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Articolo: Come cambia l’indennità per il licenziamento illegittimo nelle piccole imprese


approfondimento di Eufranio Massi per il n. 154 della rivista “Il Mondo del consulente”.

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COME CAMBIA L’INDENNITA’ PER IL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO NELLE PICCOLE IMPRESE

Gli operatori più attenti se lo aspettavano: la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025 della Corte Costituzionale con la quale è stato eliminato il tetto delle sei mensilità in caso di licenziamento illegittimo adottato da datori di lavoro dimensionati sotto le sedici unità dipendenti, era stata, in un certo senso, preannunciata dalla sentenza n. 183/2022 con la quale, dopo aver rilevato l’incongruità dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015, la Consulta aveva invitato il Parlamento a provvedere: in assenza di interventi legislativi, i giudici costituzionali, pur consapevoli dei limiti entro i quali potevano agire, avevano dichiarato che, sarebbero intervenuti.

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Da allora, sono passati tre anni, ma il Legislatore non ha prodotto neanche un disegno di legge in materia ed allora, approfittando di un ricorso avanzato dal Tribunale di Livorno, la Corte è intervenuta, dichiarando la illegittimità costituzionale “dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alle parole “e non può, in ogni caso, superare il limite delle sei mensilità”.

La sentenza, come detto pocanzi, nasce dal ricorso del Tribunale di Livorno che contestava la costituzionalità della tutela indennitaria dimezzata, contenuta nel comma 1 dell’art. 9, rispetto a quella prevista per le imprese dimensionate oltre i quindici dipendenti che si concretizzava in una forbice alquanto ridotta compresa tra tre e sei mensilità, palesemente in contrasto con alcuni principi costituzionali correlati alla ragionevolezza, all’uguaglianza e, perché no, anche alla deterrenza nei confronti del datore di lavoro, concretandosi, nella maggior parte dei casi, in una sorta di indennità forfettaria concessa in forma, quasi automatica.

Prima di proseguire nell’esame della decisione, mi preme sottolineare come la questione non sia assolutamente secondaria, sol che si pensi al fatto che secondo la rilevazione ISTAT relativa al 2023 le piccole imprese, presenti nel nostro Paese, siano oltre 800.000.

La Corte Costituzionale osserva che il Legislatore può ben scegliere, come ha fatto e come confermato dalla sentenza n. 196 del 2018, la tutela indennitaria rispetto alla reintegra nel posto di lavoro, ma questa deve essere adeguata e deve essere tale da consentire al giudice, in un momento particolarmente traumatico per il dipendente dovuto alla perdita del posto di lavoro, di poter modulare l’indennità sulla base di molteplici elementi come, il numero degli occupati presso l’impresa, le dimensioni, il settore, l’anzianità di servizio dell’ex dipendente, il comportamento tenuto dalle parti nel corso del giudizio (sono, nella sostanza, quelli evidenziati dall’art. 8 della legge n. 604/1966): occorre  personalizzare l’indennità in relazione al danno subito.

La Consulta ritiene coerente e non incostituzionale il dimezzamento della indennità per risarcimento da licenziamento illegittimo che per le imprese più grandi va da sei mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR a trentasei, ma al tempo stesso, ritiene che il tetto massimo di sei mensilità sia particolarmente incongruo in una serie di casi ove la tutela economica per i lavoratori delle altre aziende è decisamente superiore. La lesione dei parametri costituzionali con l’identificazione del tetto massimo a sei mensilità non consente di adeguare l’importo alla specificità di ogni singola vicenda (non tutti i recessi intimati dai datori di lavoro sono uguali) e lo stesso criterio che distingue le aziende sulla scorta del numero dei dipendenti (fino a quindici od oltre tale limite) non è più attuale sol che si pensi all’incessante evoluzione tecnologica e alla trasformazione dei processi produttivi ove nascono e vivono aziende che fatturano milioni e hanno un numero di lavoratori subordinati abbastanza esiguo (essendo altri, magari, collaboratori autonomi, lavoratori somministrati, ecc.); è un fenomeno questo che si registra ogni giorno e che, presumibilmente, è destinato ad aumentare con l’introduzione sempre più massiccia dell’Intelligenza Artificiale.

Su quest’ultimo aspetto i giudici costituzionali non possono intervenire, atteso che la materia è di esclusiva competenza del Legislatore: di qui il nuovo pressante invito a introdurre norme che ridisegnino il regime speciale previsto per i piccoli datori di lavoro, a partire dalla stessa individuazione dei criteri di identificazione che non possono essere soltanto quelli relativi al numero dei dipendenti in forza, cosa che, nel nostro ordinamento si è cominciato a fare con la riforma delle procedure concorsuali previste dalla legge n. 80/2005 e con il codice della crisi di impresa, disciplinato dalla legge n. 155/2017 e che, a livello comunitario, ha trovato nella Direttiva n. 2023/2775 gli spunti per un adeguamento dei criteri per la definizione delle micro imprese, delle piccole imprese e delle medie e grandi imprese.

Il giudice remittente aveva chiesto di intervenire anche sulle ipotesi di dimezzamento previste dal comma 1 dell’art. 3, dal comma 1 dell’art. 4 e dal comma 1 dell’art. 6 ma la Consulta ha ritenuto che, in ogni caso, la forbice, seppur ridotta, per poter decidere sulla specificità di ogni singola vicenda, fosse comunque sufficiente.

E’ quindi, il comma 1 dell’art. 9 (che si applica anche ai datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fine di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto) a cadere sotto gli strali dei giudici costituzionali: l’eliminazione del tetto massimo ma non del dimezzamento fa sì che la tutela indennitaria sia compresa all’interno di una fascia che va dalle tre alle diciotto mensilità, in quanto il ristoro può essere delimitato ma non sacrificato nella logica del contenimento dei costi, in quanto si è, pur sempre, a fronte di un licenziamento illegittimo che, pur nel contesto delle piccole aziende, resta sempre un atto illecito, come ricorda la sentenza n. 150 del 2020.

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Fin qui la decisione della Corte Costituzionale che, a mio avviso, nel breve-medio termine potrà avere effetto anche sui tentativi di conciliazione riguardanti i licenziamenti nelle piccole aziende che si svolgono, ad esempio, avanti alla commissione provinciale di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato del Lavoro, oppure in sede sindacale o avanti ad un organismo di certificazione. Qui il tetto massimo di sei mensilità nelle richieste non sarà assolutamente più rispettato e, sicuramente, si assisterà a richieste molto più cospicue, alla luce della nuova formulazione dell’art. 9, comma 1.

Personalmente ritengo che anche il tentativo facoltativo di conciliazione sul licenziamento previsto dal comma 1 dell’art. 6, ove l’indennità risarcitoria per le piccole imprese, dimezzata ex art. 9, comma 1, è di ½ mensilità all’anno e comunque non inferiore ad una, fino ad un massimo di sei, non imponibile ai fini dell’IRPEF e non soggetta a contribuzione previdenziale, perderà il poco residuo “appeal”, potendo ben essere più conveniente seguire la via giudiziale, soprattutto se il recesso si presenta con una forte dose di illegittimità.

 

Eufranio MASSI



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