Con la Circolare n. 20 del 31 luglio 2025, Assonime fornisce un’articolata analisi sistematica delle novità recate dal D.Lgs. n. 192/2024, che segna una tappa cruciale nel processo di superamento del doppio binario tra disciplina contabile e fiscale.
L’eliminazione della rateizzazione dei contributi in conto capitale, l’allineamento dei criteri di valutazione delle commesse e la piena rilevanza fiscale delle differenze cambio da valutazione rappresentano i tre capisaldi della riforma.
La Circolare chiarisce portata, decorrenza, ambiti applicativi e punti di frizione ancora aperti, costituendo oggi il riferimento interpretativo più autorevole per i professionisti della fiscalità d’impresa.
1) Contributi in conto capitale: stop alla rateizzazione, ma resta il principio di cassa
Secondo quanto analizzato nella Circolare Assonime 20/2025, il nuovo art. 88, comma 3, TUIR – come modificato dall’art. 9 del D.Lgs. 192/2024 – segna la fine della possibilità di diluire su più esercizi la tassazione dei contributi in conto capitale.
Tali proventi, finora imponibili in quote costanti fino a cinque esercizi, diventano ora interamente tassabili nell’anno di incasso.
La circolare precisa che permane, tuttavia, il criterio di cassa, mantenuto per evitare effetti distorsivi derivanti dalla tassazione anticipata di contributi formalmente spettanti ma non ancora riscossi.
Il principio di prudenza fiscale continua quindi a operare come limite alla piena aderenza civilistica.
Assonime sottolinea come la scelta di confermare la rilevanza fiscale per cassa, anche a fronte dell’eliminazione della rateizzazione, risponda all’esigenza di tutela del contribuente in presenza di una discrasia temporale tra il momento della rilevazione contabile – fondata, come noto, sul principio della “ragionevole certezza” dell’acquisizione del contributo – e quello della sua effettiva percezione.
In tale contesto, la tassazione anticipata di un provento ancora non incassato potrebbe condurre a un’irragionevole anticipazione dell’onere fiscale rispetto alla manifestazione finanziaria della capacità contributiva, in contrasto con i principi costituzionali di capacità contributiva e ragionevolezza.
Il mantenimento del criterio di cassa, dunque, pur rappresentando una deroga al principio di derivazione rafforzata, è ritenuto funzionale a preservare l’equilibrio tra esigenze di semplificazione e di giustizia fiscale sostanziale.
In altri termini, la norma evita che l’avvicinamento tra imponibile e bilancio si traduca, in questa specifica fattispecie, in una penalizzazione per il contribuente, preservando il carattere “effettivo” del reddito da assoggettare a imposizione.
La circolare chiarisce che questa impostazione, lungi dal costituire un arretramento rispetto al principio di derivazione, ne rappresenta piuttosto una declinazione prudenziale, coerente con l’impostazione sistemica della riforma, che mira a un progressivo riallineamento tra diritto tributario e contabilità d’impresa, ma non a un automatismo rigido che trascuri i profili di equità e sostenibilità.
Di particolare rilievo è l’analisi dell’impatto della modifica sui contributi per studi e ricerche disciplinati dall’art. 108, comma 3, TUIR, norma che rinvia espressamente alla disciplina dell’art. 88, comma 3, con conseguente assimilazione dei relativi contributi a sopravvenienze attive.
La Circolare Assonime mette in luce l’ambiguità applicativa determinata dalla nuova formulazione della norma, rilevando due possibili interpretazioni, tra loro alternative.
La prima, più formale e restrittiva, conduce a ricondurre tutti i contributi pubblici erogati a fronte di spese di ricerca e sviluppo, a prescindere dal loro trattamento contabile, al regime previsto per i contributi in conto capitale.
Ne conseguirebbe l’obbligo di assoggettare integralmente a tassazione, nell’esercizio dell’incasso, anche quei contributi correlati a costi capitalizzati in bilancio e ammortizzati secondo il principio di competenza.
Tale lettura, pur coerente con la lettera del rinvio normativo, determinerebbe però un’evidente frattura logico-sistemica tra componente positiva e negativa del reddito, dando luogo a una rilevante anticipazione del carico fiscale rispetto alla reale dinamica economico-finanziaria dell’investimento agevolato.
La seconda interpretazione, più aderente alla ratio del principio di derivazione rafforzata, riconosce invece rilievo al trattamento contabile adottato, valorizzando la distinzione tra contributi effettivamente qualificabili come “in conto capitale” e quelli che, secondo l’OIC 24 o lo IAS 20, integrano a tutti gli effetti contributi in conto impianti, destinati a ridurre il costo di immobilizzazioni immateriali o ad alimentare risconti pluriennali da imputare per competenza.
In tale prospettiva, i contributi che finanziano spese di sviluppo capitalizzate dovrebbero seguire il medesimo regime di competenza del costo cui si riferiscono, preservando così la simmetria fiscale del processo e garantendo coerenza tra bilancio e imposizione.
Assonime non prende posizione definitiva tra le due tesi, ma sollecita un chiarimento interpretativo da parte dell’Amministrazione finanziaria o del legislatore, evidenziando il rischio concreto che, in assenza di un intervento correttivo, si produca un disallineamento strutturale tra costi deducibili distribuiti su più esercizi e proventi tassati immediatamente per cassa.
Una tale frizione, sottolinea la circolare, appare incoerente non solo con i principi contabili nazionali e internazionali, ma anche con gli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione perseguiti dalla legge delega n. 111/2023.
In ultima analisi, la questione evidenzia i limiti di un rinvio normativo automatico (art. 108 → art. 88) che, se applicato senza considerare la qualificazione contabile del contributo, rischia di penalizzare fiscalmente proprio quelle imprese che investono maggiormente in attività di innovazione e sviluppo, violando di fatto i principi di neutralità e proporzionalità dell’imposta.
2) Commesse: le novità interpretate attraverso il filtro dell’OIC 23 e dell’OIC 34
Uno dei fulcri della Circolare è l’analisi dell’intervento sugli articoli 92 e 93 del TUIR, con cui il legislatore apre, per le imprese che adottano i principi contabili nazionali, alla fiscalizzazione dei criteri di valutazione delle commesse adottati in bilancio.
Assonime evidenzia come il D.Lgs. 192/2024 abbia profondamente modificato l’impianto normativo relativo alla fiscalità delle commesse, superando il rigido automatismo valutativo imposto dagli artt. 92 e 93 del TUIR nella versione previgente.
Per le commesse infrannuali, viene meno l’obbligo, fino al 2023 inderogabile, di valutazione al costo sostenuto nell’esercizio, ossia secondo il criterio della commessa completata, anche nei casi in cui, in bilancio, fosse adottato il metodo della percentuale di completamento.
Tale disallineamento generava inevitabilmente variazioni temporanee nella dichiarazione dei redditi e imponeva oneri di riconciliazione non trascurabili.
Con la riforma, viene invece riconosciuta piena efficacia fiscale al metodo della percentuale di completamento qualora correttamente adottato in sede civilistica, in conformità ai requisiti dell’OIC 23. In questo modo, si consente alle imprese di valorizzare le commesse brevi in coerenza con la rappresentazione economica del bilancio, evitando duplicazioni contabili e semplificando l’attività dichiarativa.
La circolare chiarisce che tale facoltà opera solo se il metodo applicato è tecnicamente corretto e supportato da elementi oggettivi (quali stati di avanzamento, metriche di controllo, documentazione contrattuale), e non come libera scelta unilaterale del contribuente.
Ancora più innovativa è la modifica introdotta per le commesse ultrannuali.
Se fino al 2023 il TUIR imponeva l’utilizzo esclusivo del metodo della percentuale di completamento – anche laddove non sussistessero le condizioni per applicarlo – il nuovo art. 93, come riformulato, consente ora di applicare ai fini fiscali anche il metodo della commessa completata (ossia la valutazione al costo), purché adottato in bilancio e fondato sulla mancanza delle condizioni previste dall’OIC 23 per l’adozione della percentuale di completamento.
Tali condizioni, come ricordato dalla Circolare, includono l’esistenza di un contratto vincolante, la possibilità di stimare con attendibilità i costi e i ricavi di commessa, e il diritto dell’appaltatore a ricevere i corrispettivi in modo progressivo.
In mancanza anche di uno solo di tali requisiti, la corretta applicazione del principio contabile impone la valutazione al costo. La novità normativa introduce quindi una flessibilità finora assente, consentendo che l’imposizione fiscale rispecchi con maggiore fedeltà l’effettiva dinamica economica della commessa.
La Circolare segnala che la rilevanza fiscale dei metodi contabili – percentuale di completamento o costo – è subordinata al rispetto dei “corretti principi contabili”, evidenziando che non è sufficiente la mera indicazione formale in bilancio, ma occorre una sostanza valutativa coerente con l’OIC 23.
In caso contrario, la valorizzazione adottata non potrà assumere rilevanza fiscale.
In conclusione, queste modifiche realizzano un avvicinamento effettivo, anche se ancora parziale, tra disciplina contabile e fiscale nella gestione delle commesse, con una significativa riduzione delle divergenze temporanee. Esse costituiscono un primo importante passo verso la piena valorizzazione del bilancio quale punto di partenza per la determinazione del reddito d’impresa, sempre nel rispetto della correttezza sostanziale delle valutazioni effettuate.
La Circolare sottolinea che il recepimento fiscale dei criteri di valutazione adottati in bilancio non è automatico, ma subordinato alla loro conformità ai “corretti principi contabili”, espressione che richiama, in particolare, le disposizioni contenute nell’OIC 23 e, per i servizi, nell’OIC 34.
Questo significa che non è sufficiente che il contribuente applichi formalmente un metodo contabile in bilancio per ottenere la sua automatica rilevanza fiscale: occorre che tale metodo sia applicato secondo i presupposti tecnici e le condizioni previste dai principi contabili di riferimento.
In tale ottica, la riforma non introduce una derivazione “meccanica” o “apparente”, ma riafferma una derivazione “sostanziale”, in cui il bilancio assume centralità nella determinazione dell’imponibile solo nella misura in cui le sue valutazioni siano coerenti con standard contabili corretti e verificabili.
Ne deriva che l’Amministrazione finanziaria potrà legittimamente disconoscere la rilevanza fiscale di criteri di valutazione adottati in modo arbitrario, non fondati su una corretta interpretazione dei principi contabili applicabili.
Si pensi, ad esempio, a una commessa ultrannuale contabilizzata al costo, senza che siano oggettivamente assenti i presupposti per l’adozione del criterio della percentuale di completamento: in tal caso, pur se il bilancio adottasse il metodo del costo, il contribuente non potrebbe invocarne la rilevanza fiscale, mancando la condizione sostanziale di correttezza contabile.
In questo senso, la circolare richiama l’attenzione dei contribuenti sull’importanza di effettuare un’analisi scrupolosa e documentata del contratto e del suo stato di avanzamento, come prerequisito per la legittimità fiscale delle valutazioni adottate.
Quanto al profilo temporale, la Circolare chiarisce che la nuova disciplina si applica alle commesse avviate dal 1° gennaio 2024, mentre per quelle già in corso al 31 dicembre 2023 continua ad applicarsi il regime previgente fino alla loro ultimazione.
Questa regola transitoria risponde a una logica di coerenza sistemica: evita che vengano meno, in modo repentino, le variazioni temporanee generate negli esercizi precedenti, consentendo il loro graduale riassorbimento secondo le regole originarie.
L’obiettivo, come evidenziato da Assonime, è quello di impedire effetti distorsivi derivanti da una discontinuità normativa non governata, che avrebbe potuto condurre a fenomeni di doppia imposizione (o, all’opposto, a mancata tassazione) su poste già oggetto di variazioni in esercizi antecedenti.
È quindi una clausola di salvaguardia della neutralità del passaggio di regime, che valorizza la stabilità e la coerenza del sistema fiscale rispetto alla storia contabile delle singole commesse.
Assonime evidenzia, infine, che nonostante il rilevante sforzo di allineamento tra disciplina contabile e fiscale, permangono tuttora alcune aree di disallineamento normativo, tra le quali spicca, per rilevanza operativa, quella relativa al trattamento delle maggiorazioni contrattuali nei contratti di appalto di durata ultrannuale.
L’art. 93, comma 2, del TUIR, anche nella sua versione riformata dal D.Lgs. 192/2024, continua infatti a prevedere che, nell’ambito della determinazione dei ricavi di commessa, debba essere considerata almeno per il 50% la parte di corrispettivo relativa a variazioni in corso d’opera, riserve o maggiorazioni di prezzo, anche se non ancora formalmente riconosciute dal committente, purché oggetto di richiesta avanzata in via amministrativa o giudiziale.
Questa disposizione, di origine risalente e ispirata a logiche presuntive di tutela dell’erario, si pone in potenziale frizione con i criteri dettati dal principio contabile OIC 23, il quale, al contrario, impone una rigorosa verifica della “ragionevole certezza” circa la realizzazione del ricavo per consentirne l’iscrizione nel bilancio d’esercizio.
Secondo tale principio, infatti, l’appaltatore può rilevare il ricavo solo se vi è una fondata aspettativa di percezione, basata su elementi oggettivi e documentabili, quali perizie tecniche, atti negoziali di riconoscimento, andamento delle trattative o storicità dei rapporti con il committente.
La circolare sottolinea che l’obbligo di rilevare fiscalmente tali maggiorazioni in misura almeno parziale – indipendentemente dall’effettiva certezza del relativo realizzo – rappresenta un punto critico nella transizione verso una piena derivazione rafforzata. In particolare, si tratta di una disposizione che sembra ancorata a una logica “fiscale pura”, fondata su presunzioni legali, e che rischia di compromettere la coerenza tra la base imponibile e il risultato economico civilistico.
Il rischio concreto, evidenziato da Assonime, è che l’impresa sia costretta a effettuare una variazione in aumento in dichiarazione dei redditi per una componente di ricavo che, per la contabilità, non può ancora essere riconosciuta in quanto priva dei requisiti sostanziali.
Si crea così un disallineamento strutturale che reintroduce, proprio nell’ambito delle commesse ultrannuali – cioè uno dei settori più complessi della fiscalità d’impresa – quel doppio binario che la riforma avrebbe voluto superare.
La circolare suggerisce, in via interpretativa, una lettura coerente con l’intento della legge delega, secondo cui l’adozione dei criteri contabili deve valere “fatti salvi” i casi espressamente previsti da norme tributarie speciali.
Tuttavia, Assonime auspica un intervento chiarificatore da parte del legislatore, volto a riallineare l’art. 93, comma 2, TUIR con la logica della derivazione sostanziale, subordinando la rilevanza fiscale delle maggiorazioni contrattuali a requisiti probatori analoghi a quelli richiesti per la loro iscrizione contabile.
In mancanza di una tale armonizzazione, si corre il rischio che la nuova disciplina rimanga parzialmente inapplicata proprio nei casi più delicati e complessi, frustrando l’obiettivo di semplificazione e razionalizzazione perseguito con la riforma.
3) Differenze di cambio: nuova rilevanza fiscale delle valutazioni di fine esercizio
La Circolare dedica ampio spazio all’abrogazione dell’art. 110, comma 3, TUIR, ad opera dell’art. 9, comma 1, lett. d), del D.Lgs. 192/2024, provvedimento con il quale viene definitivamente superata la sterilizzazione fiscale delle differenze di cambio su poste monetarie in valuta estera rilevate in sede di bilancio. La novella normativa, in attuazione dell’art. 9, comma 1, lett. c), della legge delega n. 111/2023, realizza un pieno allineamento tra le regole contabili e quelle fiscali in materia valutaria, recependo integralmente i criteri previsti dal principio contabile OIC 26.
A partire dall’esercizio 2024, tutte le valutazioni di fine periodo su poste monetarie in valuta – quali crediti, debiti, disponibilità liquide, titoli a reddito fisso – acquistano rilevanza fiscale immediata, senza necessità di attendere il realizzo effettivo.
La modifica determina così il definitivo superamento di un doppio binario che, in passato, aveva imposto una complessa gestione di variazioni temporanee, con obbligo di sterilizzazione in sede dichiarativa e conseguente iscrizione di fiscalità differite.
Assonime sottolinea due effetti applicativi immediati della riforma: in primo luogo, la necessità, per il 2024, di includere nell’imponibile anche le differenze di cambio da valutazione rilevate nel bilancio 2023 e fino ad allora non tassate.
Questo effetto retroattivo è previsto dall’art. 13, comma 4, del decreto, che dispone l’assoggettamento a imposizione delle differenze già iscritte contabilmente ma escluse dal reddito imponibile in applicazione della norma abrogata.
In secondo luogo, la circolare segnala che, con il venir meno delle divergenze tra valore contabile e fiscale delle poste in valuta, decade anche l’obbligo di rilevare fiscalità differite attive o passive su tali componenti, sia in sede di bilancio (voce 20 del Conto economico) che nella determinazione del reddito imponibile.
Le imprese dovranno quindi procedere, nel bilancio 2024, allo storno delle eventuali fiscalità differite non ancora riassorbite, derivanti da variazioni in aumento o in diminuzione operate nei precedenti esercizi.
La Circolare chiarisce inoltre che la nuova disciplina si applica esclusivamente alle poste monetarie, ovvero a quelle attività e passività che daranno luogo a incassi o pagamenti in valuta estera.
Ne restano esclusi, coerentemente con l’OIC 26, gli acconti in valuta versati o ricevuti per beni e servizi futuri, i quali costituiscono poste non monetarie e non sono quindi oggetto di adeguamento valutativo a fine esercizio.
Particolare attenzione è dedicata al trattamento dei fondi per rischi e oneri in valuta, che l’OIC 26 assimila alle poste monetarie nella misura in cui siano destinati a coprire obbligazioni che comporteranno esborsi futuri in moneta estera. In tal caso, l’importo stanziato nel fondo deve essere convertito al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio, con rilevanza contabile e, dal 2024, anche fiscale della differenza di cambio emergente.
Infine, Assonime richiama l’attenzione su un’importante permanenza del principio di prudenza in ambito contabile: le differenze attive su cambi da valutazione, pur divenendo imponibili, non sono immediatamente distribuibili, in quanto non realizzate.
Tale limitazione, imposta dall’art. 2426, n. 8-bis, c.c., e ribadita dall’OIC 26, continua a fungere da presidio a tutela dell’integrità del patrimonio netto, confermando che l’allineamento fiscale non implica necessariamente una piena assimilazione civilistica anche ai fini della determinazione del risultato distribuibile.
4) Considerazioni conclusive
La Circolare Assonime n. 20/2025 si afferma come il documento interpretativo di riferimento imprescindibile per una corretta comprensione e applicazione delle profonde innovazioni introdotte dal D.Lgs. 192/2024, primo pilastro attuativo della legge delega per la riforma fiscale (L. 111/2023).
Si tratta non di una mera disamina normativa, ma di un’autentica guida sistematica, che affronta in chiave tecnica ed evolutiva gli effetti della riforma sulla determinazione del reddito d’impresa, fornendo agli operatori – professionisti, imprese, e organi di controllo – un quadro completo, ragionato e aggiornato al 31 luglio 2025.
Assonime non si limita a descrivere le nuove disposizioni, ma individua con chiarezza le criticità sistemiche e le zone grigie ancora presenti nel nuovo assetto. Il documento propone letture operative coerenti con il principio della derivazione rafforzata, confermandolo quale asse portante del futuro sistema fiscale d’impresa.
L’analisi non si limita alla mera adesione formale ai valori di bilancio, ma insiste sulla necessità di una derivazione sostanziale, fondata sulla correttezza delle valutazioni contabili secondo i principi OIC, quale condizione per la loro rilevanza fiscale.
La riforma, come evidenzia la Circolare, costituisce un importante passo in avanti nella semplificazione del rapporto tra contabilità e fiscalità, con effetti positivi in termini di riduzione degli adempimenti, coerenza delle scritture, e prevedibilità dell’imposizione.
La soppressione del doppio binario in ambiti tradizionalmente problematici – contributi in conto capitale, commesse, poste in valuta – comporta una sensibile diminuzione delle variazioni temporanee e del correlato carico dichiarativo.
Tuttavia, la stessa Circolare riconosce che il superamento del doppio binario non è ancora totale. Rimangono ambiti significativi – quali l’ammortamento anticipato o accelerato, le svalutazioni di crediti, gli accantonamenti a fondi rischi e oneri – nei quali continua a sussistere una separazione strutturale tra disciplina civilistica e fiscale.
Tali ambiti, al momento, richiedono ancora l’effettuazione di variazioni extracontabili in dichiarazione, e pongono interrogativi sul grado effettivo di semplificazione raggiunto.
La portata innovativa della Circolare emerge soprattutto nella sua visione prospettica: Assonime evidenzia l’opportunità – e quasi la necessità – di estendere la logica della derivazione rafforzata anche alle micro-imprese, che redigono il bilancio in forma abbreviata, laddove utilizzino principi contabili corretti e trasparenti. Si tratterebbe di un passo decisivo per garantire equità, semplicità e neutralità nel trattamento fiscale di tutti i soggetti economici, a prescindere dalla dimensione.
In questo senso, la Circolare va vista non solo come documento interpretativo, ma come manifesto tecnico-politico di un sistema tributario in evoluzione. Essa delinea con chiarezza una traiettoria di lungo periodo che punta alla definitiva centralità del bilancio nella determinazione del reddito imponibile, sulla base del principio “una sola base, due imposte”, in linea con le tendenze dei principali ordinamenti europei.
In sintesi, pur evidenziando i limiti ancora esistenti, la Circolare Assonime 20/2025 sancisce una svolta metodologica nella relazione tra impresa e fisco, e offre agli operatori una mappa affidabile per orientarsi nel nuovo scenario normativo.
È in questa chiave che va letta: non solo come lettura tecnica della norma, ma come guida per una riforma culturale dell’imposizione d’impresa, ormai in fase avanzata ma non ancora compiuta.
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