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Dazi e vertice con Putin: la doppia mossa di Trump


“Miliardi di dollari, provenienti in gran parte da paesi che hanno approfittato degli Stati Uniti con entusiasmo, inizieranno ad affluire negli Usa”: così Donald Trump ha celebrato sul suo social Truth l’entrata in vigore dei dazi su oltre 90 paesi, alla mezzanotte di ieri. Pochi dei principali partner commerciali degli Stati Uniti sono stati risparmiati dall’ondata tariffaria che ha scosso i mercati, fatto aumentare i prezzi e spaventato consumatori e aziende in tutto il mondo. Il presidente sostiene che le imposte contribuiranno a ristabilire un equilibrio nelle bilance commerciali che ritiene squilibrate a svantaggio degli Usa; a generare nuove entrate e a rilanciare l’industria manifatturiera americana. Finora, i numeri sembravano dargli ragione: i dazi di Trump hanno effettivamente contribuito a generare circa 152 miliardi di dollari di entrate doganali fino a luglio ma le sue politiche non sono prive di conseguenze. Un numero crescente di aziende comincia ad affannare dietro l’aumento dei costi di componenti estere e i prezzi hanno iniziato a salire. Elettrodomestici, abbigliamento e arredamento sono diventati più costosi e anche il mercato del lavoro ha subito una flessione, con un brusco rallentamento delle assunzioni a giugno e luglio. Secondo il Budget Lab di Yale i nuovi dazi portano l’aliquota tariffaria effettiva media degli Stati Uniti a oltre il 18%, il livello più alto dal 1934. Per le famiglie americane ciò potrebbe tradursi in un aumento dei prezzi, con una perdita media annua di 2400 dollari. E per l’economia in generale, i dazi potrebbero tradursi in un calo della produzione, con una riduzione di mezzo punto percentuale nella crescita a partire dal 2025.

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Canada e Messico nel mirino?

I dazi scattati oggi rientrano in un intervallo compreso tra il 15% e il 41% e sostituiscono, per i paesi interessati, i dazi del 10% in vigore da aprile su praticamente tutti i prodotti in ingresso negli Stati Uniti. I dazi al 15% colpiscono paesi come Bolivia, Ecuador, Islanda e Nigeria. Altri, come Taiwan, si sono visti applicare un’aliquota del 20%. Altri ancora hanno evitato dazi esorbitanti dopo aver concluso accordi con la Casa Bianca: tra questi rientrano i 27 membri dell’Unione Europea, oltre a Giappone, Corea del Sud e Vietnam. Ciascuno di questi governi ha promesso di aprire il proprio mercato ai prodotti statunitensi e, in alcuni casi, si è impegnato a investire miliardi di dollari nelle industrie americane. Ma i termini esatti di questi accordi rimangono poco chiari. Trump ha anche imposto dazi punitivi molto più elevati, per ragioni politiche. Come quello del 50%, su alcuni beni provenienti dal Brasile. Lo ha definito una punizione per la decisione del Brasile di perseguire penalmente il suo alleato politico Jair Bolsonaro, ex presidente del paese, accusato di aver incitato un’insurrezione, cercando di rimanere al potere dopo aver perso le elezioni. Separatamente, Trump ha imposto un dazio del 35% sulle merci provenienti dal Canada non coperte dall’attuale accordo commerciale tra Stati Uniti, Messico e Canada. Aliquote altrettanto elevate sono state minacciate per il Messico, ma sono al momento sospese mentre le due parti continuano a dialogare. I dazi sulle merci cinesi rimangono al 30% in base a un accordo negoziato tra le superpotenze quest’anno, sebbene la tregua scada martedì.

Trump incontrerà Putin, ma i dazi (secondari) restano?

Nel giorno dell’entrata in vigore dei dazi, la Casa Bianca e il Cremlino hanno annunciato anche di aver raggiunto un accordo per un faccia a faccia tra Vladimir Putin e Donald Trump nei prossimi giorni. Lo ha dichiarato il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov secondo cui anche la sede dell’incontro è stata decisa “in linea di principio” ma ne verrà data comunicazione in seguito. Donald Trump si era dichiarato disponibile a incontrare Vladimir Putin e, in seguito, anche Volodymyr Zelensky nelle scorse ore. La possibilità è stata discussa in una chiamata tra il leader Usa e quello di Kiev che, secondo una fonte ucraina di alto livello, ha coinvolto anche il segretario Generale della Nato Mark Rutte e i leader di Gran Bretagna, Germania e Finlandia. La presidente della Commission europea, Ursula von der Leyen, invece, sarebbe stata “informata” sui contenuti del colloquio. Ma il presidente ucraino chiede che anche l’Europa partecipi ai colloqui di pace tra Russia e Ucraina. Trump ha però dichiarato che questi colloqui non eviteranno alla Russia le sanzioni minacciate nei giorni scorsi. Gli Usa attiveranno dazi secondari sui Paesi che acquistano beni russi senza allinearsi alle decisioni statunitensi. È il caso dell’India, i cui dazi sono saliti al 25%, ma sono destinati a raddoppiare entro la fine del mese, dopo che Trump ha annunciato un’altra serie di dazi derivanti dall’acquisto di petrolio russo da parte del Paese.

Prossimo bersaglio: i semiconduttori?

È improbabile che i dazi entrati in vigore giovedì rappresentino il capitolo finale della crescente guerra commerciale di Trump, che si trova ad affrontare una serie di ricorsi legali presso i tribunali federali. Ma il presidente non sembra intenzionato a fare marcia indietro. E oggi ha annunciato che i prossimi dazi sui semiconduttori in entrata negli Stati Uniti, non ancora annunciati formalmente, saranno fissati al 100%. Il presidente ha condiviso il suo pensiero durante un evento alla Casa Bianca insieme a Tim Cook, amministratore delegato di Apple, che si è impegnata a investire altri 100 miliardi di dollari negli Stati Uniti, portando così il suo impegno complessivo a 600 miliardi nei prossimi quattro anni. La Apple era da tempo nel mirino di Trump che si è spesso detto “deluso” dalla filiera cinese dei prodotti della casa di Cupertino. Malgrado i dazi esentino i cellulari per evitare di stroncare il business degli iPhone, la Apple era fra le aziende americane più esposte alle tasse d’importazione su materiali e componenti. Per questo oggi molti analisti definiscono la mossa un modo per assecondare il tycoon che dimostra, ancora una volta, di usare i dazi come leva politica, diplomatica e personale. Ma a furia di alzare muri e moltiplicare le sanzioni, l’America First si è trasformata in una corsa a ostacoli globale, dove alleati e rivali devono negoziare ogni accesso al mercato americano. L’ordine commerciale globale si è incrinato. Ed è difficile immaginare che possa tornare come prima.

Il commento 

Di Moreno Bertoldi, ISPI Senior Associate Research Fellow

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“Quale giorno passerà alla storia, insieme a Liberation Day (2 aprile), come il giorno in cui gli Stati Uniti hanno voltato le spalle all’ordine liberale globale, di cui pure erano stati i principali artefici, per abbracciare politiche protezionistiche ed estrattive nei confronti del resto del mondo? Sarà il 1 agosto (giorno dell’annuncio dei dazi reciproci definitivi) o il 7 agosto (giorno della loro entrata in vigore)? Probabilmente la data fatidica sarà il 1 agosto, poiché in fondo il 7 agosto è una data dettata dai tempi tecnici necessari per imporre i dazi annunciati. Tuttavia, nella settimana intercorsa abbiamo appreso nuove importanti informazioni: i dazi imposti potranno essere modificati a ogni momento per le più svariate ragioni: di politica interna (Brasile), estera (Canada e India) o solo perché un incontro con Trump non sarà andato per il verso giusto (Svizzera). Inoltre, nuovi dazi settoriali sono in preparazione. L’ottovolante dei dazi ha ancora molta strada da percorrere”.



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