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Il turismo enogastronomico cerca professionisti del gusto


Nasce il Libro Bianco per mappare le nuove figure chiave del settore. Dalle DMO alle cantine, servono product manager, curatori e hospitality. Federico Sisti (foto), segretario generale della Camera di Commercio dell’Umbria: “Il turismo enogastronomico è una leva potente di crescita e di promozione del Made in Italy”. Un mercato da 40 miliardi che può generare occupazione qualificata. Associazioni, imprese e università insieme per formare il futuro del turismo Il turismo del gusto è maturo per il salto di qualità. Ma chi guiderà questa rivoluzione?

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C’è un settore che in Italia vale già oltre 40 miliardi di euro ma rischia di rimanere impigliato tra spontaneismo, improvvisazione e bassa valorizzazione del capitale umano. È il turismo enogastronomico, autentico motore di sviluppo locale e nuova frontiera della vacanza esperienziale. A mancare, oggi, non sono le eccellenze né i visitatori, ma le figure professionali capaci di costruire esperienze memorabili e sostenibili.

Per rispondere a questa lacuna è stato presentato a Roma il Libro Bianco sulle professioni del turismo enogastronomico, un documento strategico redatto da un’inedita alleanza di soggetti del settore. Un lavoro corale che ha visto la partecipazione scientifica del Center for Higher Education and Youth Employability dell’Università di Bergamo.

Figure chiave: si definiscono i profili per una crescita strutturale

Il Libro Bianco identifica cinque profili professionali cruciali per sostenere e qualificare l’offerta turistica italiana. Figure fino ad oggi spesso sommerse o non regolamentate, ma centrali in un settore che incrocia agricoltura, cultura e marketing territoriale.

La prima è il product manager per il turismo enogastronomico, un ruolo da inserire in DMO o consorzi turistici, con la missione di mettere in rete aziende, eventi, percorsi ed esperienze.

Poi c’è l’hospitality manager, una figura che oggi esiste solo parzialmente. Nelle microimprese, nel 73% dei casi è la proprietà a gestire in prima persona le attività turistiche, spesso senza competenze specifiche. Ma tra le aziende con oltre 5.000 visitatori annui, il 43% ha già una Business Unit dedicata con manager e budget.

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Spicca anche il curatore di esperienze enogastronomiche, libero professionista in grado di accompagnare gruppi e turisti tra vigne e frantoi durante i picchi stagionali, strutturando itinerari integrati e tematici.

A questi si aggiunge il consulente di turismo enogastronomico, esperto indipendente che assiste aziende e DMO nella promozione, nel CRM, nella vendita multicanale e nella gestione dei flussi.

Infine, nelle aziende di maggiori dimensioni emerge la figura dell’addetto alle visite, profilo operativo ma cruciale per l’esperienza del visitatore.

Dalla formazione al riconoscimento: serve una rivoluzione culturale

“La mancanza di una definizione chiara di ruoli e competenze” – sottolinea Roberta Garibaldi, presidente AITE – “è oggi il principale ostacolo alla crescita del settore. Il nostro obiettivo è creare percorsi professionali riconoscibili, che valorizzino anche le esperienze acquisite sul campo e fuori dai canali formali”.

Un punto ribadito anche da Federico Sisti, segretario generale della Camera di Commercio dell’Umbria: “Il turismo enogastronomico è una leva potente di crescita e di promozione del Made in Italy. Ma senza un linguaggio comune e senza strumenti per certificare le competenze, sarà difficile reggere la concorrenza internazionale”.

Non meno netto il commento dell’europarlamentare Dario Nardella: “Serve uno studio europeo su questo comparto. Dopo l’estate chiederò alla Commissione un progetto pilota sul turismo enogastronomico per dotarci di strumenti concreti e risorse mirate”.

Una comunità di intenti: il valore della filiera turistica del gusto

Le dichiarazioni dei rappresentanti delle associazioni partner raccontano un settore coeso e determinato a crescere. Per Michele Sonnessa, presidente delle Città dell’Olio, “investire nelle nuove professioni dell’oleoturismo significa costruire un futuro sostenibile e radicato nei territori”.

“Il turismo enogastronomico è un’opportunità strategica” – aggiunge Angelo Radica, presidente Città del Vino – “per questo abbiamo fondato una Scuola nazionale dell’enoturismo”.

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Anche Confartigianato fa numeri: “Le imprese artigiane del turismo sono oltre 186mila, con mezzo milione di addetti. Quasi 250mila invece quelli impiegati nelle aziende agroalimentari”, afferma Marco Granelli, presidente nazionale.

“Servono regole chiare e formazione qualificata” – ribadisce Angelo Barone, presidente della Consulta Distretti del Cibo – “per offrire servizi di qualità e promuovere lo sviluppo locale”.

Paolo Morbidoni, alla guida delle Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori, sintetizza così l’obiettivo comune: “Valorizzare le competenze significa rafforzare il turismo esperienziale e sostenibile che promuoviamo ogni giorno”.

Il turismo enogastronomico come hub di innovazione territoriale

Il quadro che emerge dal Libro Bianco è chiaro: il turismo del gusto non è solo la ciliegina sulla torta del comparto turistico, ma una piattaforma integrata di promozione, occupazione e innovazione.

Come già indicato dal Rapporto Isnart-Unioncamere 2023, il 58% dei turisti stranieri associa l’Italia al cibo e il 71% degli italiani sceglie le mete in base all’offerta enogastronomica. Ma per trasformare questo capitale simbolico in valore reale servono professionalità, governance e visione.

Il Libro Bianco è un primo, fondamentale passo in questa direzione. Ora la sfida passa a regioni, ministeri e enti di formazione: trasformare una promessa in mestiere, una tendenza in struttura, un racconto in lavoro.

La posta in gioco è alta: dare un volto nuovo e professionale a un’Italia che sa accogliere, narrare e far gustare i propri territori come nessun altro Paese al mondo.

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