Sostenibilità, sicurezza, qualità. Questi i valori che il Marchio di Qualità dei Fertilizzanti di Assofertilizzanti vuole garantire.
A tutela non solo dei fertilizzanti in sé, ma anche di quello che si produce con il loro utilizzo.
Si tratta di uno strumento strategico che mira a garantire trasparenza e qualità dei prodotti fertilizzanti ed è basato sull’autodisciplina collettiva dei produttori di fertilizzanti, che scelgono in maniera volontaria di prestarsi ad ulteriori controlli rispetto a quelli previsti dalla normativa nazionale D. Lgs. 75/2010 e dal Reg. Ue 2019/1009.
Infatti, le imprese che vogliono aderire al programma devono sottoporsi ogni anno a controlli volontari condotti dall’Icqrf, l’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari, che si aggiungono a quelli ordinari previsti dalla normativa e, se necessario, a verifiche supplementari effettuate da enti terzi accreditati come Certiquality.
Per saperne di più abbiamo intervistato Paolo Girelli, presidente di Assofertilizzanti.
In che modo viene assicurata la trasparenza e l’imparzialità dei controlli sui fertilizzanti?
“L’imparzialità è garantita almeno a due livelli. Un primo grazie alla Repressione Frodi, che ha l’elenco delle aziende associate e può effettuare in qualsiasi momento controlli sui prodotti fertilizzanti presenti sul territorio nazionale in azienda, ma anche presso i distributori sul territorio nazionale, senza alcun preavviso, per valutarne la conformità rispetto alla norma.
E un secondo livello: valutazione delle aziende associate in base a qualità, ambiente, energia e controllo di gestione che possono vantare, requisiti stabiliti da un rigoroso disciplinare interno. Questi parametri sono valutati da Certiquality, un ente di certificazione terzo, imparziale, che ne garantisce il rispetto.
Inoltre, le aziende devono possedere specifiche certificazioni di prodotto o di sistema (come Iso e Uni), che garantiscano la tracciabilità, la sicurezza e la sostenibilità dei fertilizzanti.
Quindi, alla fine di questo percorso all’azienda viene attribuito un determinato punteggio: se si è sopra la soglia minima, l’azienda può fregiarsi del marchio di qualità, se si è sotto no.
Poi c’è una terza condizione che viene imposta alle aziende, quella di aderire all’iniziativa Responsible Care, il programma volontario di promozione dello sviluppo sostenibile dell’industria chimica mondiale. Quindi stiamo parlando veramente di qualità e sostenibilità diffusa e di attenzione verso l’ambiente e il consumatore.
È chiaro che l’azienda che intraprende questo percorso accetta volontariamente di assumersi anche qualche costo in più”.
Perché le aziende produttrici di fertilizzanti dovrebbero volersi sottoporre a ulteriori controlli?
“Per una questione di serietà, di trasparenza e di correttezza verso il loro mercato. Poter dire al potenziale utilizzatore, al potenziale distributore di essersi volontariamente sottoposto ai controlli significa che c’è qualcuno che verifica e attesta che le cose siano fatte nel modo giusto, perché non è più soltanto una questione di qualità del prodotto, ma anche di qualità del processo e della gestione. In questo modo si vuole garantire qualità a 360 gradi e dare valore all’impegno economico di chi acquista un prodotto certificato dal Marchio.
Un simbolo di garanzia nato inizialmente per un target specifico, cioè quello dei produttori di fertilizzanti, ma che può rappresentare oggi un’opportunità di valore per tutta la filiera agricola: per gli agricoltori, per chi distribuisce prodotti per l’agricoltura e per chi gestisce le aziende agricole per conto di altri.
E l’obiettivo per il prossimo futuro è proprio quello di divulgare questo valore aggiunto garantito dal Marchio di Qualità Fertilizzanti”.
Possiamo ripercorrere un po’ la storia del Marchio? Quando e perché è nato?
“Il Marchio di Qualità Fertilizzanti nasce nel 2012 in Assofertilizzanti, come certificazione di sicurezza e qualità dei prodotti fertilizzanti registrati in Italia. Infatti, in quegli anni c’era un grosso problema di autenticità e le frodi di etichetta erano diffuse, come la mancanza di peso secco nel sacco di fertilizzante, oppure etichette non conformi alla norma o non veritiere rispetto al contenuto effettivo analizzato al momento della verifica.
Quando la frode è diffusa, il comparto con tutti i suoi operatori soffre con danni al business. Pertanto, il Marchio di Qualità nasce come risposta del settore per autotutelarsi e autoregolarsi con un accordo volontario delle aziende associate a sottoporsi a controlli volontari di repressione delle frodi.
Chiaramente nei 13 anni in cui è nato il Marchio gli obiettivi e le necessità del settore sono cambiate. Se prima nasceva come strumento interno di moralizzazione del comparto, ora si pone il problema di farlo conoscere all’esterno del settore in sé per sé, di comunicarne il valore e l’affidabilità ai produttori, agli agricoltori e, da ultimi, anche ai consumatori finali della filiera.
Assofertilizzanti ha deciso di ripresentare il Marchio in occasione di Macfrut 2025, in quanto ci è sembrata la vetrina giusta per ripartire, con l’obiettivo di coinvolgere sempre più i commercianti e dare valore al Marchio, informando tutta la filiera dell’importanza di acquistare ed utilizzare fertilizzanti che possono fregiarsi del Marchio di Qualità come sinonimo di garanzia”.
Come si è evoluto il settore fertilizzanti?
“Se fino ad una ventina di anni fa l’industria dei fertilizzanti aveva dimostrato poca ricettività verso il tema della sostenibilità, ad oggi si è rovesciato il paradigma. Infatti, osservando il panorama dell’industria chimica a livello globale, mi viene da dire quella dei Paesi occidentali ma in particolare quella italiana, è un’industria attentissima tematiche ambientali e non solo.
Quasi tutte le aziende associate hanno, ad esempio, le certificazioni ISO 14000 – una serie di norme tecniche relative alla gestione ambientale –. Anche i processi produttivi sono stati innovati con tecnologie che fino a 10, 15 anni fa non venivano utilizzate nel nostro settore ma in quello dell’alimentazione umana e della farmaceutica.
Questo ha consentito di realizzare prodotti che oggi sono efficaci anche a dosi basse e dunque sempre meno impattanti. Se i prodotti sono più efficienti, l’agricoltore può realizzare il raccolto spendendo meno, con meno passaggi e meno acquisti. Ed anche per i consumatori finali significa alimenti prodotti in modo più sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che economico, e di conseguenza sociale.
Occorre essere innovativi lungo tutto il processo di produzione dei fertilizzanti. E l’Italia da più di qualche anno a questa parte è stata estremamente innovativa per quanto riguarda le materie prime, perché essendo un Paese dove le materie prime tradizionali non ci sono, è stato necessario inventare altre soluzioni, ricorrendo ad esempio al recupero di sottoprodotti generati da altre filiere industriali, in particolare quella alimentare, ma anche quella conciaria, zootecnica ecc.
E questo ha dato la spinta per sviluppare innovazioni anche nei metodi di applicazione dei prodotti. Infatti, per noi oggi l’agricoltura di precisione e tutte le tecnologie digitali a disposizione sono opportunità applicative compatibili con i prodotti che abbiamo sviluppato, prodotti che spesso vengono utilizzati in modo sempre più mirato”.
In Italia, come vede il futuro del settore nel prossimo decennio?
“Negli ultimi 5 anni, da un’indagine interna dell’Osservatorio Agrofarma, è emerso che gli investimenti in R&S hanno superato i 100 milioni di euro, di cui il 20% destinato a interventi di efficientamento energetico. Questi in particolare contribuiscono a ridurre i costi di produzione, generando un risparmio diretto per gli agricoltori nell’acquisto dei fertilizzanti.
È una cifra importante, soprattutto considerando che stiamo parlando di piccole e medie imprese. Questo dimostra la vivacità e la professionalità delle aziende italiane del settore che, per quanto riguarda i processi e i prodotti più innovativi, sono un esempio a livello globale.
A conferma di ciò, per quanto riguarda le pubblicazioni scientifiche, ad esempio sui biostimolanti, a livello mondiale, ci si rende conto che l’Italia, per quanto piccola, si gioca il podio con Paesi come gli Stati Uniti, l’India o la Cina. Questo dimostra che le aziende investono, ma soprattutto che sono in grado di creare relazioni, perché non si possono raggiungere risultati di questo tipo senza un confronto stretto con il mondo universitario.
Le aziende italiane e le università italiane collaborano ormai da diversi anni, e i risultati si vedono.
Questo per dire che io sono estremamente fiducioso per quanto riguarda l’evoluzione del nostro comparto nei prossimi 10 anni. Così come sono assolutamente convinto che le aziende italiane sapranno consolidarsi sempre di più sui mercati esteri. Sto osservando da parte di tutte le aziende associate uno sforzo importante per aprire mercati che fino a poco tempo fa non venivano considerati, verso Paesi dove si sta sviluppando un’agricoltura molto specializzata, e l’agricoltura italiana viene presa a modello”.
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