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La Settimana Economica | n. 33/2025


Negli Stati Uniti il deficit federale ha toccato un nuovo massimo: l’aumento delle entrate doganali non è bastato a contenerlo, e l’impatto dei dazi sull’inflazione rimane, per ora, più limitato del previsto. Tuttavia, i dati PPI e l’incertezza sulla governance economica invitano alla cautela.

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In Europa, Regno Unito e Svizzera la crescita mostra segni di affaticamento, complice il peggioramento del mercato del lavoro e gli effetti delle tariffe. La Spagna rappresenta un’eccezione con l’Ibex-35 sui massimi dal 2007, mentre la produzione industriale dell’area euro è tornata in calo.

MERCATI FINANZIARI

FTSE MIB: 42653,97, +2,47% questa settimana, +24,18% da inizio anno
STOXX 600: 553,57, +1,25% questa settimana, +8,28% da inizio anno 
DAX: 24359,30, +0,69% questa settimana, +21,84% da inizio anno 
IBEX: 15277,19, +3,03% questa settimana, +30,48% da inizio anno 
CAC 40: 7923,46, +2,6% questa settimana, +7,18% da inizio anno
NASDAQ: 21622,98, +0,81% questa settimana, +11,44% da inizio anno 
SP 500: 6449,79, +0,94% questa settimana, +9,26% da inizio anno 
US10Y: 4,32%, +3,7 punti base questa settimana, -25 punti base da inizio anno 
US02Y: 3,755%, -0,4 punti base questa settimana, –50,1 punti base da inizio anno 
US10Y–US02Y: 0,567%, +4,1 punti base questa settimana, +25,1 punti base da inizio anno
IT10Y: 3,518%, 0 punti base questa settimana, -4 punto base da inizio anno
SPREAD: 73,10 punti base, -9,7 punti base questa settimana, -44 punti base da inizio anno 
VIX: 15,08, -0,46% questa settimana, -12,38% da inizio anno
BTC: $117665,00, -1,37% questa settimana, +26,04% da inizio anno 

FOCUS DELLA SETTIMANA 
 

STATI UNITI 

Deficit federale USA: luglio a un nuovo massimo nonostante l’impennata delle entrate doganali

Il deficit federale degli Stati Uniti ha toccato a luglio i 291 miliardi di dollari (248 miliardi di euro), +19% rispetto al 2024 e nuovo record storico per il mese, secondo il Tesoro.

La spesa pubblica ha registrato un aumento straordinario: più trasferimenti per la sicurezza sociale, maggiori costi di Medicare e Medicaid, interessi sul debito e programmi di difesa, istruzione e sanità.

Le entrate doganali, pur quadruplicate a 27,7 miliardi di dollari dai 7,1 miliardi di un anno fa, non hanno compensato la crescita delle uscite.

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Il bilancio federale mostra forte volatilità: a maggio il deficit era sceso a 316 miliardi (219 miliardi corretti per calendario), mentre a inizio giugno un surplus apparente si era rivelato in realtà un disavanzo di 71 miliardi.

Il dato di luglio conferma una realtà strutturale: le tariffe generano gettito, ma non incidono sull’asimmetria di fondo tra spesa e entrate, che continua ad allargare il divario fiscale.

 

Inflazione alla produzione USA e aspettative sui tassi: mercati più cauti

A luglio il PPI statunitense ha registrato il maggiore aumento degli ultimi due anni nei margini al dettaglio e all’ingrosso, ridimensionando le aspettative di un taglio consistente dei tassi da parte della Federal Reserve.

Il dato ha spinto al rialzo i rendimenti del Tesoro, rafforzato il dollaro e frenato Wall Street, raffreddando le ipotesi di un taglio di 50 punti base a settembre. La Fed ribadisce un approccio più prudente.

L’attenzione ora si concentra sui dati di venerdì: vendite al dettaglio (attese +0,5%), produzione industriale stagnante, prezzi all’importazione stabili e fiducia dei consumatori in aggiornamento.

In parallelo, la Cina mostra segnali di debolezza: produzione industriale ai minimi da otto mesi, vendite al dettaglio in calo e prezzi delle nuove abitazioni a –2,8% su base annua. Pechino valuta nuovi stimoli per contrastare la frenata e le pressioni tariffarie USA.

Nonostante la solidità complessiva, alcuni indicatori mettono in dubbio la tenuta dell’economia americana e del rally azionario, come sottolineato dall’analisi di Jamie McGeever (ROI).

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Trump nomina E.J. Antoni a capo del Bureau of Labor Statistics

Il presidente Donald Trump ha annunciato la nomina di E.J. Antoni, capo economista della Heritage Foundation, come nuovo commissario del Bureau of Labor Statistics (BLS), in sostituzione di Erika McEntarfer, rimossa dopo un rapporto sull’occupazione debole. La nomina dovrà essere confermata dal Senato.

Trump ha accusato il BLS di pubblicare dati “distorti”, promettendo che con Antoni i numeri saranno “onesti e accurati”. Sostenuto da figure come Steve Bannon, Antoni è un critico di lungo corso delle metodologie dell’agenzia e invoca una revisione dei processi statistici.

La decisione solleva preoccupazioni sull’indipendenza dell’istituto, le cui rilevazioni sono fondamentali per la Federal Reserve e per la politica economica. Ex funzionari, tra cui William Beach (già commissario BLS durante il primo mandato Trump), hanno definito la rimozione di McEntarfer “dannosa” per la credibilità del sistema statistico.

Antoni, con un Ph.D. in economia presso la Northern Illinois University, è membro del Committee to Unleash Prosperity e ha contribuito al Progetto 2025, l’agenda di policy conservatrice per un secondo mandato Trump.
 

Timori per l’indipendenza dei dati economici dopo gli attacchi presidenziali

Gli attacchi pubblici di Donald Trump a istituzioni e analisti economici alimentano i timori di un possibile condizionamento dei dati ufficiali o di autocensura tra gli esperti.

Alcuni economisti, come Jan Hatzius (Goldman Sachs), hanno ribadito l’impegno all’indipendenza, ma l’assenza di proteste diffuse suggerisce una crescente cautela.

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Le previsioni, pur spesso imprecise, di uno studio della University of California, Berkeley ha rilevato correttezza solo nel 23% di oltre 16.000 stime analizzate le quali influenzano mercati e decisioni politiche. Un bias sistematico pro-governo potrebbe generare distorsioni informative, spingendo alcuni investitori a ricorrere a dati privati, costosi e non accessibili a tutti, con rischi di inefficienze di mercato.

Nel breve periodo, un simile orientamento potrebbe produrre stime più ottimistiche su occupazione e inflazione, calmando i mercati. Ma eventuali fragilità dell’economia reale emergerebbero comunque, con il rischio di correzioni brusche e disordinate.
 

Tariffe USA: impatto sull’inflazione contenuto, ma i rincari potrebbero arrivare

Nonostante i dazi ai massimi da quasi un secolo, l’inflazione USA non è aumentata quanto temuto. A maggio il tasso tariffario medio ponderato era al 9%, secondo Barclays, contro il 12% stimato e ben sopra il 2,5% di un anno fa. Più della metà delle importazioni restava esente da dazi e molte imprese hanno ridotto gli acquisti dalla Cina.

Anche JP Morgan conferma tassi effettivi più bassi grazie a fornitori alternativi e produzioni domestiche. Tra gennaio e giugno, i dazi hanno generato 58,5 miliardi di dollari di entrate, mentre l’inflazione, pur oltre il target Fed del 2%, è rimasta meno critica del previsto. Tuttavia, a luglio i prezzi all’ingrosso hanno registrato il rialzo mensile più forte in tre anni.

Secondo Barclays, l’effetto tariffario emergerà nei prossimi mesi: la Casa Bianca ha minacciato dazi fino al 250% sui farmaci e 100% sui semiconduttori, e verrà sospesa l’esenzione de minimis sugli acquisti sotto gli 800 dollari. Yale stima tariffe effettive al 18,6%, Barclays le vede salire al 15%.

Gli effetti contenuti potrebbero essere temporanei: molte aziende avevano anticipato le importazioni a inizio anno. Con il venir meno delle scorte, i costi potrebbero ricadere sui consumatori. Come osserva Aditya Bhave (Bank of America), “le aziende sono strategiche negli aumenti dei prezzi”, ma il trasferimento finale appare inevitabile.

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EUROPA

Eurozona: produzione industriale in calo a giugno

A giugno la produzione industriale dell’area euro è scesa dell’1,3% sul mese, più del previsto (–0,9%) e dopo il +1,1% di maggio, secondo Eurostat.

Il calo riflette la fine del front running tariffario: nel primo trimestre molte imprese statunitensi avevano anticipato gli acquisti di beni europei in vista dei dazi USA di aprile, sostenendo temporaneamente la produzione. Conclusa questa fase, l’industria ha segnato una contrazione diffusa.

Tutti i principali comparti hanno registrato ribassi, ad eccezione dell’energia. Tra i Paesi, spiccano l’Irlanda (–11%, crollo dell’export farmaceutico verso gli USA) e la Germania (–2,3%), mentre Francia (+3,8%) e Spagna (+1,1%) hanno mostrato una dinamica opposta.

Nonostante il dato negativo, il PIL dell’area euro nel secondo trimestre è confermato in crescita dello 0,1%. Le prospettive restano deboli: dazi USA e euro forte continueranno a pesare sul manifatturiero, mentre la maggiore spesa per la difesa potrebbe offrire un parziale sostegno nei prossimi trimestri.
 

Spagna: l’Ibex-35 ai massimi dal 2007

L’Ibex-35 ha chiuso mercoledì a 15.019 punti, salendo giovedì a 15.113 e avvicinandosi al record storico di novembre 2007 (16.040). L’indice ha registrato otto rialzi consecutivi, trainato da inflazione contenuta e attese di taglio dei tassi USA.

L’inflazione si è mantenuta al 2,7% in Spagna e Stati Uniti, grazie al calo del petrolio, riducendo i timori di effetti immediati della guerra tariffaria. I futures prezzano quasi al 100% un taglio Fed il 17 settembre, nonostante la cautela di Jerome Powell.

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Tra i titoli in evidenza: Grifols (+2,18%), Rovi (+3,42%), Fluidra (+2,79%), BBVA (+1,68%) e Santander (+1,51%). Da inizio anno, l’Ibex ha guadagnato +30%, risultando uno degli indici più performanti del continente.
 

Regno Unito: mercato del lavoro in raffreddamento

Nel secondo trimestre 2025 il mercato del lavoro britannico ha mostrato nuovi segnali di debolezza. Il tasso di disoccupazione è salito al 4,7% (dal 4,5% del primo trimestre), con un calo di 26.000 occupati tra maggio e giugno e una flessione stimata di altri 8.000 a luglio. Le offerte di lavoro sono diminuite del 5,8%, attestandosi a 718.000.

Il rallentamento riflette l’aumento delle tasse sul lavoro, i costi energetici elevati e la prudenza dei consumatori. Secondo la Confederation of British Industry, l’incertezza globale e la nuova legislazione frenano le assunzioni.

La Banca d’Inghilterra ha tagliato i tassi di interesse di un quarto di punto e valuta un nuovo intervento a novembre, notando un allentamento delle pressioni salariali. I salari medi (esclusi i bonus) sono cresciuti del 5,0% annuo fino a giugno, in linea con le attese.

Restano criticità nei dati dell’Office for National Statistics, con un calo delle risposte ai sondaggi post-pandemia che rende più difficile misurare partecipazione e occupazione.

A livello macroeconomico, il PIL del secondo trimestre dovrebbe segnare un rallentamento rispetto al forte avvio d’anno, complice il calo delle esportazioni. Nonostante un accordo tariffario favorevole con gli Stati Uniti, le imprese restano caute: solo il 25% prevede nuove assunzioni nei prossimi tre mesi, secondo la British Chambers of Commerce.
 

Crescita in rallentamento, ma resilienza nonostante tariffe e tasse più alte

Nel secondo trimestre 2025 l’economia britannica è cresciuta dello 0,3%, in calo rispetto allo 0,7% del primo trimestre. Su base annualizzata la crescita è stata dell’1,4%, ben sotto il 3% USA nello stesso periodo, secondo i dati dell’Office for National Statistics.

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Le tariffe statunitensi, introdotte ad aprile, hanno ridotto le esportazioni britanniche di 700 milioni di sterline, al livello più basso dal 2022. Nonostante ciò, al netto del front-running la crescita della prima metà del 2025 (+1,1%) è stata più solida rispetto allo 0,1% del semestre precedente.

La Banca d’Inghilterra ha rivisto al rialzo le stime di crescita per l’anno all’1,25% (da 1%) e prevede continuità nei prossimi trimestri. Tuttavia, il mercato del lavoro mostra segnali di raffreddamento e i consumatori restano cauti: il tasso di risparmio è ai massimi dal 2007.

Sul fronte fiscale, i ripetuti aggiustamenti di tasse e spesa per rispettare le regole di bilancio potrebbero portare a nuove strette entro fine anno. Sul piano monetario, la BoE ha ridotto i tassi al 4,00%, segnalando prudenza per ulteriori tagli.
 

Svizzera: crescita in forte rallentamento, pesa la minaccia di nuove tariffe USA

Nel secondo trimestre 2025 il PIL svizzero è cresciuto solo dello 0,1%, in netto calo rispetto allo 0,8% dei primi tre mesi, secondo la stima flash di SECO.

La frenata riflette la fine del front running tariffario: nel Q1 gli Stati Uniti avevano accumulato farmaceutici svizzeri, ma con l’entrata in vigore dei dazi ad aprile le esportazioni sono diminuite. Il comparto farmaceutico (Roche, Novartis) ha guidato la contrazione, solo in parte compensata dai servizi.

A fine luglio Washington ha annunciato un dazio del 39% sulle importazioni svizzere, uno dei più alti al mondo. Secondo Goldman Sachs, la misura potrebbe ridurre il PIL di circa 0,5% in un anno. La Swissmem ha parlato di “scenario da incubo”, con il rischio di decine di migliaia di posti di lavoro persi.

Oltre ai farmaceutici, sarebbero colpiti anche orologi di lusso e gruppi come Nestlé. I dettagli sulle aliquote effettive restano da definire.

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Con inflazione quasi nulla, un franco forte e prospettive in peggioramento per export e investimenti, la Banca nazionale svizzera potrebbe riportare i tassi sotto zero entro fine anno, dopo averli già mantenuti negativi per otto anni fino al 2022.
 

PROSPETTIVE 

Nei prossimi giorni i mercati globali guarderanno con attenzione ai dati e alle decisioni delle principali banche centrali.

Stati Uniti. Il simposio di Jackson Hole, con l’atteso intervento del presidente della Fed Jerome Powell, sarà cruciale per chiarire se a settembre ci sarà davvero un taglio dei tassi. Gli operatori già prezzano con oltre il 90% di probabilità un taglio di 25 punti base, mentre la Casa Bianca spinge per un intervento più ampio. Importanti anche i dati PMI e le nuove rilevazioni sull’edilizia.

Canada. Martedì usciranno i dati sull’inflazione di luglio, decisivi per capire se la Bank of Canada seguirà la Fed con un taglio a settembre o se opterà per una pausa.

Eurozona. Attesi i PMI di agosto e l’indice di fiducia dei consumatori, oltre alla pubblicazione del PIL tedesco e dell’indagine sul sentiment delle imprese francesi. Le nuove tariffe USA restano un fattore di incertezza per manifattura e servizi.

Regno Unito. L’attenzione sarà rivolta ai dati sull’inflazione di luglio, dopo il rialzo oltre le attese di giugno. La Bank of England ha già tagliato i tassi ad agosto, ma nuovi segnali di accelerazione dei prezzi potrebbero frenare ulteriori allentamenti.

Scandinavia. La Riksbank svedese dovrebbe lasciare invariato il tasso al 2%, pur mantenendo aperta la porta a nuovi tagli in autunno se l’impatto delle tariffe USA peserà sull’economia.

Asia. In Giappone i dati sull’inflazione dovrebbero confermare una crescita dei prezzi ben sopra l’obiettivo del 2%, mentre le esportazioni continuano a soffrire per i dazi americani. In Cina, invece, la Banca centrale dovrebbe mantenere invariati i tassi, con eventuali misure di stimolo rinviate all’ultima parte dell’anno.

Oceania. La Reserve Bank of New Zealand è attesa a un nuovo taglio dei tassi, proseguendo il ciclo di allentamento iniziato nel 2024, mentre in Australia il calendario macro rimane scarno.

Sud-est asiatico. In Indonesia la banca centrale dovrebbe mantenere i tassi fermi, valutando l’impatto dell’ultimo taglio di luglio. In Thailandia il PIL del secondo trimestre dovrebbe confermare una perdita di slancio, frenato da turismo e manifattura, mentre in Malesia i dati su commercio e inflazione indicheranno la tenuta della domanda interna. A Singapore, infine, le esportazioni non petrolifere di luglio potrebbero segnare una contrazione, dopo la forte crescita del secondo trimestre.



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