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Calzature made in Italy, dal Veneto alle Marche il 2025 segna con cali a doppia cifra



Un momento della fiera calzaturiera Micam (courtesy Micam)

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Dopo un 2024 in forte calo con un -9,4% a livello nazionale per 13,2 miliardi di ricavi, la calzatura italiana ha aumentato le proprie sofferenze nella prima parte del nuovo anno, caratterizzato da ulteriori contrazioni del giro d’affari derivante dalle esportazioni. Partendo dal Veneto, prima regione italiana per l’export di scarpe, i dati di Confindustria accessori moda evidenziano per il primo trimestre 2025 una flessione del 10,6% dei ricavi esteri, per un totale di 675,6 milioni di euro che riporta il comparto dietro il giro d’affari pre covid (-9,9% rispetto al primo trimestre 2019).

Non fanno eccezione, all’interno del Veneto, le due province specializzate sul top di gamma, Padova e Venezia, dove si trova il distretto della Riviera del Brenta. Qui la perdita è perfino superiore (-15,6%) rispetto alla media regionale, dove pesa la parziale compensazione da parte di Treviso, zona focalizzata sulla scarpa tecnica e sportiva. «I numeri sono poco incoraggianti, ma rappresentano la coda del crollo avvenuto lo scorso anno», sostiene Daniele Salmaso, presidente del gruppo calzatura di Confindustria Veneto est, il quale osserva nell’anno in corso una stabilizzazione dei risultati. «Mediamente, manca comunque un buon 20% di lavoro rispetto alle quantità giuste per essere soddisfatti. Il momento più difficile sembra però alle spalle. Ora si percepisce un forte fermento nella prototipia e nello sviluppo del prodotto. Nell’ultimo anno è avvenuto un ricambio mai visto prima, nella storia della moda, a livello di direzioni artistiche delle maison, tale da imporre investimenti distribuiti su tutti i brand nel rinnovo e nell’ampliamento delle collezioni. Da questo impegno creativo, attendiamo benefici in termini produttivi». E Salmaso aggiunge che: «In un mercato non più in crescita, come quello del lusso, vincerà chi è più bravo e lo farà a discapito di altri player».

Nel frattempo, i partner del lusso come le aziende che operano in Riviera del Brenta devono fare i conti con la nuova situazione: «Forse per noi piccoli è l’occasione per fare massa critica, attraverso aggregazioni che ci consentiranno di sostenere costi fissi sempre più alti, date anche le esigenze dei brand, disponendo di strutture che sotto un certo fatturato non possono reggere a livello economico e finanziario».

Nelle Marche, la regione più calzaturiera d’Italia per numero di imprese e addetti, la crisi continua a travolgere le imprese e di conseguenza l’occupazione. Nella sola provincia di Fermo, il 2024 ha visto la chiusura di oltre cento imprese e la perdita di 750 posti di lavoro, che a livello regionale diventano 195 aziende in meno (-7,8%) e 1.546 addetti rimasti senza occupazione. E i dati del primo trimestre 2025 sono ancor più negativi, con un -12% sull’anno precedente nella provincia di Fermo dove il direttore della locale Confindustria, Giuseppe Tosi, non nasconde le difficoltà. «Manca lavoro per tutte le tipologie di impresa, dai produttori a marchio proprio a chi lavora con le licenze, fino ai terzisti delle firme che qui stanno ricorrendo a cassa integrazione e contratti di solidarietà. Noi viviamo di export e destinazioni come la Russia, o come gli Usa nell’era dei dazi, non sono sostituibili. Aspettiamo i risultati della campagna vendite dell’estivo, ma non si preannuncia niente di esaltante».

Le strategie da adottare, secondo Confindustria Fermo, sono legate a tre ambiti principali: formazione, finanza e ricerca di nuovi mercati. Per la prima, è la stessa Confindustria attraverso la propria società di servizi Sif che sta lanciando nuovi corsi di formazione qualificata, in aggiunta all’offerta promossa dall’Its di Porto Sant’Elpidio e dagli stessi brand attraverso le proprie strutture interne. Per le risorse finanziarie, l’associazione sta lavorando con la Regione Marche per mettere a disposizione delle aziende un fondo di supporto. Infine, in collaborazione con la Regione e con la Camera di commercio regionale, sono in atto diverse iniziative di incoming per i buyer e missioni internazionali per individuare mercati alternativi dove esportare le scarpe marchigiane. «Ora ci aspettiamo qualcosa in più da parte di Ice», rimarca Tosi.

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In Campania, dove circa 100 aziende lavorano conto terzi per i brand e 150 realtà a marchio proprio e in altri segmenti, la crisi si fa sentire, soprattutto legata al segmento donna lusso. Del resto, secondo i dati di Confindustria accessori moda, nei primi tre mesi dell’anno in corso, l’export di calzature e parti di calzature è calato a livello regionale del 20,9% rispetto allo stesso periodo 2024, a quota 47,43 milioni di euro, con le aree di Caserta (-26,7%) e Napoli (-18,6%) che hanno registrato le perdite maggiori. Un risultato totale di esportazioni da parte della Campania ben più negativo di quello italiano di settore nel primo trimestre 2025, attestatosi a -4,2% sempre a valore. «La situazione è abbastanza complicata, così come già dal secondo semestre 2024, con un aumento esponenziale delle ore di cassa integrazione e si riflette in particolar modo sul prodotto donna lusso. Purtroppo assistiamo anche alle prime chiusure», ha spiegato a MFF Pasquale Della Pia, nel direttivo della sezione moda dell’Unione industriali Napoli, aggiungendo: «La domanda più importante che ci poniamo è quale sia il futuro di questa filiera. Se non ci saranno più i numeri del passato, gli imprenditori possono riorganizzare l’azienda di conseguenza, ma senza certezze è difficile».

Lo stesso Della Pia ha poi rivolto un chiaro appello alle griffe che producono sul territorio. «Riscontriamo da parte dei grandi brand un loro controllo sempre maggiore della filiera, anche in seguito ai fatti di cronaca che hanno portato a dei casi di amministrazione giudiziaria da parte del tribunale di Milano. Proprio dalle griffe sarebbe giusto sapere quali sono i loro piani industriali e se in questi sono comprese le aziende terziste di filiera, per avere un’indicazione chiara e precisa. Di solito, questo tipo di previsioni i grandi gruppi le fanno a cinque anni, quindi un’idea dovrebbero già averla». (riproduzione riservata)



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Ferragamo: ricavi giù del 9,4% nel primo semestre 2025, parte il piano di rilancio




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