Lavorare tanto e guadagnare poco: quali sono oggi gli strumenti per valorizzare economicamente il lavoro?
Salari bassi in Italia: le vere cause oltre il salario minimo
Negli ultimi 30 anni l’Italia è cresciuta pochissimo in termini di produttività (ISTAT). Questa è sicuramente la prima delle ragioni per le quali il livello dei salari risulta oggi consistentemente più basso rispetto a quelle di altri paesi europei. Ma, introdurre per legge un salario minimo, non basta a risolvere un problema così complesso. Le cause sono più profonde. Alcuni studi, ad esempio, mettono in evidenza il legame tra bassa produttività, invecchiamento della popolazione e calo demografico. Tre fattori che, insieme, rallentano la crescita economica e bloccano l’aumento dei salari.
Come l’invecchiamento della popolazione cambia il lavoro in Italia
Una delle ragioni per cui i salari in Italia restano bassi è legato all’invecchiamento della forza lavoro. Nel 2003, la fascia d’età più numerosa tra chi lavorava era quella tra i 35 e i 39 anni. Oggi, vent’anni dopo, quelle stesse persone – ora tra i 55 e i 59 anni – sono ancora la parte più rappresentata nel mercato del lavoro.
Nel frattempo, le nascite sono calate drasticamente: nel 2024, il tasso di natalità è sceso a 1,18 figli per donna (dati ISTAT). Il trend è chiaro: la quota di popolazione con almeno 65 anni crescerà dal 10% (registrato nel 1951) a quasi il 35% entro il 2050. E già oggi l’Italia ha la più alta percentuale di lavoratori over 50 in Europa: 40,6%, contro una media UE del 35,1%.
Demografia e lavoro: perché senza giovani cala anche la produttività
I dati mettono in evidenza uno stretto rapporto tra calo demografico, invecchiamento della popolazione e diminuzione del PIL. Quando il numero di lavoratori disponibili si riduce e il sistema non riesce a rinnovarsi o a favorire un ricambio generazionale, anche la produttività rallenta. O almeno non cresce.
Un ricambio generazionale insufficiente può frenare l’introduzione di tecnologie e processi più innovativi. Meno risorse giovani disponibili, significa difficoltà per le imprese di operare su vasta scala o investire nella crescita.
Anche se l’occupazione è aumentata negli ultimi anni, la crescita si è concentrata soprattutto in settori a bassa produttività e con salari fermi.
CLUP in crescita: cosa ci dice sul lavoro e sulla produttività in Italia
Il risultato è che invecchiamento e denatalità provocano un aumento del costo per unità di prodotto.
Ci si riferisce in questi casi all’indice CLUP (Costo del Lavoro per Unità di Prodotto) che in base alle ultime rilevazioni è aumentato del 5,4 % segnalando un significativo disallineamento tra costo del lavoro e capacità produttiva.
È solo uno degli indicatori che mostrano come il sistema economico italiano stia soffrendo per una serie di rigidità strutturali come la burocrazia, il divario di genere, gli scarsi investimenti uniti all’invecchiamento demografico che in alcuni settori porta anche a bassa innovazione.
L’impoverimento salariale dipende così da diversi fattori e per tale ragione va affrontato non tanto (e non solo) con strumenti normativi, ma con strategie organizzative.
Perché oggi lavoriamo di più ma guadagniamo di meno
Per molto tempo, la crescita degli stipendi è andata di pari passo con lo sviluppo del settore manifatturiero, che generava valore aggiunto elevato per ogni lavoratore.
Negli ultimi venti anni, invece, a crescere è stato in prevalenza il settore dei servizi, soprattutto quelli a basso valore aggiunto pro-capite.
Tra il 2003 e il 2023, l’Italia ha perso 614 mila posti nella manifattura, mentre ha guadagnato 2,5 milioni di occupati nei servizi. Di questi, oltre 631 mila sono nei settori di ristorazione e alloggio.
Questa transizione verso un’economia dei servizi meno qualificati ha un effetto diretto sui salari: più posti di lavoro, sì, ma spesso mal pagati, poco coinvolgenti e con scarse possibilità di crescita. Una dinamica che, secondo il VIII Rapporto Censis–Eudaimon, rischia di diventare una trappola per il mercato del lavoro italiano.
Lavoro e salari: serve un nuovo modello organizzativo
In uno scenario in cui il lavoro cambia e i salari restano fermi, serve un ripensamento profondo delle politiche retributive in chiave organizzativa.
Il welfare, sia pubblico che privato, gioca un ruolo fondamentale perché fa parte dei cosiddetti sistemi di total reward, che danno valore al lavoro partendo dai bisogni delle persone, senza trascurare gli obiettivi dell’impresa.
Tempo, denaro, benessere, formazione, comunità diventano così la chiave per trattenere i pochi giovani disponibili sul mercato e per valorizzare le competenze dei lavoratori più anziani. Solo così si può garantire un vero ricambio generazionale, favorendo il passaggio di esperienza e l’integrazione con l’innovazione tecnologica. e innovazione tecnologica.
Le novità normative per innovare salari e partecipazione
Anche le nuove leggi possono aiutare a cambiare il modo di vedere il tema dei salari.
Il dibattito sul salario minimo legale svolge un ruolo fondamentale per il rinnovamento della contrattazione collettiva, così come l’approvazione definitiva della L. n. 76/2025 di iniziativa popolare promossa dalla CISL sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
Questa legge introduce importanti novità perché apre la strada a modelli di gestione partecipativa, che aumentano il senso di appartenenza, migliorano la produttività e influenzano positivamente i sistemi salariali.
Come la legge sulla partecipazione dei lavoratori promuove trasparenza e produttività
La legge rende operativo quanto stabilito dall’art. 46 della Costituzione, ossia “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende” “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione”.
Una forma di reale innovazione in termini di trasparenza nella gestione dell’impresa che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi ESG, favorendo processi partecipativi di democrazia economica che possono migliorare significativamente la produttività.
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