Il nuovo patto commerciale tra Ue e Usa fissa i dazi al 15%, ma lascia molti nodi irrisolti: niente testo vincolante, esenzioni da definire e forti divergenze. Per l’Italia, il rischio è un conto salato: Confindustria stima perdite fino a 22 miliardi di euro
Il nuovo accordo commerciale tra Unione europea e Stati Uniti assomiglia a una tregua firmata con riserva. I dazi vengono fissati – quasi ovunque – al 15%, ma la partita è tutt’altro che chiusa: mancano ancora dettagli tecnici cruciali, la lista definitiva dei prodotti esentati e soprattutto un testo giuridicamente vincolante. Bruxelles lo ha detto chiaramente: “nulla è definitivo finché non è scritto”. E lo scritto potrebbe arrivare solo entro il 1° agosto, data entro cui le trattative tecniche e politiche dovranno iniziare a mettere i puntini sulle i.
Le versioni di Usa e Ue, intanto, non combaciano. Washington parla di uno stop europeo alle tasse digitali (addio Web Tax?), ma da Bruxelles smentiscono: “la decisione è nostra”. Anche su acciaio, farmaci e chip la confusione regna sovrana: tra chi li considera esenti e chi li dà già sotto dazio, le zone grigie restano ampie.
Nel frattempo, le imprese italiane fanno i conti. Con 65 miliardi di euro l’anno di export verso gli Usa, il nostro Paese rischia grosso: Confindustria stima perdite fino a 22 miliardi di euro, complice anche a causa del cambio sfavorevole. Centromarca, che rappresenta 193 imprese del largo consumo, calcola un impatto da 767 milioni di euro solo su food e non food. Il giudizio, per ora, è sospeso: c’è chi parla di “male minore”, chi di “occasione persa”.
Le reazioni all’accordo Usa-Ue sui dazi
Mentre Washington celebra un “accordo colossale”, il Vecchio Continente si presenta spaccato tra chi difende la linea e chi grida alla resa. A Bruxelles si cerca di tenere il punto: “È la migliore possibile”, afferma il commissario europeo al Commercio Maroš Šefčovič, ricordando che “eravamo partiti dal 30%”. Una lettura che però non convince molte capitali europee. A partire da Parigi, dove il premier François Bayrou parla senza mezzi termini di “un giorno buio” per l’Europa, che si sarebbe “sottomessa” a Trump. Critico anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che avverte di “danni considerevoli” all’economia tedesca. Il belga Bart De Wever commenta: “momento di sollievo, ma non di celebrazione”.
Toni più diplomatici arrivano da Madrid, dove il ministro degli Esteri José Manuel Albares sottolinea che l’accordo “evita una escalation tariffaria”, ma attende una “analisi più dettagliata”. Così come la premier Giorgia Meloni che ha accolto positivamente l’accordo, pur sottolineando che “c’è ancora da battersi” per difendere gli interessi italiani ed europei.
Poi ci sono le punte di sarcasmo, come quella del premier ungherese Viktor Orbán, che ironizza: “Trump si è mangiato Von der Leyen a colazione”.
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Accordo Usa-Ue: i prodotti soggetti al dazio del 15%
L’accordo prevede un’aliquota del 15% su gran parte delle esportazioni europee verso gli Usa. Tra i settori principali:
- Automobili e componentistica: dopo mesi al 27,5%, il dazio scende al 15%, un risultato significativo per i produttori tedeschi, ma ancora penalizzante rispetto al passato.
- Semiconduttori e attrezzature elettroniche: inclusi in teoria, ma alcuni componenti critici potrebbero essere esclusi.
- Farmaceutica: gran parte dei prodotti rientra nel 15%.
- Macchinari industriali: esclusi quelli legati ai chip, che godono di esenzioni selettive.
- Prodotti chimici standard: resine, solventi e additivi industriali inclusi.
- Plastica, gomma e metalli non ferrosi: inseriti nella lista, ma in misura ridotta rispetto alle bozze iniziali.
Prodotti esenti dai dazi: accordo “zero per zero”
Saranno esenti da dazi su entrambe le sponde dell’Atlantico, grazie al meccanismo “zero per zero”, applicato a prodotti considerati strategici o a filiere transatlantiche strettamente integrate:
- Alcuni prodotti chimici: soprattutto quelli usati in elettronica, aerospazio, green tech.
- Attrezzature per la produzione di semiconduttori: esenti per non ostacolare gli investimenti comuni sul chip act e la transizione digitale.
- Prodotti agricoli non sensibili: alcuni tipi di frutta secca, legumi, erbe aromatiche, latticini fermentati, vino dolce.
- Materie prime critiche funzionali alle tecnologie verdi e all’industria dei chip: grafite, terre rare, litio, gallio, tungsteno.
- Risorse naturali: alcune categorie come sabbie silicee, acqua deionizzata, biossido di carbonio per uso industriale.
- Aeromobili e parti di ricambio: riconosciuta l’interdipendenza delle catene Airbus-Boeing, il comparto è completamente esente.
Parallelamente, la Ue aprirà il proprio mercato a circa 70 miliardi di euro di importazioni statunitensi, azzerando i dazi su prodotti come soia, frutta secca, pesce e pet food.
Categorie escluse: acciaio, alcolici e carni
Non tutto è definito: alcune categorie cruciali non sono state ancora incluse né nell’aliquota del 15% né tra gli esenti, e saranno oggetto di negoziazioni specifiche:
- Acciaio e alluminio: restano soggetti a dazi Usa fino al 50%. Bruxelles propone un sistema di quote, ma le trattative sono complesse.
- Vino, alcolici, birra: la Ue sta cercando di ottenere l’inclusione nel regime “zero per zero”, sostenuta anche dai produttori americani. Per ora restano soggetti a dazi variabili.
Restano escluse da questa liberalizzazione le categorie più sensibili, come carne bovina, zucchero, etanolo, riso e pollame provenienti dagli Stati Uniti, per le quali la Ue mantiene ancora dazi protettivi, dati i rischi di squilibri nei mercati agricoli e le sensibilità politiche.
Ambiguità nell’accordo: energia e armi
L’accordo commerciale tra Ue e Usa va oltre i dazi, includendo un importante patto energetico che impegna la Ue ad aumentare significativamente le importazioni di petrolio, gas naturale liquefatto (gnl) e carbone dagli Usa, con un obiettivo di 250 miliardi di dollari annui per tre anni. Tuttavia, l’obiettivo appare più politico che realistico: le esportazioni Usa attuali coprono meno della metà. Un funzionario ha ammesso che non c’è alcun vincolo pubblico o una regia centralizzata per garantire questo flusso.
Lo stesso vale per i 600 miliardi di dollari di investimenti industriali europei promessi negli Usa: si tratta di intenzioni raccolte tra le imprese, non di impegni formali come nel caso dell’accordo Usa-Giappone. Le istituzioni Ue potranno solo facilitare, non dirigere.
Sul fronte militare, invece, il negoziato sui dazi non include ufficialmente l’acquisto di armamenti statunitensi. Bruxelles definisce tale questione una “aspettativa” generica di aumento delle spese per la difesa in Europa, coerente con l’obiettivo Nato di un 2% del Pil e con l’incremento al 5% delle spese concordato. Washington invece considera invece l’acquisto di equipaggiamenti militari americani come una parte integrante dell’accordo.
Altri nodi irrisolti: stop alla Web Tax?
I nodi da sbrogliare nell’accordo restano numerosi e complessi. Tra i punti più controversi, gli Usa affermano che l’Ue ha deciso di “non adottare né mantenere tariffe di utilizzo della rete“, ottenendo così una sorta di stop alla Web Tax. Ma questa affermazione manca nella dichiarazione Ue e viene smentita da un portavoce europeo: Bruxelles “non cambierà le nostre regole e il nostro diritto di regolamentare autonomamente nello spazio digitale”.
Sul fronte agroalimentare, gli Usa spingono per semplificare i certificati sanitari, ma Bruxelles parla solo di “riconoscimento reciproco” e garantisce: “nessuna modifica ai sistemi alimentare, sanitario e di sicurezza dell’Ue”, dice il portavoce Olof Gill. Sull’acciaio, la Ue propone contingenti per ridurre i dazi del 50%, ma Washington conferma tariffe invariate su acciaio, alluminio e rame. Divergenze anche su semiconduttori e farmaceutici: per Bruxelles i dazi al 15% sono ipotetici, per gli Usa partiranno già da agosto. L’intesa è ancora tutta da definire.
Italia e dazi Usa: quali settori rischiano di più (e quali no)
Per l’Italia, terzo esportatore manifatturiero in Europa e primo in diversi segmenti della meccanica e dell’agroalimentare, le conseguenze saranno tangibili. Non catastrofiche, ma selettive. Confindustria e associazioni di categoria hanno già lanciato i primi allarmi: alcuni settori rischiano una perdita netta di competitività, altri invece beneficiano delle esenzioni. Vediamo l’impatto settore per settore.
Nel 2023 l’export italiano di auto e componenti verso gli Usa ha superato gli 8,5 miliardi di euro. Il dazio, prima al 27,5%, è stato ridotto al 15%, un miglioramento che resta comunque pesante per i prodotti di fascia alta come Maserati, Ferrari e Alfa Romeo. Anfia riconosce il beneficio della riduzione, ma sottolinea che il 15% rimane un ostacolo per un settore ad alto valore aggiunto. Stellantis prevede un impatto dazi di 1,5 miliardi nel 2025, con effetti già evidenti nel primo semestre.
Con 12 miliardi annui di export, il comparto dei macchinari italiani rischia un colpo: il dazio al 15%, anche se con possibili esenzioni, potrebbe far calare le commesse fino al 3% nel 2025, secondo Ucimu, soprattutto per beni durevoli e automazione.
Nel 2023 l’export farmaceutico italiano verso gli Stati Uniti ha superato gli 11 miliardi di euro. Una parte dei prodotti, come i generici e i medicinali strategici, potrebbe essere esentata, ma altri finiranno sotto l’aliquota del 15%. Secondo Farmindustria, l’impatto resta incerto: il timore è una perdita di competitività su principi attivi chiave.
La meccanica di precisione italiana, con oltre 9 miliardi di euro di export verso gli Stati Uniti, dovrà affrontare un dazio del 15%. L’impatto, secondo Confindustria Meccanica Varia, sarà medio-alto: a rischiare di più sono i componenti che non rientrano nei sistemi “integrati” americani, dove il Made in Italy è riconosciuto per la qualità, ma spesso penalizzato nei costi.
L’agroalimentare italiano è tra i settori più esposti ai nuovi dazi Usa del 15%, con l’export verso gli Stati Uniti che nel 2023 ha superato i 6,4 miliardi di euro, di cui oltre 2,1 miliardi solo di vino. Proprio il comparto enologico è tra i più colpiti: secondo l’Unione Italiana Vini, le perdite potrebbero arrivare a 317 milioni di euro nei prossimi 12 mesi, salendo a 460 milioni in caso di svalutazione del dollaro. A rischio anche il Brunello di Montalcino, simbolo del Made in Italy negli Usa, dove vale il 30% dell’export di denominazione: “Con questi dazi sarà difficile riallocare le bottiglie invendute altrove nel breve periodo”, avverte Giacomo Bartolommei, presidente del Consorzio. Pasta, olio, formaggi e vino – ancora esclusi dal regime “zero per zero” – rischiano un calo dell’export tra il 10 e il 15%, secondo Coldiretti e Federvini.
Il settore chimico italiano, con 5 miliardi di export verso gli Usa, subirà un impatto variabile: secondo Federchimica, “bisognerà valutare settore per settore: la chimica fine e specialistica è spesso esente, ma quella di base potrebbe risentire del dazio del 15%”.
Più penalizzato il comparto legno-arredo (4,5 miliardi l’export), dove il 15% potrebbe far perdere competitività soprattutto ai prodotti di fascia media. Assarredo e FederlegnoArredo hanno già stimato un calo tra il 10 e il 20% delle esportazioni verso gli Usa. Ancora peggiore la situazione dell’acciaio: con dazi Usa fermi al 50% e nessun accordo sulle quote, il settore – denuncia Eurofer – è stato ignorato, spingendo anche l’Italia a chiedere contromisure straordinarie a Bruxelles.
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