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Caro ombrellone 2025, come “democratizzare” le vacanze con un modello win-win


L’estate italiana ha un sapore più amaro per le famiglie del nostro Paese. Le spiagge si svuotano e la colpa non è certo del clima. Il “caro ombrellone” apre il vaso di Pandora: tra la caduta libera dei salari reali e il sistema “medievale” delle concessioni balneari, persino le vacanze sono diventate impossibili.

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Caro ombrellone 2025: i numeri di un’estate inaccessibile

Secondo l’ultima ricerca di Altroconsumo, nel 2025 l’aumento medio dei prezzi di ombrelloni e lettini è del 5% rispetto all’anno precedente e del 17% rispetto al 2021. Così per una famiglia ci vogliono mediamente 212 euro per riposare in spiaggia. Alassio risulta la località più cara: qui, ad agosto, un ombrellone e due lettini nelle prime file costano in media 340 euro a settimana. E nelle località più “economiche” come Rimini, si spendono comunque 150 euro. Una cifra che, moltiplicata per un mese di vacanze, può superare l’intero stipendio di molti lavoratori italiani. A questo vanno aggiunte le consumazioni che devono “obbligatoriamente” essere acquistate all’interno degli impianti, a prezzi gonfiati.

Il calo delle presenze lungo le coste ha raggiunto picchi anche del 25% per cento. Non è difficile capire perché: i salari italiani sono praticamente gli stessi dall’inizio degli anni Novanta, mentre rispetto alla crisi del 2008 sono oggi persino più bassi dell’8,7 per cento in termini reali. Nel frattempo, il ceto medio è sceso dal 59,6% del 2020 al 54,9% dell’ultimo anno, con una famiglia su otto che negli ultimi quattro anni ha fatto esperienza di una compressione del reddito disponibile. A dirlo è la ricerca IREF ACLI.

Il fenomeno delle “concessioni infinite”

Dietro a questi prezzi proibitivi c’è un sistema che crea distorsioni di mercato. Secondo il Centro politiche europee, in Italia sono state assegnate 12.166 concessioni balneari, ciascuna con un fatturato medio annuo di 260 mila euro, spesso tramandate di padre in figlio senza alcuna gara pubblica. Questo nonostante la direttiva Bolkestein che, dal 2006, impone procedure trasparenti e competitive. Dirlo non significa demonizzare gli imprenditori balneari – molti dei quali gestiscono la loro attività con passione o professionalità –, bensì prendere atto di un problema strutturale: il sistema delle concessioni infinite elimina la concorrenza e permette un listino prezzi svincolato dalla reale domanda di mercato. Non solo i consumatori, ma persino gli operatori potrebbero trarre maggiori benefici da un sistema trasparente che premi merito e innovazione. Il “caro ombrellone”, in sostanza, penalizza gli stessi imprenditori.

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha sottolineato che le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente. Così avrebbe dovuto essere entro il 2023. Eppure, governo dopo governo, si è continuato a procrastinare. A un anno dalla riforma Meloni-Fitto – che prevede la proroga delle concessioni fino al 2027 con la facoltà per i Comuni di avviare subito le gare e con la possibilità di un’ulteriore proroga, per contenziosi o difficoltà oggettive, fino al 31 marzo 2028 – soltanto pochissimi Comuni hanno deciso di invertire la rotta. Mentre Bruxelles ha bocciato la bozza del governo sugli indennizzi agli uscenti.

Il potere d’acquisto si riduce

Bisogna considerare, comunque, che il caro ombrellone resta solo la punta dell’iceberg di un problema molto più profondo che tocca l’intero tessuto economico del Paese: la drammatica erosione del potere d’acquisto che rende inaccessibili non soltanto le vacanze, ma molte opportunità di consumo e investimento. I salari reali italiani sono diminuiti dell’8,7% dal 2008, il peggior risultato tra i Paesi del G20. Nello stesso periodo, in Francia gli stipendi sono cresciuti del 25% e in Germania del 20%, mentre l’Italia è rimasta ferma agli anni Novanta. Un fattore che, a cascata, si ripercuote su tutti: i cittadini che non possono fare le vacanze, né accedere ad altre opportunità di consumo e investimento; i professionisti che devono tenere basse le loro tariffe; le imprese che possono contare su un minor numero di potenziali clienti e con minori disponibilità di spesa.

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La soluzione al caro ombrellone? Bandi pubblici e servizi accessibili

Una soluzione per avere – allo stesso tempo – spiagge pulite e servite, che rappresentino un’opportunità per tutti, esiste. Basta semplicemente revocare le concessioni balneari attuali come indicato dall’Ue e bandire gare trasparenti per la gestione di porzioni di litorale, con criteri che premino non solo l’offerta economica più vantaggiosa, ma soprattutto la qualità e l’accessibilità dei servizi offerti. I vincitori dovrebbero garantire per 5 anni:

  • servizi base obbligatori e gratuiti (accesso libero alla spiaggia, docce d’acqua dolce, servizi igienici puliti, battigia pulita e area pic-nic attrezzata, per far consumare anche i pasti portati dall’esterno);
  • servizi aggiuntivi a pagamento con tetti massimi per i prezzi, stabiliti dal Comune (bar, ristorante, parcheggio custodito, lettini e ombrelloni, eventi e serate danzanti, attività sportive e ricreative, piscina, etc).

Un modello win-win

Questo modello porterebbe vantaggi multipli a tutto l’ecosistema economico. Le casse comunali potrebbero incassare canoni di concessione molto più alti di quelli ridicoli attuali, che si aggirano a poche migliaia di euro l’anno, destinando questi introiti al miglioramento dei servizi urbani.

Per gli operatori più dinamici e innovativi, la concorrenza reale rappresenterebbe un’opportunità, non una minaccia. I prezzi più accessibili si tradurrebbero in un numero maggiore di clienti e in un ampliamento del giro d’affari per l’intera filiera turistica, dalle strutture ricettive ai ristoranti, dai trasporti ai servizi. Un circolo virtuoso che l’attuale mercato, bloccato sulle posizioni di rendita, di fatto impedisce.



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