Il Corporate Venture Builder è un modello strategico relativamente recente che, sebbene ancora poco diffuso in Italia, ha un forte potenziale. Può generare benefici concreti non solo per le imprese che lo adottano, ma anche per le startup e per l’intero ecosistema dell’innovazione, favorendo la nascita di nuove realtà imprenditoriali e accelerando la trasformazione dei settori industriali.
A livello globale si contano tra i 500 e i 700 venture builder attivi, di cui circa un quarto direttamente collegati a grandi aziende. In Europa, il settore registra una crescita costante del 25–30% annuo, segnando il passaggio da una fase sperimentale a modelli sempre più solidi e strategici.
Grandi gruppi industriali come Bosch confermano l’impegno crescente nel corporate venture building, scegliendolo come leva concreta per innovare dall’interno. Le imprese adottano questo modello per diversificare le fonti di ricavo, accelerare l’innovazione, ridurre i rischi e sviluppare nuove realtà imprenditoriali in linea con la propria visione strategica.
Ma vediamo meglio quali caratteristiche ha e qual è la situazione in Italia e nel mondo.
Cos’è il Corporate Venture Builder (CVB)
Il Corporate Venture Builder (CVB) è un modello di innovazione strategica attraverso cui le grandi aziende creano nuove startup internamente, con l’obiettivo di diversificare il business, esplorare nuovi mercati o integrare tecnologie emergenti. A differenza degli acceleratori o dei corporate venture capital, i CVB non si limitano a supportare startup esterne: ne costruiscono da zero, sfruttando asset, know-how, tecnologie e mercati già in possesso dell’azienda madre. È un approccio che consente di superare i limiti dell’innovazione aperta, riducendo i rischi di disallineamento tra startup e corporate.
Le definizioni
Negli anni vari studiosi del settore si sono cimentati nella descrizione di questo modello strategico.
I Corporate Venture Builder sono stati definiti come produttori, fabbriche di aziende, creatori di nuove iniziative imprenditoriali sulla base di un processo sistematico (Szigeti, 2017). Il Corporate Venture Builder riflette il concetto di spin-off di imprese, per formare una nuova società che trasforma un’idea imprenditoriale sviluppata all’interno dei confini aziendali in un’impresa autonoma (Gutmann, 2018-2019). Si tratta di un modello ispirato al fenomeno degli Startup Studio.
I Corporate Venture Builder utilizzano e sfruttano le risorse dell’impresa, che le startup non hanno, quindi risorse economiche, asset industriali, competenze ed esperienze, network e mercati (Scheuplein & Kahn, 2017). Questo consente di migliorare la velocità ed efficienza nello scaling-up e anche di standardizzare i processi rispetto ad altre soluzioni di venturing in cui è meno forte l’ownership, come acceleratori o incubatori (Köhler & Baumann, 2016).
Questi sforzi di venturing possono portare alla formazione di nuove unità che possono essere enti esterni, nuove aziende o startup, o nuove Business Unit dell’impresa.
Come funziona un Corporate Venture Builder: fasi, attori e vantaggi
Il Corporate Venture Builder (CVB) si distingue per un approccio sistemico e iterativo alla creazione di nuove imprese. Il processo si articola in quattro fasi principali: ideazione, validazione, costruzione e scale-up. La prima fase consiste nell’identificazione di opportunità strategiche, spesso derivate da challenge interne, insight di mercato, segnalazioni del team R&D o analisi delle discontinuità tecnologiche. Secondo uno studio di BCG – Boston Consulting Group, circa il 70% dei CVB parte da un’analisi del portafoglio tecnologico e dai bisogni non ancora soddisfatti dei clienti (fonte: BCG, “Corporate Venture Building”, 2022).
Successivamente, le idee selezionate vengono validate attraverso l’analisi del problem-solution fit e la realizzazione di proof of concept (PoC). Qui intervengono team misti composti da founder in residence, spesso imprenditori seriali o innovatori interni, affiancati da specialisti di prodotto, designer e business developer. Il coinvolgimento di questi team permette di testare rapidamente le ipotesi di business in un ambiente protetto. Come sottolinea McKinsey, “il venture building richiede competenze trasversali e la capacità di iterare velocemente, elemento che rende fondamentale la presenza di team dedicati e multidisciplinari” (McKinsey & Company, “Building new businesses in incumbent organizations”, 2021).
Se l’idea supera le fasi iniziali, si procede con la costituzione formale della nuova società (venture), dotata di un budget iniziale (pre-seed/seed), un team autonomo, e il supporto di una governance dedicata. Qui il CVB si distingue da un classico acceleratore o incubatore: non si limita a fornire mentorship o capitali, ma affianca operativamente la startup con servizi shared come legal, HR, marketing, vendite, IT e relazioni con il gruppo corporate. Secondo Dealroom, le startup nate in ambito venture builder hanno una probabilità di successo del 40% superiore rispetto a quelle indipendenti, grazie a questa struttura di supporto end-to-end (fonte: Dealroom.co, “Venture Builder Landscape 2023”).
Infine, anche dopo lo spin-off o l’ingresso sul mercato, il CVB può mantenere un ruolo attivo come venture client, partner industriale o investitore, facilitando l’accesso a canali di vendita, tecnologie proprietarie, reti di partner e reputazione aziendale. Questo modello garantisce time-to-market più rapidi, maggiore sinergia con la strategia aziendale e un rischio mitigato rispetto all’open innovation classica.
Un mercato in espansione: numeri e tendenze
Il numero totale di venture builder attivi nel mondo si è attestato tra 500 e 700 nel 2024–2025, con circa un quarto sotto il controllo diretto di grandi aziende (modello corporate). L’ecosistema sta infatti entrando in una nuova fase: dal “picco sperimentale” a un’aumento strutturale della maturità e della strategicità delle iniziative.
In Europa in particolare, il modello corporate è cresciuto su base annua a ritmi di circa 25–30%, sostenuto da investimenti strutturali in innovazione e da una governance più solida.
Esempi di Corporate Venture Builder nel mondo: Bosch, Airbus, Bayer, Telefónica
Bosch Business Innovations (ex Grow Platform) gestisce 8 hub globali e un portafoglio di 7 venture attive con una crescita media del 64% annuo dal 2019.
Robert Bosch Venture Capital (RBVC) ha effettuato oltre 100 investimenti globali in aziende deep‑tech e lanciato nel maggio 2025 un nuovo fondo da circa 250–280 milioni di euro dedicato ad AI, climatetech e semiconduttori.
Oltre a Bosch, corporation come Airbus, Bayer e Telefónica hanno avviato propri venture builder interni focalizzati su aree come intelligenza artificiale, biotecnologie e mobilità. Anche E.ON Agile e simili strutture europee guadagnano terreno grazie a progetti centrati su transizione energetica e sostenibilità.
L’Italia e il Corporate Venture Building (CVB)
In Italia il Corporate Venture Building (CVB) è ancora un fenomeno di nicchia, ma sta lentamente guadagnando terreno tra le imprese più lungimiranti. A fronte di un panorama ancora dominato dall’approccio tradizionale all’innovazione – spesso relegato a reparti R&D o ad attività di open innovation poco integrate – alcune grandi aziende stanno sperimentando modelli più strutturati. Il caso più avanzato è quello di A2A (vedi sotto). Anche realtà come Leonardo, nella divisione Cyber & Security, o Enel, con il suo Innovation Hub & Lab, stanno avviando percorsi che si avvicinano al CVB, pur senza ancora adottarne formalmente tutti i meccanismi.
Tuttavia, nel 2024 solo una minoranza delle grandi aziende italiane dispone di un vero modello di venture building: secondo le ultime rilevazioni, appena il 20% delle top 50 corporate ha una struttura di Corporate Venture Capital, e ancor meno ha attivato processi di creazione diretta di startup. I capitali investiti in questo ambito restano bassi: nel 2024 il CVC italiano ha raccolto solo 69 milioni di euro su 15 round, e oltre metà di questi investimenti sono stati destinati a startup estere. L’ecosistema nazionale resta quindi debole sul fronte del coinvolgimento strutturato delle imprese nella creazione di nuove realtà imprenditoriali.
Le cause di questo ritardo sono culturali e strutturali: mancano una diffusa cultura del rischio, una governance dedicata e una visione strategica dell’innovazione imprenditoriale. Inoltre, il numero di venture builder attivi nel Paese è ancora esiguo e spesso limitato a esperienze sperimentali. Eppure, i segnali di interesse non mancano. Programmi di call for entrepreneurship interna, challenge rivolte all’esterno e iniziative di scouting sono in crescita, e il numero di PMI innovative continua ad aumentare (+11% nel 2024, con un fatturato complessivo che ha superato gli 11 miliardi di euro). Il contesto ideale per far decollare il modello CVB esiste: serve però un salto di paradigma, che spinga le imprese italiane a passare da una logica difensiva a una offensiva dell’innovazione, valorizzando le competenze interne e dotandosi di strutture permanenti per costruire nuove imprese, in modo sistematico e coerente con la propria missione industriale.
Il modello A2A: sostenibilità e imprenditorialità guidano il venture building
A2A ha scelto di puntare sul Corporate Venture Builder interno come leva strategica per accelerare l’innovazione e affrontare la transizione ecologica. Con il progetto A2A Life Ventures, il gruppo mira a lanciare ogni anno un paio di nuove startup, selezionate attraverso un processo strutturato che parte da call interne ed esterne e arriva fino al mercato. Il modello prevede un investimento fino a un milione di euro per ogni venture, suddiviso tra incubazione e accelerazione, e si fonda sulla valorizzazione degli asset interni, su una governance chiara (con un Board dedicato che include anche esperti VC) e su criteri di selezione rigorosi: le idee devono rispondere a problemi concreti, avere coerenza con la missione del gruppo, un mercato da almeno un miliardo e l’appoggio di un direttore interno. L’obiettivo è duplice: creare nuovi business scalabili e attrarre talenti, rendendo l’innovazione uno strumento concreto per affrontare le sfide ambientali e sociali.
Verso un futuro di innovazione sistemica
Il Corporate Venture Builder rappresenta una risposta efficace alla crescente complessità e velocità del cambiamento tecnologico. Permette alle aziende di trasformare internamente le idee in imprese scalabili, limitando il rischio rispetto all’open innovation tradizionale. Ma il successo dipende dalla capacità di integrare visione strategica, cultura imprenditoriale e supporto strutturato. In Italia, dove l’innovazione è spesso confinata nei reparti R&D, il CVB può essere il ponte tra industria tradizionale e nuova imprenditorialità. La sfida ora è passare dalla sperimentazione all’adozione sistemica, creando valore duraturo per aziende, imprenditori e territori.
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