Investi nel futuro

scopri le aste immobiliari

 

Dazi Usa, imprese italiane vedono rischio export e invocano sostegni Ue


La recente intesa commerciale tra Bruxelles e Washington introduce nuovi dazi che minacciano export, occupazione e competitività delle imprese italiane. Il mondo produttivo, dal manifatturiero alle cooperative, lancia l’allarme e chiede sostegni immediati.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Pressione crescente su export e occupazione

Il sollievo per la fine dello stallo negoziale dura un attimo: il nuovo accordo impone dazi al 15% su una vasta gamma di merci europee, trasformandosi per l’Italia in un potenziale colpo al cuore delle esportazioni. Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di sbocco e la prospettiva di un rallentamento stimato in miliardi di euro rende nervose le filiere, dalla meccanica all’agroalimentare, che già affrontano margini compressi e costi energetici elevati. Alla preoccupazione economica si somma quella sociale: cali di fatturato di simile entità potrebbero tradursi in minori investimenti, riduzioni di turni produttivi e, in alcuni casi, tagli occupazionali.

L’ulteriore appesantimento arriva dall’andamento del cambio: la svalutazione del dollaro rispetto all’euro equivale, secondo i calcoli degli industriali, a un rincaro indiretto di circa il 13% sui listini, che si somma alla tariffa doganale vera e propria. Nei fatti, ciò significa che un prodotto italiano alla dogana statunitense rischia di costare quasi un terzo in più rispetto a pochi mesi fa. Gli imprenditori temono che la clientela americana scelga fornitori alternativi o chieda forti sconti, erodendo ulteriormente i margini già assottigliati.

Dazi del 15%: numeri e stime sul conto finale

Confcommercio prevede per il 2025 un impatto diretto sul nostro export compreso tra gli 8 e i 10 miliardi di euro, cifra a cui andrà sommato l’effetto cambio. Unimpresa calcola fino a 7,5 miliardi di costi complessivi, considerando non solo la perdita di vendite ma anche i maggiori oneri finanziari legati alla gestione di scorte e logistica. Le rilevazioni concordano su un punto: nessun comparto potrà dirsi davvero al riparo, nemmeno quelli che negli ultimi anni avevano registrato performance record oltre Atlantico.

Dall’altra parte della barricata Confindustria fa la panoramica più ampia: il presidente Emanuele Orsini fissa in 22,6 miliardi la potenziale zavorra che potrebbe frenare il made in Italy, quota che ingloba sia i dazi diretti sia il differenziale di cambio. Anche le associazioni di categoria minori, come quelle del commercio e dei servizi, temono ricadute a catena: ordini decrescenti per l’industria significano meno traffico merci, riduzione di spazi logistici affittati e minori commissioni per l’intermediazione.

La voce delle categorie: oltre i limiti del Patto

Davanti a uno scenario definito “non soddisfacente”, Orsini invoca un piano industriale straordinario finanziato con risorse europee e nazionali, da attivare subito. Il leader degli industriali chiede che la spesa per sostenere le imprese venga esclusa dai vincoli del Patto di stabilità, al pari delle spese per la difesa: un’industria manifatturiera in salute, argomenta, è garanzia di occupazione e gettito fiscale per i bilanci pubblici del futuro.

Vuoi bloccare la procedura esecutiva?

richiedi il saldo e stralcio

 

La posizione trova sponda in Confcooperative e Legacoop, che reclamano “ogni strumento disponibile”, dalla politica monetaria della Bce ai fondi per l’Export Management che il governo ha promesso di riattivare. Le cooperative sottolineano che molte realtà, già provate da anni di shock esterni, non dispongono della liquidità necessaria per assorbire nuove tasse di confine né per rinegoziare contratti in dollari. Per questo sollecitano la rapida messa a terra dei 25 miliardi già stanziati a sostegno dell’internazionalizzazione.

Automotive, agroalimentare e meccanica sotto attacco

Il settore più esposto resta l’automotive. L’Acea sottolinea che i dazi su automobili e componenti continueranno a colpire non solo le case europee ma anche quelle statunitensi che importano modelli assemblati nell’Ue. La Fiom ricorda che l’export di veicoli e parti meccaniche verso gli Stati Uniti vale circa 5,2 miliardi di euro: un incremento del prezzo finale di questa portata, avverte il sindacato, rischia di far saltare l’equilibrio già precario di molte catene produttive, in particolare quelle che lavorano su commesse just-in-time.

Agroalimentare e meccanica vivono tensioni analoghe ma con peculiarità proprie. Coldiretti tira un sospiro di sollievo per aver evitato l’iniziale ipotesi di dazi al 30%, che avrebbe generato danni fino a 2,3 miliardi, ma precisa che l’intesa non è indolore: alcune filiere di punta richiederanno compensazioni europee mirate. In parallelo Fedagripesca denuncia “gravi effetti sulla competitività” delle nostre produzioni ittiche e ortofrutticole lavorate, mentre i produttori di macchinari temono ritardi negli ordini proprio nel momento in cui il reshoring americano sembrava aprire nuove opportunità.

Turismo e vino, i danni collaterali di un dollaro debole

L’effetto cambio non pesa solo sulle merci. Secondo Confesercenti, il dollaro più debole potrebbe costare all’Italia circa 300 mila arrivi statunitensi in meno, con una perdita di indotto turistico stimata in 600 milioni di euro. Il turismo a stelle e strisce è fra i più remunerativi per spesa media e permanenza; una contrazione di queste dimensioni rischia di colpire soprattutto le città d’arte e i distretti balneari che hanno investito in servizi premium proprio per quella clientela. Alberghi e ristorazione, già alle prese con il rincaro delle materie prime, temono di dover rivedere piani di assunzione e investimenti programmati per l’anno venturo.

Sul fronte dei vini, l’Unione Italiana Vini calcola un danno di circa 317 milioni di euro nei prossimi dodici mesi. Una bottiglia che a inizio anno usciva dalla cantina a 5 euro arrivava sugli scaffali Usa a 11,5 dollari; con dazio e cambio la stessa bottiglia rischia di sfiorare i 15 dollari. Dal Franciacorta al Brunello, i consorzi chiedono interventi rapidi, temendo che i consumatori americani si orientino su etichette cilene o australiane. Se le vendite frenano, l’intera filiera – dai vetrai ai trasportatori – subisce l’onda d’urto.

Chi rischia di pagare il prezzo più alto

Le realtà artigiane sono le più vulnerabili. La Cna avverte che laboratori e piccole officine non possono assorbire né dazi diretti né gli oneri indiretti generati dal cambio. Molti ricorderanno la crisi pandemica e temono un deja-vu: ordini congelati, cassa integrazione e investimenti fermi. Per le microimprese la marginalità evaporerebbe nel tentativo di mantenere prezzi competitivi, mentre l’alternativa – trasferire il costo sul cliente statunitense – rischia di far perdere la commessa.

In chiusura, il timore condiviso è che un segmento dell’economia reale finisca stritolato tra protezionismo e instabilità monetaria. Le associazioni di rappresentanza insistono affinché Bruxelles e Roma passino dalle parole ai fatti: rimborsi per i settori colpiti, incentivi all’innovazione, sostegni all’export e, soprattutto, una deroga immediata ai vincoli di bilancio che consenta d’intervenire prima che la spirale dei dazi diventi un freno strutturale alla crescita italiana.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale