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Gruppo Vitali: i 50 milioni sotto sequestro, la testa di legno di 88 anni per il fallimento e i 15 mila euro per il suv dell’ex parlamentare


di
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Le accuse di bancarotta ai fratelli Massimo e Cristian che hanno portato al maxi blitz della Procura. La replica degli imprenditori e del loro avvocato: «Un malinteso, tutti i debiti della società fallita sono stati estinti

Il dubbio, in origine, pare sia sorto al curatore fallimentare Giorgio Dall’Olio davanti a un certificato medico. Gli sembrò strano che una realtà come la Vitali avesse nominato come amministratore unico (divenuto poi liquidatore) di una delle sue principali società nel 2022, la Vita srl, un 88enne, classe 1937, malato di Alzheimer e con numerose altre patologie.
Quell’anziano, per il pm Guido Schininà, l’aggiunto Maria Cristina Rota e per gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, era una «testa di legno», un prestanome per altro già passato dalle Procure. Avrebbe consentito a Massimo e Cristian Vitali, i fratelli che da Cisano Bergamasco hanno esportato il giallo limone dei loro cantieri praticamente ovunque in provincia e in buona parte dell’Italia, di liberarsi della Vita, farla fallire insieme a un bel po’ di debiti. E ora sono entrambi indagati per bancarotta fraudolenta con un sequestro preventivo da 50 milioni di euro in quote societarie. Un sequestro di tipo «impeditivo», che vale quasi più di una misura cautelare personale, perché porta il gip Lucia Graziosi a bloccare le quote in questione — nella fattispecie il 50% della Vitali spa e il 100% della Expand srl — e a nominare un amministratore giudiziario che da qui in avanti le gestirà. In questo modo, le aziende vanno avanti, ma si impedisce agli imprenditori di commettere altri reati, nell’ottica del tribunale. 

È un colpo non da poco per una realtà che passa da un’infrastruttura pubblica all’altra, collezionando appalti e opere anche nel privato (basti pensare al mega capannone di Orobica Pesca, lungo la A4). È dei Vitali, per stare nel presente, la realizzazione del tracciato dell’eBrt, la futura linea di bus elettrici tra Bergamo e Verdello, e ci sono i Vitali tra i principali sostenitori di progetti come l’autostrada Bergamo-Treviglio, linterporto di Cortenuova, Porta Sud. Ad Arcene dovrebbero realizzare il contestato mega data center con la loro Expand. E siamo all’inchiesta. È questa la Srl che, secondo la ricostruzione della Guardia di finanza, a marzo 2022 attraverso una complessa operazione di scissione, riceve la maggior parte dell’attivo di Vita. Si tratta di oltre 31 milioni e mezzo di euro, per la maggior parte in obbligazioni, già oggetto della cessione di strumenti finanziari da parte della capogruppo a fine 2015. Ma ci sono anche 80 mila euro di liquidità e la partecipazione, per 200 mila euro, in Autostrade Bergamasche, la società della Bg-Treviglio. La Vita si ritrova così con un patrimonio netto sotto di oltre 2 milioni e 300 mila euro. Per gli inquirenti, il suo destino è tracciato e infatti fallirà con oltre 10 milioni di euro di passivo.




















































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A portare al dissesto, però, si sarebbe aggiunto altro. Da una parte, il passaggio dalla Vitali di azioni e obbligazioni, poi deprezzatesi clamorosamente, pagate in parte con l’accollo di circa 22 milioni di euro di debiti che la Spa aveva con le banche. Dall’altra, distrazioni più tradizionali, per così dire. Tra il 2015 e il 2017, Cristian Vitali avrebbe usato quasi 38 mila euro della società per pagare vacanze, spese mediche, ristoranti, centri balneari. A inizio 2021, altri 20 mila euro vengono bonificati a un commercialista che, però, non avrebbe lavorato per Vita. Infine, 15 mila euro, a giugno 2020, servono per l’acconto di una Bmw X3M destinata a Simone Crolla, ex deputato del Pdl e nel Cda di Vitali, che proprio nei confronti della Spa vantava un credito. Di nuovo, la Vita avrebbe pagato e basta.  Tra le contestazioni, infine, anche quella di avere tenuto la contabilità in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari.

Cristian Vitali, 50 anni, residenza a Cisano, è indagato in quanto socio unico della Vita, oltre che amministratore tra il 2014 e il 2016, mentre Massimo, 56 anni, casa sotto le Mura di Città Alta, nella veste di presidente del Cda della Vitali spa e come gestore di fatto della Vita. Decideva essenzialmente lui, secondo chi indaga.

Il gruppo Vitali ha chiuso il primo semestre 2025 con un fatturato pari a quello di tutto il 2024 e un portafoglio ordini di oltre 4 miliardi di euro. L’utile di esercizio, nel 2024, ha superato i 21 milioni di euro per 138,8 milioni di valore di produzione. Quanto impatterà l’inchiesta su tutto questo è da vedere. Di certo, almeno per ora, le grosse decisioni andranno prese con l’amministratore giudiziario al tavolo. È sicuro che la vicenda rappresenti «un mero equivoco processuale che quanto prima sarà chiarito» l’avvocato Filippo Dinacci, che assiste i due imprenditori. «Basti pensare — evidenzia il legale in una nota — che sono stati soddisfatti tutti i creditori e quindi nessun danno è stato arrecato. Circostanza, questa, verificabile documentalmente». Commento stringato dai Vitali: «Prendiamo atto con sorpresa e confermiamo la nostra estraneità dalla vicenda. Siamo certi che la questione sarà risolta al più presto».

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30 luglio 2025 ( modifica il 30 luglio 2025 | 12:00)

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