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Il settore farmaceutico irlandese rischia ancora le tariffe jolly della Sezione 232, nonostante l’accordo con Trump


L’industria farmaceutica irlandese, che vale miliardi di euro, rimane in una posizione precaria nonostante l’accordo commerciale tra USA e UE di questa settimana. Le nuove tariffe al 15% introdotte dall’amministrazione Trump non hanno placato i nervi del mercato. È ancora in corso una vasta indagine sulla sicurezza nazionale ai sensi della Sezione 232 ancora in corso, e le rassicurazioni ufficiali accolte con cautela.

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Secondo il quadro commerciale appena siglato, una tariffa del 15% si applicherà a una vasta gamma di beni europei in ingresso negli Stati Uniti. Sebbene funzionari USA e UE affermino che la maggior parte dei prodotti farmaceutici sarà soggetta a questa tariffa, la situazione resta incerta in attesa dell’esito dell’indagine in corso della Sezione 232, che potrebbe portare a dazi ancora più pesanti.

Con oltre 58 miliardi di euro su 72,6 miliardi di esportazioni irlandesi verso gli USA l’anno scorso derivanti da prodotti farmaceutici, il rischio è significativo. Il settore sostiene quasi 50.000 posti di lavoro ed è centrale nel modello di investimenti esteri diretti dell’Irlanda.

A commento del nuovo accordo, il vice primo ministro (Tánaiste) Simon Harris ha dichiarato: “Pur accogliendo con favore l’accordo tra UE e USA, sappiamo che l’imposizione di qualsiasi tariffa avrà conseguenze e ora è il momento di intensificare gli sforzi per trovare e assicurare nuovi mercati per le imprese e i posti di lavoro irlandesi.”

Nonostante le rassicurazioni da Bruxelles, a Dublino prevale l’incertezza. Un alto ministro del governo, parlando sotto anonimato, ha detto all’Irish Independent: “Siamo ancora all’oscuro su diversi aspetti… Il farmaceutico e i semiconduttori sono dove si giocherà gran parte della partita, e rimane aperta la domanda su quale sarà l’esito finale.”

Danny McCoy, amministratore delegato (CEO) del gruppo imprenditoriale irlandese Ibec, ha detto che l’accordo “porta fine a molte incertezze per alcune aziende. Tuttavia, una tariffa al 15% rappresenta ancora un fardello considerevole per molti settori.”

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Ha aggiunto: “Farmaceutici e semiconduttori, che rappresentano il 75% del commercio Irlanda-USA, sono inclusi, a quanto ci risulta, nell’accordo al 15%. Resta però da capire quanto questa percentuale sarà stabile, sia nel breve che nel lungo termine, viste le indagini in corso sotto la Sezione 232.”

Seán Kelly, eurodeputato irlandese e capo della delegazione Fine Gael al Parlamento europeo, ha detto a Euractiv di accogliere con favore l’esito delle recenti negoziazioni UE-USA.

Kelly ha affermato di essere grato che una guerra commerciale su larga scala sia stata evitata. “Le prospettive sono ora molto più positive rispetto a prima, e le imprese irlandesi hanno finalmente una certezza tanto necessaria. Ora è importante collaborare strettamente con le imprese per affrontare il futuro e garantire che l’industria irlandese resti forte, competitiva e vitale”, ha sottolineato.

Rimane il rischio della retorica ‘truffa fiscale’

Mentre la Commissione europea insiste che i farmaceutici non affronteranno tariffe superiori al 15%, citando un “impegno politico molto chiaro” da parte del presidente Trump, la Casa Bianca continua a mostrare l’intenzione di riorganizzare le filiere farmaceutiche.

Gran parte dell’incertezza deriva dai commenti precedenti del Segretario al Commercio Howard Lutnick, che aveva definito l’Irlanda la sua “truffa fiscale” preferita, indicando un interesse politico verso misure commerciali settoriali forti.

Con l’Irlanda ancora nel mirino di Trump e Lutnick, l’associazione farmaceutica irlandese IPHA ha rifiutato di commentare l’accordo commerciale e la tariffa al 15%.

Si ritiene però che l’IPHA sia allineata con EFPIA, la Federazione Europea delle Industrie e Associazioni Farmaceutiche, che rappresenta grandi aziende come Pfizer, Roche e Sanofi.

EFPIA ha avvertito contro le misure commerciali USA, dichiarando, “I dazi sui farmaci sono uno strumento grossolano che interromperà le filiere, influirà sugli investimenti in ricerca e sviluppo e danneggerà l’accesso ai farmaci da entrambe le parti dell’Atlantico.”

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“Se l’obiettivo è garantire investimenti farmaceutici in ricerca, sviluppo e produzione, riequilibrare il commercio e assicurare una distribuzione più equa di come l’innovazione globale nel settore è finanziata, ci sono modi più efficaci dei dazi che aiuterebbero, e non ostacolerebbero, i progressi nella cura dei pazienti e nella crescita economica globale.”

Il jolly della Sezione 232

Da quando è tornato alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha avviato 13 indagini sulla sicurezza nazionale ai sensi della Sezione 232. Quattro hanno portato a tariffe – su acciaio, alluminio, auto e, più recentemente, rame.

Una decisione sui prodotti farmaceutici è attesa entro fine dicembre 2025, entro il limite di 270 giorni dall’avvio dell’indagine in aprile. Tuttavia, si prevede che il team d’indagine presenti un rapporto entro tre settimane.

Un funzionario della Casa Bianca ha detto a Euractiv il 28 luglio: “Quando entreranno in vigore i dazi della Sezione 232 del settore farmaceutici, l’UE sarà soggetta solo al 15%.”

Il giorno dopo, l’amministrazione ha pubblicato un documento che afferma: “Come parte della strategia del presidente Trump per stabilire un commercio equilibrato, l’Unione Europea pagherà una tariffa del 15% agli Stati Uniti, inclusi auto, parti auto, farmaci e semiconduttori.”

La settimana è stata lunga e il quadro legale resta incerto.

Rischio di ‘accumulo’ dei dazi

Lo studio legale Covington ha avvertito: “Sebbene le prime indicazioni dell’amministrazione Trump avessero chiarito che i dazi della Sezione 232 non si applicheranno contemporaneamente (o ‘accumulati’) ad altri tipi di dazi… i recenti cambiamenti a queste regole hanno reso la questione più complessa.”

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“Con l’annuncio di ulteriori dazi della Sezione 232, ulteriori modifiche alle regole sull’accumulo delle tariffe sono probabili.”

Il precedente utilizzo della Sezione 232 da parte del presidente Trump prevedeva dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio, successivamente aumentati al 50%.

Ad aprile ha ribadito l’intenzione di colpire la produzione farmaceutica offshore, confermando: “Non produciamo più i nostri farmaci […] le aziende farmaceutiche sono in Irlanda, in molti altri posti – Cina – e tutto quello che devo fare è imporre un dazio. Più in fretta vengono spostate qui, meglio è.”

Come nel caso delle affermazioni del segretario Lutnick sulla “truffa fiscale”, non ci sono segnali che il presidente Trump abbia in alcun modo cambiato idea.

L’accordo commerciale UE richiede investimenti per 600 miliardi di dollari dall’Europa durante il mandato di Trump, in parte provenienti dal settore farmaceutico. La Casa Bianca tiene una lista pubblica di “successi” negli investimenti esteri, e il tempo stringe per riportare la produzione farmaceutica negli USA.

Impatto commerciale e rischi economici

Gli Stati Uniti, che importano oltre il 70% dei loro farmaci essenziali, potrebbero subire gravi conseguenze interne. Generici e prodotti ospedalieri iniettabili – che costituiscono il 90% delle prescrizioni – sono particolarmente vulnerabili.

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Medicines for Europe, che rappresenta i produttori di farmaci generici, ha avvertito che le tariffe “probabilmente peggiorerebbero la già esistente carenza negli USA e causerebbero una grande ondata di ulteriori carenze, inclusi molti prodotti della lista dei farmaci essenziali.”

Reuters riferisce che analisti di ING stimano che una tariffa del 15% sui farmaci potrebbe ridurre le esportazioni farmaceutiche irlandesi verso gli USA di 8,7 miliardi di euro all’anno, assumendo elasticità di prezzo standard e nessuna rapida sostituzione.

Le perdite a livello UE potrebbero oscillare tra 18 e 22 miliardi di euro, a seconda dell’ambito finale e della durata delle tariffe e altre misure commerciali.

Gli analisti stimano che una tariffa al 15% potrebbe aumentare i prezzi dei farmaci negli USA dal 5 al 10%, aggiungendo fino a 30 miliardi di dollari annui ai costi sanitari, gravando soprattutto su ospedali e pazienti a basso reddito.

L’aumento dei costi sanitari prima delle elezioni di metà mandato e la spinta all’inflazione rappresentano una strategia ad alto rischio per la Casa Bianca.

Reazione del mercato

Nonostante la minaccia imminente, i mercati azionari hanno risposto con un cauto ottimismo. Dopo l’annuncio dell’accordo, gli investitori sembrano credere che strategie di mitigazione possano attenuare l’impatto.

Le aziende si stanno già preparando. Sanofi ha recentemente venduto uno stabilimento in New Jersey a Thermo Fisher per mantenere la produzione domestica. Roche sta aumentando le scorte negli USA, mentre altre stanno firmando nuovi contratti di produzione.

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Il futuro

In Irlanda, il governo convoca domani, venerdì 1° agosto, un Forum Nazionale sul Commercio per valutare le conseguenze. Il Tánaiste Harris lo ha definito “… un’opportunità tempestiva per condividere e acquisire informazioni su cosa significherà questo accordo per il futuro delle imprese, dei posti di lavoro e dell’economia irlandese.”

I leader industriali irlandesi continuano a chiedere prudenza e chiarezza, avvertendo che errori nei prossimi mesi potrebbero avere conseguenze a lungo termine non solo per le esportazioni farmaceutiche europee, ma anche per i pazienti e gli ospedali americani.

L’Irlanda tra incertezza commerciale e fragilità strutturali

Non si tratta solo di tariffe e accordi commerciali: il settore farmaceutico irlandese opera in un contesto economico e strategico fragile, come sottolineano esperti e operatori locali.

L’Irish Independent ha raccolto le parole di Michelle Aylward, amministratrice delegata della County Tipperary Chamber, che ha dichiarato: “Questa non è una struttura commerciale equilibrata o stabile. Esortiamo il governo irlandese e la Commissione europea a dimostrare una leadership chiara, cercando risposte tempestive e dettagliate.” Si tratta di un appello alla chiarezza che si inserisce in un contesto economico e strategico già sotto forte pressione.

Infatti, secondo Aylward, non si tratta soltanto di commercio: “Stiamo entrando in una nuova era di competizione strategica, che richiede lungimiranza in materia di commercio, sicurezza energetica, regolamentazione digitale e politica di difesa. Irlanda e UE devono essere proattive nel garantire la nostra base industriale e nel proteggere i posti di lavoro nelle comunità come quella di Tipperary. La chiarezza non è solo auspicabile: è essenziale.”

Il Financial Times ricorda come l’Irlanda, un tempo tra i Paesi più poveri d’Europa, sia oggi tra i più prosperi, ma sottolinea che questa posizione è ora sotto pressione. Un dipendente Pfizer, rimasto anonimo, ha dichiarato al giornale: “Ci dicono [i dirigenti] ‘non siamo preoccupati per Trump’, ma le aziende farmaceutiche stanno investendo miliardi negli Stati Uniti per costruire nuovi impianti e tenerlo buono […] Non spenderanno qui quando regna l’incertezza.”

Come evidenziato dal Financial Times, le preoccupazioni sul futuro economico dell’Irlanda non sono infondate. Pur beneficiando oggi di entrate fiscali record, stimate vicino ai 30 miliardi di euro per quest’anno grazie a grandi multinazionali, il Paese rimane estremamente vulnerabile. Gran parte del gettito fiscale proviene infatti da poche aziende: appena dieci gruppi versano oltre la metà dell’imposta sulle società, e tre di questi, tra cui con ogni probabilità Pfizer, contribuiscono da soli a un terzo delle entrate. Senza questo sostegno fiscale concentrato, l’Irlanda avrebbe registrato deficit di bilancio ogni anno dal 2008.

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A queste vulnerabilità si aggiungono sfide strutturali, come analizza il Financial Times: nonostante la popolazione irlandese sia tra le più giovani d’Europa, con un’età media di 39 anni, sta rapidamente invecchiando. Il rapporto tra persone in età lavorativa e over-65 è previsto dimezzarsi entro il 2050, generando un costo aggiuntivo per lo Stato stimato in 16 miliardi di euro all’anno.

Nonostante le sfide, ci sono segnali incoraggianti: i fondi quotati in borsa con base in Irlanda ormai coprono oltre il 70% del mercato europeo. Pat Lardner, amministratore delegato di Irish Funds, sottolinea come il settore finanziario irlandese non segua necessariamente i trend della domanda interna o dell’economia generale, rendendolo un efficace strumento di diversificazione.

Leggi qui l’articolo originale

(A cura di Matilda Aleandri)



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