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Verso il bilancio UE 2028–2034: cosa propone la Commissione


Analisi La Commissione ha presentato la prima bozza del bilancio UE 2028–2034: 1.816 miliardi di euro e nuove priorità strategiche. Il Parlamento attacca: la coesione perde peso, i Governi guadagnano potere. E le vere sfide – sovranità energetica, sicurezza, innovazione – restano largamente sottofinanziate.

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UN BILANCIO EUROPEO ‘PIÙ TAGLIENTE’, MA SENZA MUSCOLI

Il bilancio europeo – o Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) – è lo strumento con cui l’UE pianifica le sue spese (politiche comuni, investimenti, fondi per agricoltura, coesione, ricerca, difesa…) per un periodo di sette anni. Si finanzia attraverso un sistema di “risorse proprie”, che in grandissima parte sono costituite dai versamenti annuali degli Stati, calcolati su una percentuale del loro Reddito Nazionale Lordo (RNL: la somma del valore aggiunto prodotto dai residenti di ogni Paese, inclusi i redditi ricevuti dall’estero ed esclusi quelli versati all’estero). Si aggiungono i dazi doganali, una quota dell’IVA riscossa dagli Stati membri e le imposte europee, come quelle su plastica non riciclata, emissioni e grandi imprese. Per entrare in vigore, ogni QFP deve essere approvato all’unanimità dagli Stati membri e a maggioranza dal Parlamento europeo. Il nuovo ciclo 2028–2034 dovrà essere negoziato entro la fine del 2027. Mercoledì 16 luglio la Commissione ha presentato la sua proposta: 1.816 miliardi di euro, pari all’1,15% dell’RNL. Un salto rispetto all’1,1% (1,2 miliardi di euro) del ciclo 2021–2027, considerando anche che l’incremento è calcolato al netto dell’inflazione (nel ciclo attuale il deflatore automatico del 2% previsto inizialmente è stato largamente superato a causa della pandemia e della guerra in Ucraina, erodendo il potere d’acquisto del bilancio e riducendo progressivamente il suo peso reale sul RNL – sebbene, secondo le proiezioni più recenti della BCE, l’inflazione tornerà sotto controllo entro il 2027, limitando ulteriori perdite reali). Ma resta comunque ben lontano da quanto servirebbe per colmare il gap strutturale europeo in termini di investimenti comuni. Eppure von der Leyen, che ha fin da subito avallato la necessità di una svolta in termini di efficienza della pianificazione del budget europeo, definisce il nuovo piano “più grande, più intelligente, più tagliente”. Il Parlamento, paventando, altrettanto dall’inizio, un depauperamento del proprio ruolo a favore di un accrescimento del potere di controllo della Commissione, si mostra ostile. E accusa innanzitutto Bruxelles di aver operato una forzatura comunicativa, “gonfiando” la cifra fino a un totale di oltre 2mila miliardi (1,26% del RNL), perché ha incluso le rate del debito post-Covid (rimborso del NextGenerationEU). Ma è la sostanza a fare più paura: la riduzione implicita del peso delle politiche redistributive, l’aumento del potere dei Governi centrali, il ruolo marginale di Regioni e territori.

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Fig. 1 – Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, alla Conferenza annuale sul bilancio dell’UE 2025, Bruxelles, martedì 20 maggio 2025

DAL BILANCIO ALLE CABINE DI REGIA: ADDIO ALL’EUROPA DEI TERRITORI?

La Commissione riscrive l’impianto del bilancio europeo proponendo uno spostamento netto delle priorità: meno fondi per coesione e agricoltura – tradizionalmente il cuore redistributivo dell’UE cui finora è spettato il 60-65% del budget – e più risorse per competitività, difesa, energia e proiezione esterna. Quindi, 410 miliardi per il Fondo europeo per la competitività, 200 miliardi per “Global Europe” (aiuti allo sviluppo e ai Paesi vicini), 292 miliardi per altri programmi (tra cui smantellamento nucleare e giustizia) e 49 miliardi per il programma Erasmus+, mentre 865 miliardi vanno alle politiche agricole e regionali accorpate in nuovi “Piani nazionali e regionali di partenariato”. Ma non è solo un cambio di etichetta: la logica di fondo è quella del Recovery Fund. Piani nazionali negoziati tra Commissione e Governi centrali, stanziamenti condizionati a risultati, regia accentrata. Per la Commissione è un passo verso maggiore efficacia, visibilità, controllo dell’impatto. Per il Parlamento, è un pericoloso scivolamento verso una governance tecnocratica, che marginalizza Regioni e territori, svuota la coesione del suo senso originario e trasforma Bruxelles in una centrale di distribuzione fondi a geometria variabile. Entrambe le letture colgono un pezzo di verità: la prima la necessità di superare l’inerzia, la seconda il rischio di rompere un equilibrio politico su cui si fonda da decenni l’integrazione europea.

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Fig. 2 – Kata Tüttő, Presidente del Comitato europeo delle Regioni, tra le voci più critiche verso la proposta di bilancio 2028–2034 della Commissione: “Ora capiamo il riserbo: dietro il fumo della semplificazione emerge un PIANO MOSTRUOSO che inghiotte la politica di coesione e ne spezza la spina dorsale con nazionalizzazione e centralizzazione”

BUONE INTUIZIONI, POCA EFFICACIA

Il vero paradosso è che molte delle nuove priorità – sovranità energetica, sicurezza, innovazione – sono meno controverse e anzi condivise. Ma restano largamente sottofinanziate. A fronte di un gap stimato in 4-5 punti di PIL da colmare con investimenti comuni, la Commissione propone uno scarto minimo: lo 0,15% in più del RNL, un’aggiunta timida che tradisce la mancanza di coraggio. Il rischio è che questa bozza resti una vetrina di retorica, mentre le vere scelte – su clima, industria, autonomia strategica – continuino a migrare verso strumenti intergovernativi o extra-bilancio.
Qualche segnale incoraggiante esiste: l’introduzione di nuove risorse proprie (tasse su e-waste, tabacco, grandi imprese), l’idea di ridurre la quota di dazi doganali trattenuta dagli Stati, la fine dei rebates (cioè le “correzioni” introdotte negli anni Ottanta sotto forma di sconti sui contributi al bilancio europeo concessi ad alcuni Paesi per compensare squilibri percepiti tra quanto versano e quanto ricevono). Ma si tratta più di accorgimenti tecnici che di svolte politiche. La Germania teme che l’UE stia scivolando verso una mutualizzazione strutturale del debito, mentre la Francia, strozzata dal deficit, è restia ad aumentare il proprio contributo. Il Parlamento europeo – che a maggio chiedeva un bilancio “significativamente più ambizioso” – ha già fiutato la battaglia. Se questa bozza sarà la base di compromesso o solo un ballon d’essai da sacrificare sull’altare dell’unanimità, lo vedremo. Ma il segnale politico è già chiaro: nessuna vera rivoluzione è in arrivo.

Ginevra Dolce

SOTEU 2022” by European Parliament is licensed under CC BY



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