Nel contesto di un mercato del lavoro sempre più influenzato dall’intelligenza artificiale, le competenze professionali stanno subendo una trasformazione significativa. Anche se verso direzioni che solo fino a pochi anni fa sarebbero state difficilmente o quantomeno non del tutto immaginabili. Ad esempio, in passato si pensava che per potersi assicurare un lavoro in futuro si dovesse puntare prevalentemente sulle hard skills, in italiano letteralmente “competenze dure”, relegando in un ruolo residuale le soft skills, le “competenze morbide”. Con l’avvento dell’IA e in particolare di quella generativa, utilizzabile da chiunque nella gran parte delle professioni, lo spartiacque tra lavori che andranno a ingrossare le proprie fila e quelli che vedranno progressivamente assottigliarsi chi se ne occuperà diventa meno scontato. Ma, prima di guardare ai risultati delle analisi empiriche più recenti sul tema, proviamo a definire meglio quali caratteristiche devono avere le competenze professionali, partendo dalla distinzione tra hard e soft skills.
La differenza tra hard skills e soft skills
Le hard skills sono competenze verticali e ad elevato contenuto tecnico-specialistico. In ambito IA abilitano la capacità di progettare, sviluppare e gestire soluzioni IA. Tra le principali possiamo citare la programmazione e lo sviluppo dei software (es. la conoscenza di linguaggi come Python, R e Java, essenziali per implementare algoritmi di machine learning e deep learning), l’analisi dei dati (es. la capacità di analizzare e interpretare grandi volumi di dati utilizzando strumenti come SQL, Pandas e NumPy), l’ingegneria dell’IA (es. competenze nella progettazione e nell’ottimizzazione di modelli di IA, inclusi quelli generativi), la cybersecurity (es. conoscenze per proteggere sistemi intelligenti da minacce informatiche).
Le soft skills includono invece le abilità umane che l’IA non può replicare (o può imitare con maggiore difficoltà), come capacità interpersonali e comportamentali che influenzano il modo in cui una persona interagisce con gli altri e affronta questioni lavorative. Sono spesso legate alla personalità e si sviluppano attraverso esperienze di vita. Tra le principali possiamo citare il pensiero critico e il problem solving, cioè la capacità di analizzare situazioni complesse e individuare delle soluzioni spesso non scontate, l’intelligenza emotiva, l’adattabilità e la flessibilità, la comunicazione efficace e la creatività.
La domanda di nuove competenze a livello mondiale
Secondo il Future of Jobs Report 2025, l’ultimo prodotto dal World Economic Forum e pubblicato all’inizio di quest’anno, entro il 2030 il 39% delle competenze fondamentali dei lavoratori cambierà. Una percentuale in realtà in calo rispetto al 44% rilevato nel Report 2023 e al 57% del 2020, in piena pandemia. Un segnale dunque che si incominciano a delineare con maggiore chiarezza le competenze che servono in futuro, almeno entro un orizzonte a 5 anni, e che è aumentata al contempo la percentuale di lavoratori formati rispetto ai nuovi bisogni. In un contesto generale nel quale il macrotrend principale che guida la trasformazione del business, secondo le mille imprese del campione, che occupano complessivamente 14,1 milioni di lavoratori in 55 Paesi (dunque stiamo parlando in media di grandi e spesso grandissime aziende), è rappresentato proprio dal digitale e tra le tecnologie principali ben l’86% identificano l’IA come di impatto assolutamente significativo per i propri affari nell’orizzonte 2025-2030 (al secondo posto con il 58% i robot e i sistemi autonomi e al 41% l’energia).
D’altronde che l’IA sia così decisiva come fattore di trasformazione dell’economia lo testimoniano i lavori considerati a maggiore crescita nei prossimi cinque anni. Ai primi tre posti, con percentuali di incremento superiori all’80% (e per il primo addirittura oltre il 100%), troviamo rispettivamente gli specialisti dei big data, gli ingegneri FinTech e gli specialisti di IA e machine learning. Ma anche i profili occupazionali che si prevede possano diminuire maggiormente sono legati alla rivoluzione digitale e dell’IA. Ai primi tre posti, con cali di almeno il 20%, si collocano rispettivamente i postini, i cassieri di banca e gli addetti all’immissione di dati.
Interessante la prospettiva delle imprese rispondenti alla survey del WEF rispetto al dilemma automazione vs collaborazione tra persone e tecnologia. Se oggi il 47% delle mansioni sono svolte unicamente da umani, il 30% in collaborazione e il 22% solo dalle macchine, entro il 2030 si prevede un sostanziale equilibrio tra le tre possibili modalità (rispettivamente al 33%, 33% e 34%). Se è vero dunque che ci saranno fenomeni significativi di sostituzione, lascia un segnale di speranza l’incremento (sia pure di soli tre punti percentuali) della quota di lavoro svolta in collaborazione. Che si prevede molto alta in alcuni settori (ad esempio, in sanità e nella pubblica amministrazione) e molto più bassa in altri (come nelle telecomunicazioni o nella gestione assicurativa e pensionistica dove si stima che oltre il 95% delle mansioni sarà automatizzata).
Le competenze fondamentali per il mercato del lavoro
Forse la parte più interessante del rapporto riguarda proprio le competenze considerate fondamentali. Ai primi posti sono indicati il pensiero analitico (69%), la resilienza, flessibilità e agilità (67%), la leadership e influenza sociale (61%), il pensiero creativo (57%) e la motivazione e l’auto-consapevolezza (52%). È vero che tra le competenze core giudicate in aumento nel periodo 2025-2020 diverse sono hard (ai vertici del ranking si piazzano IA e big data, reti e cybersecurity e alfabetizzazione tecnologica) ma in grande aumento (e rispettivamente al quarto, quinto, sesto e settimo posto) si collocano il pensiero creativo, la resilienza, flessibilità e agilità, la curiosità e l’apprendimento continuo e la leadership e influenza sociale.
Dato che erano già a un livello di considerazione attuale molto elevato, non possiamo sottolineare come attraverso le soft skill passi gran parte delle aspettative da parte del lavoro umano di non essere sostituito da quello artificiale. E attraverso un mix tra le hard e soft skill più distintive e richieste la ricetta ideale per affrontare la transizione in atto sulla cresta dell’onda piuttosto che esserne soggiogati.
La domanda di competenze e gli impatti dell‘AI in Italia
L’Osservatorio sulle Competenze Digitali 2024, pubblicato a dicembre da AICA, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia, in collaborazione con Talents Venture, conferma una domanda elevata per professionisti ICT ma anche di competenze trasversali. Le figure più richieste sono quelle dei Web Developer e a seguire i Software Engineer e Sviluppatori Software mentre le skill marcatamente tecniche più domandate sono le capacità di utilizzo dei linguaggi di programmazione, da SQL a Java, Javascript e Python. Particolarmente richieste nel mercato ICT italiano sono però anche capacità trasversali come il project management.
Guardando agli impatti dell’IA, secondo una recente analisi di Banca d’Italia, in Italia circa il 20% della forza lavoro è esposta agli effetti sostitutivi dell’IA. Osservando le prime 10 professioni che sono altamente esposte alla complementarità o alla sostituzione, si nota che il rischio di sostituzione è più alto in quei mestieri intellettuali in cui vi è una minore responsabilità decisionale, come ad esempio il contabile e il tecnico statistico, ecc. Dall’altra parte, l’IA potrà svolgere un ruolo complementare in tutte quelle professioni in cui vi è sì un lato automatizzabile, ma persiste l’insostituibilità, anche morale e deontologica, dell’operato umano, come nel caso degli avvocati, dei magistrati, degli psicologi o dei direttori e dirigenti di imprese.
Lo scenario futuro
Le principali analisi, di cui abbiamo mostrato solo alcuni esempi, sono convergenti su due aspetti principali. In primo luogo, è la rivoluzione digitale e in particolare l’IA a guidare principalmente le trasformazioni in atto sul mercato del lavoro. In secondo luogo, aumenta la domanda di competenze tecniche, strettamente legate alla necessità di utilizzare al meglio le nuove tecnologie, ma ciò non esclude affatto ma anzi enfatizza ancora di più l’importanza di skill realmente distintive della specie umana, che molto difficilmente (se mai accadrà) potranno essere oggetto di sostituzione.
Allo stesso tempo, un moderno sistema di formazione deve puntare su una doppia combinazione virtuosa tra capacità di padroneggiare hard e soft skills e tra intelligenza umana e artificiale. Lo stesso vale per un modello educativo al passo con i tempi, nel quale bene senz’altro aumentare la penetrazione delle materie STEM, specie in Paesi sotto questo profilo più arretrati come l’Italia, ma occorrerebbe soprattutto contaminare gli indirizzi umanistici con materie scientifiche e quelli scientifici con discipline umanistiche (ad esempio, l’etica è fondamentale per gestire in modo efficace l’AI).
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