Opportunità uniche acquisto in asta

 ribassi fino al 70%

 

Finché c’è guerra c’è speranza


 

Vuoi acquistare in asta

Consulenza gratuita

 

 

 

 

È proprio vero che finché c’è guerra c’è speranza, come il film con Alberto Sordi del 1974: il dramma grottesco del commercio d’armi, tra opportunismo e tragedia, sembra oggi riecheggiare nelle strategie dei grandi gruppi industriali europei. Quelli dell’automotive, in particolare, che nel 2025 in Eurpopa registra l’ennesima flessione con il fermo o il rallentamento produttivo di diversi impianti Stellantis tra Italia, Francia e Germania. Ringraziamo il Green Deal europeo, la pressione delle normative comunitarie e i nuovi obiettivi sulle emissioni, che hanno costretto molte aziende del settore a ridurre drasticamente ricavi e personale, alimentando la ricerca di nuove opportunità industriali.

La notizia-bomba che Porsche SE abbia deciso di creare un fondo dedicato alla difesa ha il sapore intenso di un déjà-vu per l’automotive continentale, riportando la mente all’epoca in cui, davanti all’avanzare dei carri armati sui fronti globali, le linee di produzione di automobili si trasformavano in catene di montaggio di veicoli militari e supporti bellici. Ieri come oggi, la forza delle crisi globali e la logica feroce dei mercati spingono l’industria delle quattro ruote a cercare futuro dove la domanda – per quanto sinistra – non manca mai: la guerra.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Nel cuore della Seconda guerra mondiale, le grandi case tedesche e italiane – dalla Ford tedesca a Fiat, da Mercedes a Opel e alla stessa Porsche – lasciavano silenziate le eleganti berline destinate alla borghesia europea per dare spazio a camion, blindati, semoventi e motori per sommergibili. Era una riconversione imposta dalle bombe ma favorita dagli ordini pubblici, mentre fuori dalle fabbriche infuriavano i fronti di Russia, Nord Africa, Balcani e Atlantico. Oggi, davanti a nuovi scenari di conflitto che vanno dall’Ucraina al Medio Oriente, dall’Indo-Pacifico al Mediterraneo, la storia pare ripetersi: la crisi del business automotive, aggredito da transizione elettrica, regolamenti ambientali e volatilità globale, incrocia il riarmo europeo e l’urgenza di supply chain innovative per sicurezza, droni, sensori, cyber difesa.

I numeri parlano chiaro: Porsche SE ha visto l’utile netto rettificato scendere a 1,1 miliardi di euro nel primo semestre 2025 (erano 2,1 miliardi solo un anno fa) e quello del gruppo crollare a 300 milioni contro i 2,1 miliardi precedenti, zavorrato da svalutazioni sulle partecipate (Volkswagen -1,2 miliardi, Porsche AG -100 milioni) e stime tagliate sull’utile 2025 tra 1,6 e 3,6 miliardi. Davanti a pareti di debito (4,9 miliardi previsti a fine anno) e a una domanda che non riparte, la risposta ricalca lo spartito già vissuto nel secolo scorso: investire nella difesa.

Non si tratta, questa volta, solo di pezzi di ricambio o mezzi pesanti: Porsche SE crea una piattaforma finanziaria che punta su nuove tecnologie militari, dai satelliti alla logistica intelligente, dalla cybersicurezza ai droni, scommettendo su un settore reso florido dal maxi-piano di riarmo federale tedesco da 85 miliardi e dalla mobilitazione di fondi europei. Il recente prestito Schuldschein da 1,5 miliardi di euro, assegnato in tre tranches e accolto da una domanda a tecnologia bellica in esuberanza, è prova della centralità industriale di questo passaggio: il capitale, nelle parole del board, verrà usato per “posizionare Porsche tra i protagonisti della sicurezza europea”, imitando, in chiave moderna, la conversione che già negli anni ’40 portò la casa di Stoccarda a progettare il Leopard e i veicoli da ricognizione Jagdwagen per la Bundeswehr. D’altra parte, che Porsche stia pianificando un vero e proprio “Defense Day”, un evento privato per family office e capitali istituzionali, per connettere finanza tedesca ed europea con l’innovazione bellica, in parallelo al maxi-piano di riarmo federale tedesco da 85 miliardi già annunciato dal governo Merz, la dice lunga. E l’effetto leva previsto è fino a dieci volte, proprio grazie ai capitali privati.

Non è solo un movimento finanziario: Porsche SE indica nei suoi comunicati che il target sono le tecnologie dual-use, in particolare nei campi di sorveglianza satellitare, sensoristica intelligente, droni, logistica e soprattutto cybersecurity. Una scelta che affonda le radici in una tradizione storica – Porsche, negli anni ’40 e ’50, collaborava già a programmi come i carri Leopard per la Bundeswehr – ma che oggi cambia pelle e scala industriale: non più tank e veicoli blindati, ma piattaforme digitali capaci di alimentare sia le nuove esigenze dei teatri di guerra (Ucraina, Medio Oriente, Asia-Pacifico) sia la sicurezza civile europea.

Ma il parallelo non si ferma alle strategie delle grandi multinazionali. Come allora, anche l’indotto – fatto di centinaia di PMI italiane, tedesche e francesi, oggi soffocate dalla fine del motore endotermico e dalle incertezze della transizione elettrica – trova nella filiera dual-use una via di salvezza industriale, inseguendo commesse per sistemi, componenti, logistica militare e digitalizzazione delle piattaforme. La riconversione avviene velocemente: bastano pochi mesi per passare dalla produzione di cambi automatici a quella di sistemi per veicoli Lince o artiglieria.

Non sorprende che l’automotive tedesco e italiano, incoraggiati da governi e fondi UE (come il piano “ReArm Europe” da oltre 800 miliardi di euro), abbiano iniziato a convertire impianti in crisi: Rheinmetall, storico fornitore militare, ha già trasformato fabbriche a Berlino e Neuss per produrre mezzi e componentistica bellica, mentre è all’attivo la trattativa per acquisire lo stabilimento Volkswagen di Osnabrück per destinazione militare. Il valore simbolico e finanziario di questa transizione è rappresentato dalla capitalizzazione: Rheinmetall, leader della difesa, ha superato Volkswagen con un valore in borsa di 85,7 miliardi di euro, a fronte dei 70,8 miliardi di Volkswagen.

Fare parallelismi con gli anni bui della guerra non è solo suggestione: allora come oggi, fabbriche nate per la mobilità sono chiamate a servire esigenze di sopravvivenza nazionale ed europea. Nel dopoguerra, finita la costruzione dei mezzi militari, fu la domanda civile a riportare la pace tra le linee di produzione. Oggi, in un mondo segnato dalla persistente instabilità – Ucraina, tensioni nel Mar Rosso, Indo-Pacifico, crescita degli investimenti nella difesa interna UE e NATO – sembra che “finché c’è guerra c’è speranza” sia, prima ancora che una battuta corrosiva, una fotografia precisa di come l’industria europea cerchi futuro negli assetti e nei mercati della guerra, con l’incognita (non secondaria) di quanto questa metamorfosi sarà durevole per un tessuto industriale già provato.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi