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Seminare Possibilità: fattorie didattiche e sociali per il cambiamento, il benessere, l’empowerment e la giustizia sociale


In un contesto sempre più segnato dalla crescente urbanizzazione, dove il contatto diretto con la natura appare un privilegio riservato a pochi, le aziende agricole multifunzionali che integrano servizi didattici e attività sociali, sia erogative che inclusive (come specificato dal regolamento regionale di Regione Lombardia), emergono come catalizzatori di un profondo cambiamento sociale e ambientale. Questi spazi, pensati per essere comunitari e collettivi, vanno ben oltre la mera funzione di ospitare: si trasformano in autentici centri di empowerment, promuovendo la giustizia sociale, il benessere collettivo e la sostenibilità. Ogni attività svolta all’interno di questi luoghi diventa un’opportunità di crescita, di inclusione e di recupero delle storie che ci legano alla terra, diventando motore di trasformazione sociale e culturale. Quando parliamo di “Seminare Possibilità” non pensiamo solo alla metafora della semina agricola, ma un invito a seminare le basi di una società più inclusiva, consapevole e resiliente. Riconosciamo alla terra non solo una risorsa produttiva (e da sfruttare in ottica quantitativa come sembra risultare dal sistema politico attuale), ma un luogo di relazione, crescita e riscatto umano, un gesto di fiducia nel futuro, un atto educativo e di lotta politica.

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Dalla Terra alla Comunità: Agricoltura, Inclusione Sociale e Speranza 

Nonostante la PAC (Politica Agricola Comunitaria) 2023–2027 rappresenti una svolta potenziale per l’agricoltura europea, aprendo per la prima volta in modo più strutturato alla dimensione sociale dell’agricoltura, restano comunque evidenti i limiti e le criticità. L’iniquità della PAC continua a essere uno dei temi più dibattuti nel mondo rurale europeo, sollevando preoccupazioni da parte di agricoltori, attivisti e reti contadine, che denunciano la distribuzione squilibrata delle risorse e gli effetti negativi sulla sostenibilità sociale e ambientale dell’agricoltura. Il problema non è solo tecnico, ma strutturale: possiamo ancora dire che l’80% dei fondi europei per l’agricoltura finisce nelle mani del 20% delle aziende, ovvero delle grandi imprese agroindustriali che dominano il mercato. Durante la conferenza “Ripensare la regolamentazione dei mercati per la transizione agroecologica in Europa”, organizzata dall’ECVC (European Coordination Via Campesina) a Bruxelles il 3 e 4 marzo 2025, il Commissario per l’Agricoltura e l’Alimentazione, Christophe Hansen, ha ribadito l’importanza di garantire che i pagamenti della PAC vadano a chi ne ha realmente bisogno. Secondo Hansen, i fondi non dovrebbero finire nelle mani delle grandi imprese agroalimentari, ma piuttosto sostenere i piccoli agricoltori, le aziende familiari e le nuove generazioni che vogliono intraprendere questo mestiere. Il sistema attuale premia ancora la dimensione, non il valore sociale, ecologico o culturale dell’agricoltura, penalizzando coloro che praticano forme più sostenibili e locali, come l’agroecologia, l’agricoltura contadina, quella multifunzionale o di prossimità. Queste pratiche vengono sistematicamente escluse, marginalizzate o costrette a resistere senza adeguati sostegni, nonostante il loro potenziale di promuovere un’agricoltura più inclusiva e sostenibile.

In Italia, l’agricoltura sociale non nasce solo come strumento di welfare o come estensione del settore agricolo, ma si sviluppa soprattutto grazie a reti dal basso e da iniziative dettate dalla sensibilità individuale— cooperative sociali, gruppi di acquisto solidale, comunità terapeutiche, realtà legate al mondo delle persone con disabilità, del consumo critico e dell’economia alternativa. Questo la distingue da altri modelli europei più “istituzionalizzati”.

Affinché il “diritto all’inclusione” non rimanga solo una parola vuota, è fondamentale riflettere sulla necessità (da parte delle aziende agricole che vogliono cogliere la sfida), di creare contesti davvero sostenibili sia sul piano economico che ambientale e sociale , dotati di caratteristiche specifiche in grado di rispondere alle necessità fondamentali delle persone che si trovano situazioni di vulnerabilità (e non!) e del contesto ambientale in cui si trovano. Ma perché questo si realizzi diventa necessaria una formazione specifica in tal senso che la PAC dovrebbe promuovere e sostenere. Le aziende dovrebbero per esempio considerare la difficoltà nel fornire modelli anticipatori dell’esperienza a lavoratrici, lavoratori e partecipanti occasionali. Considerare la difficoltà nel decifrare le intenzioni altrui e nell’organizzare le proprie azioni in sequenze coerenti. Devono essere, allo stesso tempo, stimolanti ma non caotiche, rispondendo ai bisogni di prevedibilità, comprensibilità, coerenza, strutturazione e organizzazione, che sono essenziali per garantire un’esperienza di apprendimento e partecipazione fruibile da tutte e tutti. Devono dotarsi di un linguaggio inclusivo e libero da stereotipi e pregiudizi oltre che una scrupolosa formazione in materia di sicurezza e primo soccorso. Promuovere mercati di prossimità e stagionalità.

Il contesto rurale si rivela particolarmente adatto a rispondere a queste esigenze: offre un ambiente semplice, ma al tempo stesso ricco di stimoli e attività significative, caratterizzate da confini chiari in termini di inizio, fine e obiettivo. Le attività quotidiane – come pulire, nutrire gli animali, estirpare le infestanti, concimare – seguono una ritmicità e una prevedibilità che si allineano in modo naturale ai bisogni di coerenza e struttura propri delle persone in situazioni di vulnerabilità. Tuttavia, la sfida non riguarda solo l’individuazione degli spazi fisici adatti, ma anche l’approccio culturale e relazionale. Tra il rischio di una generica retorica inclusiva e quello di un’eccessiva tecnicizzazione degli interventi, resta irrisolto il nodo centrale: l’autentico riconoscimento dell’altro, nella sua interezza, con le sue fragilità, specificità e modalità di essere nel mondo.

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In questa visione, ci sembra centrale il pensiero di Antonio Onorati, Contadino e Attivista, che sostiene che il diritto alla terra sia fondamentale per garantire equità e dignità, e che le pratiche contadine non debbano essere marginalizzate, ma piuttosto valorizzate come strumenti di giustizia sociale e partecipazione democratica. Le fattorie didattiche non devono essere considerate semplicemente come luoghi educativi, ma come spazi di relazione, resistenza e trasformazione. Riconnettere le persone alla terra significa restituire valore al lavoro agricolo, rompere le disuguaglianze urbane-rurali e promuovere una cultura del cibo che sia giusta, solidale e sostenibile. Si tratta di un’agricoltura che include, perché riconosce tutte e tutti come parte attiva di un sistema alimentare equo, accessibile e rispettoso dell’ambiente. Questo approccio, quindi, va ben oltre il semplice concetto di educazione alimentare, diventando un movimento sociale che promuove la giustizia sociale attraverso la connessione tra le persone e la terra. Senza un contributo attivo della popolazione locale non esiste sviluppo sostenibile. Questo principio è alla base di ogni vera trasformazione sociale e culturale: lo sviluppo non può essere imposto dall’alto, ma deve nascere dalla partecipazione e dall’impegno della comunità che ne è protagonista. Sono evidenti le conseguenze di soluzioni sostenibili imposte dall’alto che sfociano in protesta.

Esempio calzante sono il modello proposto dagli orti sociali, che nascono dalla volontà di rispondere a diverse esigenze della comunità, ma soprattutto alla necessità di ricostruire legami sociali, ridurre le disuguaglianze e promuovere un benessere condiviso. Le persone che partecipano a queste iniziative spesso provengono da contesti complessi. L’orto sociale offre loro un’opportunità di riscatto e di crescita personale, e diventa un luogo di incontro dove le differenze vengono superate dal desiderio comune di costruire qualcosa insieme. In questi spazi, la terra diventa simbolo di speranza, dove ogni seme piantato rappresenta una possibilità di cambiamento. La coltivazione dell’orto non è solo un gesto pratico, ma un atto simbolico di resistenza-resilienza a partire dalla scelta di un seme, invece di un altro.

Esperienze d’Orti sociali: Benessere, connessioni e Giustizia Sociale come risultato concreto 

Gli orti sociali sono uno degli strumenti più efficaci per promuovere l’empowerment sociale. L’empowerment si riferisce al processo attraverso cui le persone acquisiscono le competenze necessarie per prendere decisioni, risolvere problemi e migliorare le proprie condizioni di vita. Nel contesto degli orti sociali, avviene attraverso la partecipazione attiva alle attività agricole, ma anche nella gestione della comunità stessa. Partecipare a un orto sociale significa acquisire competenze pratiche, come la cura delle piante, la gestione del terreno, la pianificazione e l’organizzazione. Ma poi si va oltre l’aspetto pratico: imparare a collaborare, dialogare e prendersi cura di un progetto comune significa accrescere la fiducia in sé e negli altri. Le persone, spesso isolate o fragili, possono sentirsi empowered nell’affrontare le sfide della vita quotidiana, con un maggiore senso di autoefficacia e di valore. 

Anche la giustizia sociale è uno degli aspetti cardine degli orti sociali. Questi spazi sono creati con l’intento di promuovere l’equità e di garantire che tutti abbiano accesso a risorse fondamentali come cibo sano e opportunità di crescita personale. Spesso le persone che più beneficiano di queste iniziative sono quelle che vivono in contesti svantaggiati, come le aree urbane periferiche o le aree a basso reddito, dove l’accesso al cibo sano è più limitato. 

L’orto sociale è un luogo dove il diritto al cibo sano e sostenibile è visto come un diritto universale. Condividere l’esperienza di coltivare e raccogliere i propri frutti permette alle persone di recuperare la sovranità alimentare e di ridurre la dipendenza da grandi catene di distribuzione. Inoltre, l’orto sociale aiuta a sensibilizzare sulle disuguaglianze economiche e sociali, promuovendo una distribuzione equa delle risorse e la partecipazione attiva nella costruzione di una comunità più giusta.

Concludo presentando due iniziative che negli ultimi anni ho avviato nella mia azienda agricola ispirate a questi valori. Due orti aziendali aperti a più realtà — cooperative sociali, suole dell’infanzia, primarie, realtà educative del territorio. Ognuna di loro si prende cura di una parte degli orti, di un’aiuola tematica, o realizzano un percorso esperienziale: chi pianta, chi costruisce elementi decorativi, chi raccoglie fiori per la successiva essicazione e trasformazione in infusi, chi cura le piante aromatiche, chi realizza un laghetto biodiverso o ancora preparano un sentiero sensoriale. 

L’orto e gli spazi crescono nel tempo e con le persone, non ha un unico autore, ma si costruisce per sovrapposizioni di cura, di gesti e di significati. 

Ogni partecipante lascia qualcosa di sé: la sua pianta preferita, una personalizzazione delle staccionate, una pianta acquatica, un pesce, un rituale di semina. E chi arriva dopo lo incontra, lo custodisce, lo reinterpreta, lo fa crescere ancora. Si genera così un dialogo tra generazioni, tra culture, tra diversità, dove la terra diventa testimone silenziosa di ogni passaggio umano. 

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Il progetto include un calendario condiviso di attività stagionali: la semina, il raccolto, feste legate alle tradizioni locali e non, laboratori creativi e sensoriali. I partecipanti imparano osservando il ciclo delle stagioni, lavorando con le mani, ascoltando storie raccontate da altri partecipanti o da educatori, e scoprendo il valore del tempo lento e della cura. Le cooperative sociali coinvolgono persone con disabilità, in percorsi di inserimento lavorativo o terapeutico, trovando in quell’orto un contesto non stigmatizzante, anzi valorizzante, in cui il contributo di ciascuno è essenziale per l’equilibrio generale. Le attività vengono monitorate e misurate in termini di obbiettivi di apprendimento fino al raggiungimento si specifici criteri di padronanza personalizzati. 

Da qui, in parallelo, attività più propriamente didattiche rivolte alle scuole primarie del territorio. L’orto sociale e più in generale l’azienda agricola descritta e presentata come spazio condiviso di educazione e crescita, diventa un luogo ideale per integrare riflessioni filosofiche profonde. Durante l’anno scolastico 2024/2025, ispirandosi ai testi di Barbara Franco, “Filosofia per i più piccoli”, ed “Educazione all’aperto con filosofia” di Luca Mori, è stato applicato il metodo della Philosophy for Children (P4C) alla scoperta della realtà agricola. Il metodo, offre un’opportunità unica per stimolare il pensiero critico attraverso il dialogo e l’osservazione della natura, trasformando l’esperienza agricola in un esercizio filosofico. In questo contesto, il pensiero di Eraclito, con la sua visione di una natura che “ama nascondersi”, invita a esplorare il cambiamento e il mistero della realtà, suggerendo che non tutto è immediatamente comprensibile ma si svela con il tempo e l’osservazione. Microscopi, Lenti, analisi sensoriale come metodo. Compagni di viaggio speciali come Cartesio che dalla sua busta estrae un’immagine sul mondo agricolo mettendoci nella condizione di dubitare. Socrate, che con il suo metodo dialettico, incoraggia il dialogo e la ricerca delle risposte attraverso il confronto. Edith Stein che nell’orto sociale e nella fattoria degli animali vede un luogo dove l’empatia e l’esperienza vissuta ci connettono agli altri, agli animali e al mondo, unendo le persone in una comunità che cresce insieme, nutrendosi non solo di cibo, ma anche di relazioni umane autentiche e di un senso profondo di appartenenza e cura reciproca. Hans Jonas che preoccupato della responsabilità dell’uomo verso la natura e dell’uomo di oggi verso le generazioni future, stimola all’utilizzo di materiali riciclati per il continuo delle attività (si ringrazia la classe prima della scuola primaria di Montedine(Cr) che per prima ha aderito al progetto). 

Queste aziende agricole, e non sono poche, rappresentano molto più di semplici ettari di terreno utili a ricevere contributi PAC. Sono veri e propri laboratori di cambiamento sociale, che offrono opportunità e speranza a chi ha vissuto esperienze di esclusione di ogni tipo (magari perché semplicemente donne). Promuovono benessere, empowerment e giustizia sociale, facilitano il dialogo tra più professionisti, discipline e con le nuove generazioni. In un mondo sempre più segnato da disuguaglianze, propongono un modello di comunità possibile, fondato sulla collaborazione, sull’autonomia e sul rispetto per ogni forma di vita — umana, vegetale e animale.



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