L’ambizioso disegno riformatore sul sistema tributario italiano (ossia la riforma fiscale), delineato nella Legge Delega n. 111/2023, avrebbe dovuto segnare un punto di svolta per il fisco nazionale. Tuttavia, secondo la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CIGIL), ciò che è stato messo in campo dal Governo ha deluso le aspettative.
L’organizzazione sindacale ha sollevato una serie di obiezioni di natura economica, sociale e costituzionale, mettendo in discussione l’intera architettura della riforma in corso di attuazione.
Riforma fiscale: un’occasione mancata per l’equità
Alla base delle critiche mosse dalla CIGIL vi è la constatazione che l’impianto politico della riforma ha trascurato principi fondamentali quali la progressività e la capacità redistributiva del prelievo fiscale.
Il percorso intrapreso, infatti, sembra muoversi nella direzione opposta rispetto ai principi costituzionali sanciti dall’articolo 53 della Carta, che impone una contribuzione proporzionata alla capacità economica.
Il cuore dell’intervento governativo si è concentrato sulla riduzione della pressione fiscale, rivolta principalmente a imprese, autonomi e contribuenti giudicati “affidabili” sotto il profilo fiscale. Una strategia che, nei fatti, ha prodotto vantaggi limitati per i redditi bassi e medi, lasciando del tutto ai margini pensionati e categorie escluse dai regimi di favore.
Interventi parziali e poco strutturali
Tra le principali azioni messe in atto figurano la riduzione temporanea degli scaglioni IRPEF – divenuta poi strutturale con la legge di bilancio 2025 – incentivi fiscali per le imprese, deduzioni premianti e l’estensione di misure di collaborazione preventiva tra contribuente e fisco. Tuttavia, queste leve non hanno inciso sui problemi strutturali del sistema: evasione, disuguaglianze e inefficienza nella riscossione.
La logica di premiare chi si dimostra conforme agli obblighi fiscali attraverso strumenti come il concordato biennale anticipato o la semplificazione delle verifiche, seppur pensata per favorire il rapporto di fiducia tra Stato e contribuente, rischia di produrre un effetto opposto: la normalizzazione dell’evasione, soprattutto tra i lavoratori autonomi e le imprese.
Flat tax strisciante e principio di regressività
La critica più accesa sulla riforma fiscale riguarda la tendenza a smantellare gradualmente la progressività del sistema. Con la compressione degli scaglioni IRPEF, l’introduzione di tassazioni agevolate su specifici redditi e l’ampliamento dei regimi forfettari, si profila all’orizzonte una flat tax di fatto. Questo modello di prelievo, basato su aliquote uniche o quasi, è profondamente in contrasto con il principio della giustizia fiscale e tende a favorire i redditi più alti, accentuando le disuguaglianze.
La riforma, inoltre, ha scelto di non introdurre alcuna forma di imposizione patrimoniale né ha previsto un potenziamento della fiscalità locale in chiave progressiva. Ne risulta un quadro statico e regressivo, che manca del coraggio di una vera revisione redistributiva del prelievo.
Una visione fiscale della riforma che favorisce pochi
Secondo la CIGIL, il tratto distintivo dell’azione riformatrice è l’attenzione riservata al mondo imprenditoriale. Gli incentivi alle assunzioni, le agevolazioni fiscali per chi rientra in Italia e le deduzioni fiscali sembrano rispondere più a una logica di attrazione fiscale che a un piano industriale coerente.
Il Paese si propone come “paradiso fiscale light”, più che come una realtà capace di offrire opportunità fondate sull’innovazione e sulla qualità dei servizi.
Si tratta di una strategia che, secondo i sindacati, non affronta le vere priorità: contrastare l’evasione endemica, rafforzare la fiscalità progressiva e garantire equità nel prelievo.
Assenza di dialogo sociale e marginalizzazione delle parti
Un ulteriore elemento di preoccupazione risiede nel metodo adottato dal Governo. La CIGIL denuncia, su questa riforma fiscale, la totale assenza di un confronto significativo con le parti sociali, nonché una scarsa attenzione al dibattito parlamentare. Le riforme sono avanzate con scarsa trasparenza e senza un vero coinvolgimento degli attori sociali, relegando il sindacato a un ruolo marginale nel processo decisionale.
Le conseguenze di questa impostazione, per il sindacato, sono gravi, soprattutto se si considera che il 2024 ha visto un drenaggio fiscale di oltre 25 miliardi a carico di lavoratori dipendenti e pensionati. Categorie che, a fronte di un carico crescente, non hanno beneficiato dei vantaggi redistributivi promessi.
Riforma fiscale: verso un welfare sempre più debole
L’analisi sulla riforma fiscale della CIGIL si conclude con una riflessione più ampia sull’impatto sistemico della riforma fiscale. Dietro la retorica della semplificazione e dell’efficienza si cela un impianto ideologico che sottrae risorse al welfare pubblico, indebolendo il diritto all’istruzione, alla salute e ai servizi essenziali.
I tagli e il definanziamento progressivo sono il riflesso di politiche di austerità rientrate dalla finestra dopo essere uscite dalla porta, soprattutto attraverso il nuovo Piano Strutturale di Bilancio e le ultime manovre di finanza pubblica.
In definitiva, la riforma fiscale rappresenta, secondo la posizione sindacale, una svolta regressiva che mette in discussione l’idea stessa di cittadinanza solidale. L’Italia, con questa direzione, rischia di allontanarsi ulteriormente dal modello europeo di equità fiscale, aprendo la strada a una società più diseguale e meno coesa.
Riassumendo
- La CIGIL analizza e critica la riforma fiscale.
- La riforma fiscale favorisce imprese e autonomi, penalizzando redditi medio-bassi e pensionati.
- Mancano equità e progressività, violando i principi costituzionali di giustizia fiscale.
- Le misure adottate non contrastano evasione e non rafforzano la fiscalità redistributiva.
- Incentivi e agevolazioni puntano a un modello “low tax”, non a investimenti strutturali.
- Nessun coinvolgimento delle parti sociali, con scarse garanzie di trasparenza.
- Il taglio al welfare mina diritti fondamentali come salute e istruzione.
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