A Gaza la fame c’è e si vede. Parola di Donald Trump, che ha definito la carestia a Gaza “reale”, soprattutto tra i bambini, contraddicendo le dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, secondo il quale le accuse di affamare il popolo palestinese sono “una bugia sfacciata”. Durante la visita nel Regno Unito, il presidente degli Stati Uniti – sottoposto a crescenti pressioni affinché interceda per levare il blocco imposto da Tel Aviv a quasi tutti gli aiuti destinati al territorio – ha detto ai giornalisti che Israele ha “grande responsabilità” nella crisi in atto. Alla domanda se fosse d’accordo con Netanyahu, che aveva detto che a Gaza “non si muore di fame”, Trump ha risposto: “Non lo so. In base a ciò che ho visto in televisione, direi di no, perché quei bambini sembrano molto affamati”. Parlando insieme a Trump, il premier britannico Keir Starmer ha dichiarato che l’opinione pubblica del Regno Unito è “disgustata” per la “catastrofe assoluta” in corso a Gaza e ha affermato che c’è urgente bisogno di un cessate il fuoco. Il primo ministro è sotto pressione da parte di alti esponenti di governo e oltre 220 parlamentari affinché riconosca lo Stato di Palestina, dopo che Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia lo farà alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre. Parigi ha lanciato con l’Arabia Saudita una campagna per coinvolgere quanti più paesi possibile. Trump ha respinto l’idea che gli Usa possano riconoscere la Palestina, ma ha detto di non avere obiezioni al fatto che altri lo facciano. Da settimane la stampa israeliana e statunitense riporta voci della frustrazione crescente da parte di esponenti dell’amministrazione Usa per le politiche israeliane nella Striscia. Ma che le dichiarazioni del presidente americano preludano a un qualche cambiamento nel sostegno incondizionato fornito finora dalla Casa Bianca all’alleato mediorientale è ancora tutto da vedere.
Anche in ‘pausa’ si continua a morire?
Dopo reiterate e circostanziate accuse da parte di numerose agenzie umanitarie e delle Nazioni Unite, Israele ha annunciato nel fine settimana che avrebbe sospeso i combattimenti in tre zone della Striscia per dieci ore al giorno e avrebbe aperto vie sicure per la consegna degli aiuti. Le cosiddette ‘pause umanitarie’ dovrebbero interessare le aree densamente popolate di Gaza City, Deir al-Balah e Mawasi, mentre nelle altre zone si continuerà a combattere. Tuttavia, poco dopo l’inizio della prima ‘pausa’, un raid aereo su un edificio di Gaza ha ucciso una donna e i suoi quattro figli. E nella sola giornata di ieri, lunedì, almeno altri 78 palestinesi sono stati uccisi, hanno dichiarato le autorità sanitarie locali, tra cui una donna incinta, il suo bambino e altri quattro bambini, quando le truppe israeliane hanno aperto il fuoco sulle persone che si erano avventate su un convoglio di camion in transito nella parte meridionale della Striscia. Non c’è stato alcun commento immediato da parte dell’esercito. Le agenzie umanitarie affermano che le nuove misure introdotte dalle autorità israeliane non sono sufficienti a contrastare il peggioramento della carestia nel territorio. Dal 7 ottobre 2023, il numero di persone uccise nella Striscia ha superato quota 60mila, secondo il Ministero della Salute dell’enclave costiera palestinese. “Qui a Gaza, nessuno si chiede più quanti siano morti. Chiedono chi è sopravvissuto oggi, chi è riuscito a trovare una pagnotta, chi ha avuto il latte per il suo bambino”, ha detto una madre di tre figli al quotidiano Ha’a’retz. “Non credo che nessuno si commuova più per i numeri”. Secondo il quotidiano, circa il 60% delle vittime dall’inizio della guerra sono minorenni, donne o anziani. Tra queste, circa 19.000 bambini – 953 dei quali di età inferiore a un anno – e più di 12mila donne, tra cui oltre 8mila madri.
Le università contro Netanyahu?
Anche dentro Israele cresce l’opposizione alla guerra e la mobilitazione per chiedere un cessate il fuoco e il ritorno a casa degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Con una lettera indirizzata a Netanyahu, i rettori di cinque università israeliane hanno chiesto al governo di risolvere il problema della fame a Gaza. I firmatari si sono detti “scioccati dalle immagini provenienti dalla Striscia di Gaza, comprese quelli di neonati” e hanno sottolineato il dovere del popolo ebraico, di “impedire danni crudeli e indiscriminati” nei confronti di civili innocenti. I cinque rettori del Weizmann Institute, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, del Technion di Haifa, dell’Università di Tel Aviv e dell’Open University, pur ribadendo la pesante responsabilità di Hamas nella crisi a Gaza, hanno sottolineato che mentre il rilascio degli ostaggi e la salvaguardia dei nostri soldati rimangono obiettivi nazionali cruciali “dobbiamo, come nazione plasmata dal trauma dell’Olocausto, onorare il nostro dovere morale e fare tutto il possibile per impedire danni crudeli e indiscriminati a uomini, donne e bambini non combattenti”. I rettori hanno anche invitato Netanyahu a condannare le dichiarazioni di ministri e parlamentari che chiedono la completa distruzione della Striscia e un trasferimento forzato della popolazione, sottolineando che “la distruzione deliberata e il progetto di creare una ‘città umanitaria’ riflettono una perdita di moderazione morale da cui non saremmo in grado di assolverci”. I vertici di altre università, quali la Ben-Gurion, la Bar-Ilan, la Ariel e il Reichman Institute, hanno deciso di non firmare, ma il paese appare profondamente diviso e questa settimana due Ong israeliane di comprovata autorevolezza hanno dichiarato senza mezzi termini che “quello in corso a Gaza è un genocidio”.
L’Europa batte un colpo?
La portata della devastazione di Gaza è tale che – seppur faticosamente e con colpevole ritardo – anche l’Unione Europea potrebbe passare dalle parole ai fatti. La Commissione ha proposto di sospendere la partecipazione di Israele al programma europeo Horizon per la ricerca nell’ambito dell’Accelerator, programma per start-up e piccole imprese con innovazioni dirompenti e tecnologie emergenti con potenziali applicazioni a duplice uso, come la sicurezza informatica, i droni e l’intelligenza artificiale. La decisione è reversibile, ma di per sé contiene un messaggio dal forte significato politico, e giunge mentre un altro pilastro della cooperazione euro-israeliana – l’accordo di associazione UE-Israele – è sottoposto ad attento esame. Persino il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha dichiarato che la Germania potrebbe riconsiderare il proprio sostegno all’accordo di associazione Ue-Israele, segnalando una possibile svolta nella posizione di Berlino. Mentre nel Vecchio Continente le immagini di distruzione, fame e morte tra i civili palestinesi alimentano l’indignazione dell’opinione pubblica, i politici europei sono sottoposti a forti pressioni affinché agiscano. Le richieste di riconoscere lo stato di Palestina e sanzionare i vertici israeliani si moltiplicano anche in ambito accademico e diplomatico e paesi un tempo alleati dello Stato Ebraico hanno già limitato le esportazioni di armi e stanno valutando misure più ampie. E mentre rivendica ‘trionfi’ sul campo di battaglia, il paese vede la sua reputazione erodersi ai minimi storici agli occhi del mondo.
Il commento
Di Valeria Talbot, Head, Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa ISPI
“La catastrofe umanitaria a Gaza assume di giorno in giorno proporzioni sempre più ampie. Alle drammatiche immagini di distruzione, morte e malnutrizione che giungono dal martoriato territorio palestinese fa oggi eco un rapporto di IPC (Integrated Food Security Phase Classification che riunisce organismi, istituzioni e agenzie internazionali) che, dati alla mano, denuncia che “il peggiore scenario di carestia è in corso nella Striscia”. Gaza è alla fame, il cessate il fuoco non appare all’orizzonte e la comunità internazionale, nonostante una mobilitazione crescente, rimane divisa e incapace di adottare misure efficaci per fermare le sproporzionate azioni di Israele. Quale stato di diritto usa l’arma della fame nei confronti di una popolazione inerme?”.
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