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Scade la certificazione dei chip, stop alla firma digitale di InfoCamere dal 31 dicembre 2025: che cosa fare


Una comunicazione inviata da InfoCamere – la società consortile delle Camere di Commercio italiane – avvisa gli utenti che, a fine 2025, il certificato di firma digitale sui dispositivi sarà revocato per cause indipendenti dall’ente

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Il 31 dicembre 2025 segnerà un momento di svolta per milioni di professionisti, imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini che utilizzano quotidianamente la firma digitale. Una tecnologia ormai integrata nel nostro modo di interagire con la burocrazia e il business, ma che sta per vivere un passaggio obbligato e, in parte, inatteso: la scadenza della certificazione dei chip crittografici presenti su molti dispositivi di firma in circolazione. 
Che cosa sta succedendo? Una recente comunicazione inviata da InfoCamere – la società consortile delle Camere di Commercio italiane – avvisa gli utenti che, a fine 2025, il certificato di firma digitale presente sui dispositivi sarà revocato per cause indipendenti dall’ente stesso. Il motivo è la mancata ricertificazione da parte del produttore del chip crittografico, elemento fondamentale del dispositivo fisico che custodisce la chiave privata per firmare digitalmente i documenti. 
Non si tratta di un caso isolato, ma di una condizione sistemica che coinvolge l’intero comparto della firma digitale italiana: milioni di dispositivi saranno parzialmente disattivati, almeno per quanto riguarda la funzione di sottoscrizione. La certificazione CNS (Carta Nazionale dei Servizi), invece, resterà attiva fino alla sua naturale scadenza. Una transizione tecnica, ma con effetti molto concreti. Vediamo perché.

Firma digitale: cos’è, come funziona e perché è così importante

Per capire il peso della notizia, è utile fare un passo indietro: che cos’è la firma digitale e perché è diventata uno strumento essenziale nella vita amministrativa e professionale di milioni di italiani?
La firma digitale è l’equivalente elettronico di una firma autografa, ma con un valore aggiunto: garantisce l’autenticità, l’integrità e la non ripudiabilità di un documento informatico. In parole semplici, chi firma è sicuramente chi dice di essere; il documento non è stato alterato dopo la firma; e chi lo ha firmato non può negare di averlo fatto.
Dietro a questo meccanismo c’è la crittografia asimmetrica: ogni utente ha una coppia di chiavi, una pubblica e una privata. La chiave privata è custodita all’interno del dispositivo di firma – una smart card o un token Usb – ed è quella che viene utilizzata per «firmare» il documento. La chiave pubblica, invece, serve a chi riceve il file per verificarne l’autenticità.




















































Nel nostro Paese, la firma digitale è regolamentata dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) e dal Regolamento europeo eIDAS (910/2014, recentemente modificato dal 1183/2024). I soggetti abilitati a rilasciare certificati digitali si chiamano certificatori qualificati, e devono essere iscritti in un apposito elenco pubblico gestito da AgID (l’Agenzia per l’Italia Digitale). Tra questi c’è InfoCamere, che opera da anni con milioni di dispositivi distribuiti a professionisti, imprese e Pa.

Il chip crittografico al centro della questione

La notizia della revoca anticipata del certificato di firma riguarda proprio il cuore hardware del sistema: il chip crittografico contenuto nei dispositivi di firma. La sua funzione è quella di custodire in modo sicuro la chiave privata dell’utente, impedendo che venga copiata, estratta o utilizzata in modo fraudolento. Per mantenere la validità legale della firma digitale, questi chip devono essere certificati da organismi di valutazione accreditati, secondo standard europei molto stringenti (Common Criteria o eIDAS-compliant). 
Ogni certificazione ha una durata limitata e deve essere rinnovata dal produttore del chip. Nel caso specifico, il produttore del chip impiegato da InfoCamere ha deciso di non procedere al rinnovo della certificazione. Una scelta tecnica, probabilmente legata all’introduzione di nuove tecnologie o a valutazioni di mercato, che però ha un impatto diretto sugli utenti finali: non essendo più certificato, il chip non può più essere considerato sicuro ai fini della firma elettronica qualificata.

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Cosa succederà dal 1° gennaio 2026?

La prima conseguenza è chiara: il certificato di sottoscrizione digitale sarà revocato, per obbligo di legge, dal certificatore InfoCamere. Ma questo non significa che i dispositivi diventeranno completamente inutilizzabili. Il certificato di firma sarà disattivato, perciò non sarà più possibile firmare documenti con quel dispositivo. Il certificato Cns resterà valido fino alla sua naturale scadenza, per cui sarà ancora possibile accedere ai servizi della Pa (come Inps, Agenzia delle Entrate, ecc.). 
Sarà però attivato un servizio gratuito di firma remota “one shot”: gli utenti potranno continuare a firmare documenti tramite i portali InfoCamere, senza acquistare un nuovo dispositivo immediatamente. Un’ancora di salvataggio pensata per evitare uno stop improvviso alle attività professionali o burocratiche, soprattutto in un contesto dove la firma digitale è ormai fondamentale per accedere a bandi pubblici, partecipare a gare, inviare atti notarili, firmare contratti e molto altro.
Rimane comunque il cortocircuito di un servizio pagato dagli utenti e che, di fatto, smette di funzionare per come è stato pagato. Certo, le note di servizio chiariscono l’eventuale responsabilità di terze parti che non dipende da InfoCamere (un po’ come avviene con il consenso informato delle banche), però l’amaro in bocca rimane.

La firma digitale in Italia: un sistema maturo ma in evoluzione

L’Italia è tra i Paesi europei con il più alto tasso di adozione della firma digitale. Secondo gli ultimi dati AgID, sono quasi 35 milioni i certificati di firma attivi, con un tasso di crescita costante. La pandemia ha fatto da acceleratore: con il boom dello smart working e della digitalizzazione delle Pa, la firma digitale è diventata uno standard de facto. 
Dall’invio di fatture elettroniche ai bilanci societari, dai contratti di affitto alla gestione delle pratiche legali, ogni giorno milioni di file vengono firmati elettronicamente. Ma il sistema, pur maturo, non è immune da cambiamenti tecnologici e normativi. Il Regolamento eIDAS 2.0 – entrato in vigore nel 2024 – introduce nuove figure (come il wallet europeo di identità digitale), rafforza i requisiti di sicurezza e punta a un’interoperabilità totale tra Paesi membri. È il segnale che la firma digitale sarà sempre più centrale nei rapporti tra cittadini, imprese e istituzioni.

Cosa devono fare oggi gli utenti?

Il consiglio è semplice: verificare subito la scadenza del proprio dispositivo di firma digitale e pianificare per tempo il passaggio a una nuova soluzione. Chi ha ricevuto la comunicazione da InfoCamere può scegliere tra: attendere il 1° gennaio 2026 e utilizzare la firma remota gratuita (valida per esigenze limitate); sostituire il dispositivo acquistando una delle opzioni proposte, per continuare a firmare in modo tradizionale e avere pieno controllo del processo. 
Le opzioni proposte da Infocamera sono sostanzialmente:

  • ID Firma Digitale+: un pacchetto composto da un token fisico (ID Token) e una firma remota attivabile subito, utilizzabile anche da smartphone. Prezzo: 65 euro + IVA (anziché 109).
  • ID Smart Card: una smart card tradizionale, tascabile e compatibile con i lettori di smart card (non forniti). Prezzo: 30 euro + IVA (anziché 49).
    Le offerte sono valide solo se sottoscritte entro il 15 settembre

È importante ricordare che, a partire dal 1° gennaio 2026, ogni documento firmato con un dispositivo non aggiornato potrebbe risultare legalmente invalido. Una questione non solo tecnica, ma anche giuridica.

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