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Dalla carta al cloud: come l’AI può salvare la PA italiana


Mentre il settore privato si appresta a trasformare i propri paradigmi per stare al passo con le sfide che le nuove tecnologie pongono, la Pubblica Amministrazione si trova oggi a un bivio: continuare a operare secondo modelli tradizionali o abbracciare il potenziale trasformativo dell’intelligenza artificiale.

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La svolta digitale della pubblica amministrazione

Oggi più che mai, l’AI — in particolare nelle sue forme generativa e agentica — può diventare la leva per un’amministrazione pubblica più efficiente, proattiva e in grado di mettere il cittadino al centro.

Secondo il quadro delineato dall’ultimo report del Capgemini Research Institute, Data Foundations for Government – From AI Ambition to Execution, le amministrazioni pubbliche a livello globale sono pronte ad abbracciare questa trasformazione: il 90% prevede di esplorare, testare o adottare l’AI agentica nei prossimi due-tre anni, mentre ben il 64% è già coinvolto in iniziative di AI generativa. In Italia come altrove, la direzione è tracciata: si punta all’innovazione, ma è un percorso complesso.

Ambizioni e ostacoli nell’adozione dell’AI nella pubblica amministrazione

I motivi per cui le amministrazioni guardano all’AI con crescente interesse sono evidenti. Tecnologie come i modelli generativi o gli agenti intelligenti promettono di automatizzare attività amministrative, supportare l’analisi di dati complessi, migliorare il rapporto con i cittadini e ridurre i tempi di risposta. Alcuni casi d’uso, come i chatbot per i servizi pubblici o i sistemi di supporto alle decisioni nei ministeri, sono già realtà. Altri invece sono all’orizzonte, come l’adozione su larga scala dell’AI agentica per la gestione proattiva delle richieste.

Tuttavia, sebbene le ambizioni siano elevate, l’esecuzione è ancora frenata da ostacoli significativi. Solo il 21% delle amministrazioni pubbliche dichiara di possedere i dati necessari per addestrare modelli di AI efficaci, e appena il 6% ha messo in produzione soluzioni di AI generativa. Il problema non è tanto la mancanza di volontà quanto la debolezza delle basi: infrastrutture inadeguate, governance frammentata, carenza di competenze e di cultura del dato.

I limiti strutturali dei dati nella PA

Il vero motore dell’AI non è il codice, ma i dati. E in questo ambito, le carenze della PA sono ancora più evidenti. Meno del 25% delle organizzazioni pubbliche possiede una maturità elevata nella gestione dei dati. Solo il 10% ha infrastrutture scalabili e moderne, mentre solo il 9% ha una cultura data-driven consolidata. La qualità e l’accessibilità dei dati, così come la capacità di attivarli nei processi decisionali, restano ad oggi sfide aperte.

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A ciò si aggiungono forti preoccupazioni per la sicurezza, la sovranità e la trasparenza. Il 79% delle amministrazioni cita la protezione dei dati come barriera all’adozione dell’AI, mentre il 74% esprime dubbi sulla fiducia nei risultati prodotti. Questi timori, acuiti dalla normativa europea sull’intelligenza artificiale (AI Act), che impone requisiti stringenti su trasparenza e responsabilità, bloccano l’estensione delle soluzioni basate sull’AI ai servizi rivolti direttamente ai cittadini.

Non sorprende, quindi, che solo il 36% delle organizzazioni europee si consideri pronto a rispettare le regole dell’AI Act. La sfida è anche culturale: adottare tecnologie trasformative richiede un cambio di paradigma nella governance pubblica, che spesso è ancora abituata a ragionare e procedere per silos.

Una strategia integrata per abilitare l’AI

Per colmare il divario tra ambizione e realtà, le amministrazioni devono intraprendere un percorso di trasformazione profonda, che coinvolga persone, processi e tecnologie. Non si tratta di introdurre strumenti isolati, ma di ripensare il funzionamento stesso dell’organizzazione pubblica.

In primo luogo, è necessario investire in infrastrutture dati moderne, interoperabili, sicure. Solo con un ecosistema dati ben progettato — basato su cloud, API, data catalog e strumenti di qualità — l’AI potrà essere efficace, scalabile e affidabile.

In secondo luogo, la governance dell’AI deve essere chiara, coerente e trasversale. Il crescente ricorso a figure come il Chief Data Officer (già presente nel 64% delle PA) e il Chief AI Officer (27%, con un ulteriore 41% che ne prevede l’introduzione) indica una consapevolezza crescente della necessità di una regia strategica. Tuttavia, questi ruoli devono essere dotati di mandati chiari e risorse adeguate, altrimenti rischiano di restare nominali.

Infine, occorre puntare sulle competenze. La tecnologia, da sola, non basta: bisogna formare dipendenti pubblici in grado di comprenderla, usarla e guidarla. Solo il 7% delle PA si considera maturo in questo ambito, e la formazione è spesso limitata ai tecnici. Serve invece diffondere la cultura del dato a tutti i livelli, promuovendo una PA consapevole e orientata all’evidenza.

Condivisione e sovranità dei dati pubblici

La condivisione dei dati rappresenta un altro nodo critico. Se da un lato tutte le organizzazioni dichiarano di voler collaborare in questo campo, dall’altro solo il 35% ha avviato iniziative concrete e appena l’8% le ha pienamente implementate. La mancanza di fiducia, la frammentazione normativa e la paura di perdere il controllo bloccano i progetti più ambiziosi.

Eppure, i benefici sarebbero molteplici. La regione Île-de-France, ad esempio, ha creato una piattaforma Smart Services che integra oltre 9.000 dataset da 200 partner pubblici e privati, fornendo più di 50 servizi innovativi in settori chiave. Un modello che dimostra come il valore dei dati si moltiplichi quando vengono messi in comune, nel rispetto delle regole e della sovranità.

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Proprio la sovranità — dei dati, del cloud, dell’AI — è una preoccupazione sempre più centrale. Il 64% delle PA teme di perdere il controllo dei dati, il 58% è preoccupato per il cloud, e il 52% per l’AI.

In risposta a questo tipo di preoccupazioni, l’Europa sta avviando iniziative strategiche come EuroStack, un programma che mira a costruire un’infrastruttura digitale pienamente sovrana lungo tutta la catena tecnologica. L’obiettivo è ridurre drasticamente la dipendenza da fornitori extra-UE e promuovere lo sviluppo di soluzioni europee per chip, reti, dispositivi connessi, piattaforme software, cloud, dati e intelligenza artificiale. Il piano prevede un investimento complessivo di circa 300 miliardi di euro in dieci anni, coinvolgendo enti pubblici, industria e ricerca.

Italia: opportunità da cogliere, responsabilità da esercitare

L’Italia si trova oggi in una posizione cruciale. Da un lato, dispone di strumenti strategici per accelerare l’adozione dell’intelligenza artificiale nella Pubblica Amministrazione — in primis, le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che dedica oltre 6 miliardi di euro alla digitalizzazione della PA. Dall’altro lato, resta fondamentale consolidare i progressi compiuti in ambiti come l’interoperabilità e la gestione dei dati, in cui l’Italia vanta esperienze e soluzioni spesso all’avanguardia rispetto ad altri Paesi europei. Tuttavia, la vera sfida oggi è trasformare queste eccellenze in uno standard diffuso e sostenibile nel tempo, superando disomogeneità territoriali e frammentazioni operative che ancora permangono.

Negli ultimi anni, le iniziative promosse a livello centrale hanno rafforzato l’infrastruttura digitale del Paese, ma la loro piena efficacia dipenderà dalla capacità di integrarle in un disegno unitario, accessibile e utile per tutte le amministrazioni, anche a livello locale.

Per valorizzare questo patrimonio e accelerare l’adozione dell’AI nella PA in modo coerente, servirebbe affiancare agli investimenti infrastrutturali un processo di rafforzamento della governance a tutti i livelli, coinvolgendo territori, cittadini e imprese, e favorendo la condivisione di esperienze e competenze già presenti in molte amministrazioni.

Intelligenza artificiale come leva democratica

L’intelligenza artificiale non è solo un’innovazione: è una lente attraverso cui ripensare il modo in cui le istituzioni servono la società. Ma per farlo, occorre mettere in campo una visione chiara, risorse concrete e una profonda revisione dei modelli organizzativi.

Come sottolineato nel report di Capgemini, ciò che i cittadini ricorderanno non sarà quanto avanzata fosse l’AI ma se ha migliorato le loro vite, reso i servizi più equi, aumentato la fiducia nelle istituzioni. In questo senso, l’AI può e deve diventare uno strumento di cittadinanza digitale: uno strumento per rafforzare la democrazia e non solo per semplificare le procedure.

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