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Enrico Rovere (Kroll): la valutazione aiuta imprenditori e manager a gestire meglio le proprie aziende


Stare vicino a un cliente e aiutarlo a comprendere bene il valore della propria azienda è come il lavoro di un medico che fa un check-up al paziente, cercando di capire lo stato di salute e di dare una mano per continuare a crescere



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Come è avvenuta l’integrazione e la crescita delle due divisioni apparentemente lontane tra loro?

Nel 2018 abbiamo acquisito Kroll per ampliare la nostra offerta di servizi, specialmente nella gestione dei rischi, affiancandola all’attività storica di valutazione di aziende e corporate finance di Duff & Phelps. Quest’ultima si è evoluta e cresciuta, in particolare dopo l’acquisizione nel 2005 di un gruppo di valutazione statunitense di una delle Big Four, diventando una società di valutazione indipendente leader a livello globale fortemente specializzata. Qualche anno dopo Duff & Phelps ha acquisito a livello globale American Appraisal, che in Italia eccelleva nelle valutazioni di beni strumentali e real estate, quest’ultima conosciuta come REAG. Con l’acquisizione di Kroll, abbiamo voluto offrire servizi a 360 gradi per aiutare il management aziendale a gestire meglio le proprie attività.

L’integrazione è stata positiva, poiché spesso un cliente ha bisogno servizi complementari. Il nostro motto, un po’ il motto del nostro Amministratore Delegato, è “il mondo ha bisogno di più Kroll”. Ci rendiamo conto che stare vicino a un cliente e aiutarlo a comprendere bene il valore della propria azienda è come il lavoro di un medico che fa un check-up al paziente, cercando di capire lo stato di salute e di dare una mano per continuare a crescere. Lo stesso vale per noi nell’ambito valutativo e nella gestione del rischio: capire cosa succede sul mercato e all’interno dell’azienda. Queste attività si integrano molto bene e rappresentano un’unicità del nostro gruppo.



Quali sono i servizi più richiesti dalle imprese italiane e quali tipologie di consulenza offrite?

Operiamo sul mercato con due divisioni principali: Financial Advisory e Risk Advisory. Nell’ambito del Financial Advisory, la maggior parte della nostra attività è la valutazione di aziende e beni aziendali. A questa si affianca l’attività di transfer pricing e di corporate finance, che include M&A e due diligence. Le valutazioni non servono solo in momenti di discontinuità o per operazioni straordinarie, ma sono anche un’attività routinaria richieste dal bilancio stesso. Le società che operano con principi contabili internazionali, come le quotate o le banche, necessitano di valutazioni per esempio per comprendere la tenuta dell’avviamento o per l’allocazione del prezzo di acquisto di società acquisite che genera una serie di rettifiche alle voci di bilancio che devono emergere per una buona informativa agli azionisti, al mercato e a tutti i terzi. Oltre alle valutazioni di tipo bilancistico, vi sono quelle legali (e.g. conferimenti, fusioni, recessi) e fiscali, nonché quelle per piani di incentivi e processi di ristrutturazione. Svolgiamo anche valutazioni al calcolo del NAV dei fondi (private equity, debito e altri asset alternativi) e fairness opinion nonché il supporto nella predisposizione dei business plan. Abbiamo divisioni specializzate nella valutazione di impianti e macchinari, ai fini assicurativi che permettono di dimensionare correttamente il rischio con conseguenti risparmi di costi per l’azienda. Nel settore immobiliare, eseguiamo valutazioni per i fondi, agendo come esperti indipendenti per la comprensione del valore e la protezione dei terzi che investono. Per quanto riguarda la gestione del rischio abbiamo una forte specializzazione nell’ambito investigativo, forensic e cybersecurity. Questo ci permette di comprendere se si sono verificati fatti che possono danneggiare l’azienda e di intervenire sia in modo preventivo che post-evento.




L’indipendenza e la specializzazione, unite alla geolocalizzazione, sono fattori chiave per il vostro lavoro. Quanto contano e quale valore aggiunto apporta questo approccio?

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Questi fattori si combinano in modo molto interessante. Prima di tutto, l’indipendenza offre una garanzia a chi commissiona la valutazione e a chi la utilizza: banche, soci di minoranza, lettori di bilancio, investitori, autorità fiscali e di controllo. Essere indipendenti ci permette di fornire una visione il più possibile neutra dello stato di salute di un’azienda. La specializzazione, d’altra parte, ci permette di essere molto focalizzati, di svolgere numerosi lavori, di imparare dall’esperienza passata e di confrontarci con professionisti con anni di esperienza in settori specifici. Ciò porta a una verticalizzazione sia per settore sia per tipologia di valutazione, magari con l’utilizzo di metodologie particolari, sebbene sempre riconosciute a livello internazionale.


La geolocalizzazione è altrettanto importante; siamo presenti in quasi 40 Paesi con team dedicati. Questa presenza sul territorio ci permette di comprendere a fondo le dinamiche dell’industria locale, la legislazione, e la mentalità del management e dei gestori. Essere vicini alle aziende è un fattore premiante.

La valutazione è un momento cruciale per un’azienda, poiché permette di misurare il suo stato di salute, un po’ come un check-up medico. Quali sono i punti di attenzione che devono essere presi in considerazione da un valutatore? E quale può essere il ruolo dell’intelligenza artificiale in questo ambito?

Il lavoro di valutazione è proprio come un check-up, che si tratti di un bilancio annuale o per un’operazione straordinaria o altri eventi. Il focus principale è l’azienda da valutare: bisogna comprenderne le dinamiche, come opera, come è cresciuta, comprenderne il management, e soprattutto la sua strategia di crescita. Un valutatore deve comprendere bene il piano, parlare con il management, individuarne i punti di rischiosità nell’implementazione e capire come mitigarli, valorizzandoli correttamente. Il compito più importante per un valutatore è capire le dinamiche e i fondamentali aziendali.



Certo, ci sono variabili esogene che influenzano le valutazioni, quali ad esempio i tassi ed i multipli sul mercato, ma è proprio la comprensione della target da valutare che permette di utilizzare il fattore esogeno corretto; infatti, il multiplo applicabile all’azienda non necessariamente è quello medio o mediano del mercato; può essere più alto o più basso proprio in virtù delle caratteristiche specifiche dell’azienda. È fondamentale far capire questo al cliente perché molte volte vi sono aspettative non sempre allineate a quanto potrebbe effettivamente esprimere il mercato.
L’intelligenza artificiale (IA) può sicuramente aiutare, accorciando processi su attività routinarie. Tuttavia, è come per un medico che deve interpretare una risonanza magnetica o una TAC: se non ha studiato, non capisce, e soprattutto se non vede il paziente “negli occhi”, difficilmente darà un giudizio corretto. L’IA è utile, ma il compito del valutatore richiede intelligenza umana, intuito, capacità di leggere non solo i numeri ma anche le persone e l’azienda in senso lato, e pensiero laterale. L’intelligenza umana., a mio avviso, in questo è ancora vincente.

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Avete sviluppato uno studio sulle 4A del Made in Italy, ovvero Abbigliamento, Alimentare, Arredamento e Automazione. Quali sono le più importanti evidenze che emergono da tale studio?

Riguardo lo studio, è stato un lavoro molto interessante, apparso su una testata di rilievo e presentato in alcuni workshop. Abbiamo scelto queste 4A perché rappresentano l’eccellenza italiana e sono settori trainanti della nostra economia, attualmente anche oggetto di attenzione riguardo i dazi americani. Il nostro studio ha analizzato 200 aziende, le prime 50 per fatturato in ciascun settore, un campione che rappresenta circa il 10% del PIL italiano. Abbiamo esaminato nomi noti e “campioni italiani” meno conosciuti ma fondamentali. Abbiamo rilevato un valore quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni, analizzando tre periodi: 2014, 2019 (appena pre-Covid, con un forte incremento) e l’attuale periodo (dicembre 2024). L’automazione è un settore molto grande con campioni nazionali cresciuti moltissimo. L’arredamento, più piccolo, ha registrato percentuali di crescita estremamente elevate e un notevole aumento di redditività, anche grazie al ruolo di Milano nel design e nel Salone del Mobile e del Design. L’abbigliamento-Fashion continua a trainare, pur con alcune tensioni, mentre l’alimentare italiano avanza costantemente e, mi auguro, difficilmente fermabile anche dai dazi. Le eccellenze italiane sono uniche.




Lei è stato tra i relatori di una tavola rotonda dal titolo “Sostenibilità insostenibile”. È corretto dire che si assiste a una forte retromarcia sul tema ESG, e che impatto hanno tali temi sulle valutazioni?

Ho avuto il piacere di partecipare come panelist all’assemblea dei Giovani Imprenditori di Confindustria Cuneo. Il tema, “Sostenibilità insostenibile”, è stato coraggioso. Le conclusioni sono chiare: la strada è quella della sostenibilità, non c’è ritorno. Si tratta solo di capire come ci si arriva. Purtroppo, l’implementazione in Europa è stata a tratti disordinata, quasi dogmatica. Questo ha portato a non considerare gli impatti negativi di un’adozione così repentina sull’industria, come visto nel settore automobilistico. L’Europa non era preparata, a differenza della Cina, che, seppur non sempre appare sostenibile, ha fatto investimenti enormi in strutture, tecnologia, ingegneri e ricercatori. La Cina oggi esporta servizi e prodotti legati all’ESG all’Europa.



Dobbiamo poi anche considerare l’aspetto sociale (S) dell’ESG: pensiamo a chi e come estrae le terre rare, persone che lavorano per ore a condizioni inumane. È facile sentirsi “bravi cittadini” con un’auto elettrica, ma dobbiamo chiederci cosa c’è dietro.
Le tematiche ESG sono sicuramente impattanti sulle valutazioni. Noi di Kroll abbiamo condotto uno studio su 13.000 società a livello mondiale per analizzare l’impatto dei rating ESG (alto, medio, basso) sul loro valore. Tendenzialmente, sembrerebbe che società con un alto rating ESG evidenzino un valore maggiore, ma non sempre, e non in tutti i Paesi o settori. Il punto cruciale è la difficoltà di incorporare preventivamente una variabile ESG in un modello di valutazione. Non si tratta solo di un costo del capitale più basso per un rating più alto; fare ESG comporta anche costi e investimenti. Siamo ancora in una fase di evoluzione.




Kroll produce numerosi studi e report, utilizzati anche da altri operatori economici. Quanto conta il vostro know-how e cosa vi differenzia dalla concorrenza?

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Questo deriva dal nostro DNA, dalla forte specializzazione e dalle esperienze che abbiamo in questo tipo di mestiere. Senza citare numeri specifici, nell’ambito delle valutazioni per il private equity siamo leader a livello mondiale. I grandi fondi si rivolgono a noi, un’esperienza che dura da oltre trent’anni. Questo ci ha permesso di comprendere le dinamiche del settore e di aiutare l’industria e i consumatori nel disporre di numeri affidabili. L’elevato numero di progetti sull’allocazione del prezzo e sull’impairment ci consente di avere una forte specializzazione e un importante database interno per confrontarci. Abbiamo una forte componente teorica, con all’interno economisti e persone che periodicamente svolgono periodi di “secondment” presso enti sovranazionali per sviluppare nuove tematiche valutative. Questa conoscenza viene poi diffusa sul mercato. I nostri studi periodici sul costo del capitale, sui multipli e sull’economia vengono utilizzati e venduti a banche d’affari, altre società di consulenza, dall’industria e dall’accademia. Abbiamo un’ampia “libreria” di prodotti e, soprattutto, aiutiamo a sviluppare e diffondere la cultura della valutazione aziendale. L’obiettivo è fornire non ciò che il cliente vuole sentire, ma il vero valore, un quadro indipendente della situazione della propria azienda.




Qual è il futuro della valutazione aziendale? Ci sarà un’evoluzione?

Già vediamo sul mercato società che propongono valutazioni con intelligenza artificiale. L’IA può dare indicazioni di valore, ma un processo valutativo ben fatto richiede tempo, costi importanti, comprensione e un lavoro di squadra. Non so se tutto questo possa provenire dall’intelligenza artificiale. Io credo che l’attività del valutatore continuerà. Il valutatore è un economista, un manager, una persona che deve capire l’azienda, non solo un consulente, deve mettersi nei panni dell’imprenditore e saper interpretare il suo disegno strategico. Non è sempre semplice, ma se si fa quel processo si riesce a creare valore aggiunto. Per me, è una professione che richiede sviluppo di conoscenze e, soprattutto, passione.



Ci saranno sicuramente delle evoluzioni, e i ragazzi di domani, più bravi di noi, dovranno sforzarsi di capire le parti non numeriche di un’azienda, che sono il vero valore. Serviranno persone con passione, voglia di conoscere, di mettersi in gioco e di discutere per far capire ai clienti il perché di un certo valore. Lo sviluppo di competenze interpersonali, capacità di interloquire con le persone, chiarezza nello spiegare il lavoro è fondamentale. Non è solo competenza tecnica, ma sono soft skills necessarie, e forse sempre di più in futuro, per differenziarsi dalle macchine.

Quanto bisogno c’è di valutazione nelle aziende italiane?

Ce n’è moltissimo. La valutazione permette di comprendere lo stato di salute di un’azienda e di evitare di prendere strade sbagliate. Aiuta a prevenire problematiche negative. Per un imprenditore, la valutazione è un punto importante per confrontare la propria percezione del valore con la realtà del mercato. Quindi, in Italia c’è molto bisogno di valutazioni, non solo per richieste formali legate a bilancio o fiscalità, ma proprio per dare maggiore consapevolezza e aiutare imprenditori e manager a gestire meglio le proprie aziende.




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