atto. L’ultimo in ordine di tempo riguarda la provincia autonoma di Bolzano, che il 17 giugno scorso ha approvato la «Riforma Abitare», impugnata il 4 agosto dal Consiglio dei ministri. La nuova normativa limita gli affitti turistici alla sola residenza o sede legale del proprietario e impone l’iscrizione a registri commerciali con qualifiche professionali. Secondo il Cdm si tratta di una violazione della libertà d’impresa e della concorrenza.
Le contestazioni di Palazzo Chigi
Ma Palazzo Chigi ha contestato anche il «Testo Unico del Turismo» della Regione Toscana, entrato in vigore a fine 2024, che prevede che i Comuni possano delimitare aree e fissare limiti all’attività. Il Cdm ora ha rimesso la sorte del Testo alla Consulta. Ma non meno esplosiva è la vicenda siciliana: a fine giugno il decreto attuativo della riforma regionale ha imposto standard rigidi per tutte le strutture, dalle grandi catene alberghiere ai piccoli B&B, con obblighi su bagni, materassi ignifughi e regolamenti condominiali. L’ondata di proteste ha costretto l’assessorato al Turismo siciliano a correggere il testo con due decreti lampo in agosto.
Dal Tar…
La confusione normativa ha già spinto i giudici a intervenire. Con la sentenza n. 2928/2025, il Consiglio di Stato ha ribadito che i Comuni non possono vietare né limitare le locazioni brevi non imprenditoriali, materia riservata allo Stato. Locare un appartamento per pochi giorni, ha stabilito il collegio, rientra nel diritto di proprietà e nella libertà contrattuale del cittadino.
… ai Comuni
Malgrado ciò, diversi Comuni hanno varato regole restrittive: Firenze ha introdotto dal 31 maggio 2025 una stretta con superficie minima di 28 mq per gli appartamenti turistici, obbligo di iscrizione al registro comunale, divieto di nuove licenze nell’area Unesco e obbligo di rimozione delle key box per ragioni di decoro urbano (queste ultime però riabilitate dal Tar). Venezia, Roma e Bologna hanno previsto limiti temporali (a Venezia massimo 120 giorni l’anno), varianti urbanistiche e ulteriori autorizzazioni. Provvedimenti che, secondo l’Associazione italiana gestori affitti brevi (Aigab), finiscono per generare più contenziosi che benefici. Il risultato sarebbe così un patchwork normativo che complica la vita a chi opera nel settore. L’obbligo del Cin, le nuove regole antincendio e i registri comunali si traducono in costi crescenti per proprietari e property manager. Molti operatori hanno già ridotto l’offerta o ritirato gli annunci dalle piattaforme online, con un calo stimato dell’11% a livello nazionale e punte del 20% nei centri storici più colpiti dall’overtourism.
La richiesta di una legge nazionale unica
Ma quali son gli effetti? Intanto, va detto che secondo uno studio di Facile.it di fine 2024, solo 1 proprietario su 5 era già in linea con l’obbligo del Cin, mentre il 33 % non era nemmeno a conoscenza della sua esistenza. Ancora più allarmante, però, era che 8 mesi fa quasi 9.300 locatori intendevano interrompere l’attività, «perché sta diventando troppo complicata».
Tutti questi segnali convergono verso una diagnosi chiara: senza semplificazione normativa e un approccio condiviso, il mercato potrebbe contrarsi, penalizzando turismo diffuso, redditività per piccoli locatori e la stessa capacità delle città di rispondere alle nuove forme di ospitalità. La questione, sostengono associazioni di categoria e giuristi, non può essere dunque risolta a colpi di regolamenti locali (secondo un report dell’Associazione italiana gestori affitti brevi (Aigab), in Italia, oltre ai regolamenti comunali, esistono 20 normative regionali diverse sugli affitti brevi). L’unica via invocata è quella di una legge nazionale chiara che stabilisca requisiti minimi uniformi lasciando agli enti territoriali soltanto compiti residuali in materia urbanistica e di sicurezza.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link