(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
C’è un’Italia che si affaccia sul mare con oltre ottomila chilometri di coste, un milione di addetti, 230mila imprese e un valore pari all’11,3% del PIL. Eppure, l’Economia del Mare continua a essere percepita più come vocazione che come industria. Confindustria prova a cambiare questa narrazione, investendo per la prima volta su una delega specifica. Al centro, la volontà di trasformare vantaggi geografici in leve competitive, semplificando regole e rafforzando le infrastrutture. Ne parliamo con Mario Zanetti, delegato del Presidente Orsini per l’Economia del Mare.
Quale ruolo ricopre oggi l’Economia del Mare nel sistema industriale nazionale, e come si inserisce nella visione strategica di Confindustria?
«Il Presidente Orsini ha istituito una delega specifica sull’Economia del Mare, a testimonianza del suo valore strategico per il Paese. Parliamo di un ecosistema industriale articolato, che coinvolge oltre 230mila imprese, un milione di lavoratori, con un valore di 216,7 miliardi di euro, pari all’11,3% del PIL (fonte: Osservatorio Ossermare e Centro Studi Tagliacarne – Unioncamere). Confindustria, unica realtà nazionale a rappresentare l’intero settore, promuove una visione integrata fondata su una governance efficace e sull’interconnessione delle filiere. Il mare deve rappresentare una leva competitiva essenziale per l’Italia nello scenario euro-mediterraneo. In un contesto geopolitico segnato dalla ridefinizione degli equilibri globali e dalla necessità di rafforzare l’autonomia strategica europea, l’Italia ha l’opportunità di rilanciare la propria vocazione marittima. Confindustria è pronta a fare la sua parte, con visione e responsabilità industriale».
L’Italia dispone di rilevanti infrastrutture per l’Economia del Mare, non sempre pienamente valorizzate. Quali sono le criticità sistemiche che ostacolano la piena competitività internazionale?
«Con oltre 8.000 chilometri di coste e una posizione geografica strategica nel cuore del Mediterraneo, l’Italia vanta porti d’eccellenza e un’industria cantieristica leader a livello mondiale. Tuttavia, persistono inefficienze logistiche e ostacoli regolatori. Il sistema autorizzativo è troppo complesso, mentre l’accessibilità retroportuale e il raccordo con le reti terrestri non sono ancora all’altezza delle sfide globali. Per colmare questo divario è necessario rafforzare l’intermodalità e incentivare lo spostamento dei traffici dalla gomma al mare, potenziare la capacità logistica e promuovere condizioni normative più semplici e orientate alla competitività. Occorre adottare una visione sistemica e multilivello, capace di trasformare i vantaggi geografici in vere leve industriali».
I porti sono chiamati a diventare veri hub energetici. Quali strumenti fiscali e industriali sono necessari per accompagnare questa trasformazione?
«La transizione energetica del sistema portuale rappresenta una delle sfide più rilevanti per il futuro dell’Economia del Mare. È fondamentale realizzare impianti di alimentazione elettrica da terra, diffondere infrastrutture per LNG, idrogeno e biocarburanti, ed elettrificare le banchine. Per sostenere questo percorso occorrono misure fiscali efficaci, come la destinazione dei proventi ETS nel settore, strumenti stabili di credito d’imposta e prevedere che l’ETS sia sostituito nel momento in cui entrano in vigore regole globali come l’IMO Net-Zero Framework. Digitalizzazione, 5G e automazione devono accompagnare questa trasformazione, migliorando l’efficienza dei processi. Solo così i porti italiani potranno essere protagonisti della nuova geografia energetica europea».
Il modello di governance portuale appare ancora disallineato. Cosa sarebbe necessario fare?
«L’attuale modello di governance ha mostrato importanti limiti operativi. Serve una guida strategica forte a livello centrale, affiancata da una governance territoriale che sia non solo rappresentativa ma anche realmente partecipativa delle realtà economiche locali. È necessario superare sovrapposizioni di competenze, valorizzare l’autonomia gestionale delle Autorità di Sistema Portuale e garantire una regolamentazione più omogenea del sistema concessorio. Ma la questione centrale resta culturale prima ancora che normativa. Dobbiamo costruire una visione unitaria della logistica nazionale, fondata su innovazione, semplificazione, sostenibilità e intermodalità. Solo così l’Italia potrà consolidare il proprio ruolo di porta naturale dell’Europa sul Mediterraneo».
In che modo le imprese del comparto stanno affrontando la doppia transizione, ecologica e digitale?
«Il settore si sta adattando con pragmatismo e dinamismo. La cantieristica investe in tecnologie sostenibili, propulsioni alternative e automazione, mentre comparti come la pesca necessitano di misure dedicate per l’ammodernamento delle flotte. L’innovazione è un fattore abilitante per la competitività e per rispondere agli stringenti regolamenti europei. Confindustria promuove un ecosistema favorevole allo sviluppo tecnologico, consapevole che l’Economia del Mare non potrà consolidare il proprio ruolo strategico senza investimenti in digitalizzazione, sostenibilità e innovazione».
Il capitale umano è il vero volano della competitività. Come rafforzare il legame tra formazione, impresa e attrazione di talenti?
«Il grave mismatch tra domanda e offerta di competenze è una criticità strutturale. Servono percorsi mirati e coerenti con le esigenze del sistema produttivo. Occorre rafforzare ITS e Università, semplificare l’accesso alle professioni marittime e sviluppare nuove competenze per le transizioni. Confindustria propone di inserire l’Economia del Mare nel Piano Mattei, con focus su formazione e professioni. L’obiettivo è colmare la carenza di personale qualificato e offrire ai giovani africani concrete opportunità professionali nel settore. Ma oltre alle politiche, serve una nuova narrazione: dobbiamo raccontare ai giovani che qui ci sono opportunità di carriera qualificate, internazionali, ben retribuite e coerenti con le sfide ambientali del futuro».
Se dovesse indicare tre priorità per rilanciare strutturalmente l’Economia del Mare, quali sarebbero?
«La strategia indicata da Confindustria poggia su tre assi fondamentali: infrastrutture e portualità, vettori e flotte, persone e competenze. Servono inoltre tre leve abilitanti: risorse adeguate a investimenti sostenibili e digitali, una semplificazione normativa efficace e una strategia di comunicazione capace di far emergere il valore delle filiere del mare. Il nostro obiettivo è chiaro: creare condizioni favorevoli allo sviluppo, rafforzare la competitività e contribuire alla leadership italiana nello scenario mediterraneo e globale. In conclusione, per garantire la competitività e la sostenibilità dell’Economia del Mare, serve una visione strategica condivisa tra industria e istituzioni, una governance efficace e investimenti mirati su infrastrutture, flotte e capitale umano. Confindustria si pone come interlocutore principale per tradurre le criticità in azioni concrete, favorendo il dialogo con i Ministeri competenti e promuovendo un ecosistema formativo, produttivo e normativo più moderno e competitivo».
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