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L’Italia insegue l'”Europa digitale”, ecco i 4 obiettivi improrogabili per il 2030


Per Bruxelles la trasformazione digitale non è più un auspicio ma un impegno politico vincolante. Entro il 2030, l’Unione europea dovrà essere digitale, inclusiva e competitiva. Ma l’uscita del nuovo rapporto Eurispes sulla trasformazione digitale mette in luce quanto l’Italia sia ancora distante dai target fissati dal Programma strategico per il Decennio digitale 2030. La Commissione ha introdotto un meccanismo di sorveglianza annuale, con Digital Decade Country Reports e raccomandazioni specifiche per ciascun Paese. L’Europa misura i progressi, li confronta e li rende parte di un processo politico collettivo.

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Dentro questo schema, l’Italia appare in affanno. Il report Eurispes fotografa divari strutturali nelle competenze, nella diffusione delle infrastrutture, nell’adozione tecnologica delle imprese e nella digitalizzazione della pubblica amministrazione. Lacune che non riguardano solo i numeri, ma il rischio di esclusione sociale e competitiva di ampie fasce della popolazione e del sistema produttivo.

1.     80% di competenze digitali entro il 2030

Il primo pilastro del Decennio digitale è il capitale umano. La Commissione europea ha stabilito che entro il 2030 almeno l’80% della popolazione adulta dovrà avere competenze digitali di base. Al momento, secondo Eurostat (2023), la media europea si ferma al 54%. Una percentuale che riflette squilibri fortissimi: i Paesi nordici viaggiano oltre il 70%, mentre in Europa mediterranea e orientale i valori scendono drasticamente.

L’Italia è in coda alla classifica con appena il 46%. La distanza non è solo dal target, ma anche dalla media Ue. Il dato si aggrava se si guarda alle fasce d’età: tra gli over 60 meno di un terzo possiede competenze minime, mentre gli under 30 superano il 70%. La spaccatura generazionale è evidente, e si combina con quella territoriale. Nel Mezzogiorno e nelle aree interne l’accesso e l’uso degli strumenti digitali restano marginali, accentuando disuguaglianze preesistenti.

Il Programma europeo lega direttamente le competenze alla competitività. Non basta insegnare a usare un computer o navigare online: l’Ue calcola che entro il 2030 serviranno almeno 20 milioni di specialisti Ict, il doppio rispetto agli attuali meno di 9 milioni. Una sfida che investe l’intero sistema educativo e formativo. Il rapporto Eurispes evidenzia come l’Italia abbia difficoltà a colmare il gap, anche per la carenza strutturale di percorsi Stem e la scarsa attrattività delle carriere digitali. A pesare è anche la scarsa presenza femminile: in Europa meno del 20% degli specialisti Ict sono donne, in Italia si scende al 15,7% (Istat 2023).

La Commissione inserisce la parità di genere come obiettivo esplicito, consapevole che senza un riequilibrio non sarà possibile raggiungere i numeri necessari. Ma il problema non riguarda solo le statistiche: la carenza di tecnici qualificati frena la capacità dei Paesi di implementare soluzioni avanzate, dalle piattaforme sanitarie alle infrastrutture pubbliche. Per l’Italia, dove la Pa fatica a reclutare figure specialistiche, la questione rischia di diventare un collo di bottiglia permanente.

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2.     Infrastrutture digitali tra banda larga, 5G e sovranità tecnologica

Il secondo asse del Programma punta a creare una base tecnologica solida, sicura e sostenibile. La Commissione ha stabilito obiettivi chiari: entro il 2030 tutte le famiglie europee dovranno avere accesso a una connessione a 1 Gbps e tutte le aree popolate dovranno essere coperte dal 5G. Un traguardo che, ad oggi, appare distante: solo il 70% delle abitazioni Ue è raggiunto da connessioni gigabit (Desi 2022).

La frammentazione tra Stati membri è ampia. In Spagna la copertura Ftth supera l’88%, in Francia il 66%. L’Italia si ferma al 22%, ben al di sotto della media. Le velocità medie sono in crescita (71,4 Mbps su rete fissa, 46,03 Mbps su mobile – Digital 2024), ma lontane dall’obiettivo gigabit. Il Pnrr ha destinato 6,31 miliardi di euro a infrastrutture e connettività, ma secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio a inizio 2025 meno della metà delle risorse era stata utilizzata. Per Bruxelles, però, la questione non è solo quantitativa. L’Europa vuole ridurre la dipendenza tecnologica e sviluppare una sovranità digitale che passa dalla produzione di semiconduttori, microelettronica, sistemi di calcolo ad alte prestazioni (Hpc) e standard comuni di cybersicurezza. La Commissione lavora a criteri minimi e sistemi di certificazione per proteggere infrastrutture critiche, in un contesto segnato dall’aumento degli attacchi informatici.

A tutto questo si somma la dimensione ambientale. La digitalizzazione europea dovrà essere sostenibile: data center a basso impatto, riduzione della carbon footprint, reti intelligenti per gestire in modo efficiente energia e risorse. Il Programma lega esplicitamente il digitale al Green Deal, trasformando la transizione tecnologica in un’asse complementare a quella ecologica.

L’Italia, secondo il rapporto Eurispes, partecipa a questa corsa ma con un ritardo sistemico. Non solo infrastrutturale, ma anche finanziario: le imprese italiane investono in media lo 0,9% del fatturato in digitalizzazione, contro l’1,5% europeo e il 2,4% della Germania. Un gap che rischia di trasformare l’obiettivo europeo di coesione digitale in una nuova linea di frattura.

3.     Innovazione a due velocità

Il terzo asse riguarda le imprese, cuore della competitività europea. La Commissione ha fissato un traguardo preciso: entro il 2030 il 75% delle aziende dovrà adottare tecnologie digitali avanzate, dal cloud all’intelligenza artificiale, fino all’analisi dei big data.

I dati mostrano un’Europa a due velocità. Secondo Eurostat (2023), solo il 45% delle imprese utilizza servizi cloud e meno dell’8% ha adottato soluzioni di intelligenza artificiale. Nei Paesi nordici e in alcune economie dell’Ovest l’adozione è più rapida, mentre in quelli mediterranei e orientali resta marginale.

Il tessuto italiano appare ancora più debole. Solo il 22% delle imprese usa il cloud, contro il 34% della media Ue, e appena il 6% sperimenta l’Ia, rispetto al 10% europeo. Le piccole e medie imprese sono l’anello più fragile: appena il 58% ha raggiunto un livello base di digitalizzazione, contro il 69% Ue (Eurobarometro 2025). Un ritardo che riflette carenze di competenze interne, difficoltà di accesso al credito e procedure complicate per sfruttare incentivi e fondi.

Il Programma europeo mette a disposizione strumenti mirati: European Innovation Council, Piano d’azione per le Pmi, fondi del Next Generation EU. L’obiettivo non è solo spingere l’adozione tecnologica, ma legarla alla transizione verde, in una logica di competitività sostenibile. In Italia, il Piano Transizione 5.0 introduce crediti d’imposta per investimenti digitali e green, ma il rischio, come segnala Eurispes, è quello di una digitalizzazione selettiva, concentrata nei settori già competitivi.

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Il nodo europeo resta l’asimmetria. Senza un’adozione diffusa e omogenea, l’Ue rischia di consolidare una doppia frattura: tra grandi e piccole imprese, e tra aree più e meno digitalizzate. Una sfida che mette in discussione l’obiettivo stesso di un mercato unico tecnologicamente integrato.

4.     Pubblica amministrazione e cittadinanza digitale

Il quarto asse del Decennio digitale tocca la sfera istituzionale e democratica. Per Bruxelles tutti i principali servizi pubblici dovranno essere accessibili online entro il 2030, in modo sicuro, semplice e interoperabile.

Secondo il Desi 2022, tre cittadini europei su quattro utilizzano almeno occasionalmente i servizi pubblici digitali, ma solo il 57% li considera davvero semplici. Un dato che rivela una difficoltà strutturale: la digitalizzazione non si misura solo sulla disponibilità dei servizi, ma sulla loro effettiva usabilità. Il caso italiano, descritto dal rapporto Eurispes, è emblematico. Solo il 43% dei cittadini ha interagito online con la Pa nell’ultimo anno, contro una media europea del 61% (Eurobarometro 2025). Strumenti come Spid, Cie, App Io, PagoPa e Fascicolo sanitario elettronico sono diffusi, ma l’utilizzo regolare resta limitato: su oltre 36 milioni di identità Spid attive, solo il 37% è usato con costanza (Agid 2024).

La frammentazione dei sistemi informativi e la scarsa interoperabilità sono il vero ostacolo. Secondo Istat (2023), il 48% degli italiani incontra difficoltà nell’utilizzo di almeno un servizio digitale pubblico, indicando come barriere principali la complessità delle procedure e l’assenza di supporto umano. Il Pnrr ha destinato oltre 6 miliardi di euro alla digitalizzazione della Pa, ma la traduzione operativa è ancora in corso e rallentata da ostacoli tecnici e organizzativi.

L’Ue insiste sulla creazione di una identità digitale europea, pensata per consentire ai cittadini di accedere ai servizi pubblici in qualsiasi Stato membro. Una scommessa che richiede interoperabilità reale, non solo formale. Per l’Italia, che fatica a far dialogare i propri sistemi interni, l’obiettivo appare complesso.

Accanto alla digitalizzazione della Pa, Bruxelles ha rafforzato il ruolo dell’Edmo (European Digital Media Observatory), che coordina hub nazionali per contrastare la disinformazione e promuovere la media literacy. Un tema che il report Eurispes collega alla fragilità della cittadinanza digitale italiana: diffidenza, scarsa capacità di utilizzo critico delle piattaforme, vulnerabilità rispetto a fake news e manipolazioni. La sfida europea, in questo ambito, è duplice: non solo modernizzare i servizi, ma rafforzare la fiducia dei cittadini nel progetto digitale comune.



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