«Abbiamo riorganizzato l’impresa, redistribuito il potere e rimesso al centro clienti e persone». Così Francesca Moriani, Ceo di Var Group, riassume il cambiamento profondo che ha interessato l’azienda negli ultimi cinque anni. Un percorso che vuole essere
strutturale e non cosmetico. E pertanto culminato con l’adozione di un modello ispirato al RenDanHeYi sviluppato da Zhang Ruimin, fondatore del gruppo Haier, integrato con i principi dell’Holacracy, all’interno di un framework originale definito Open Platform Organization.
Il risultato? Var Group è oggi la prima grande azienda italiana ad aver ottenuto lo Zero Distance Excellence Award, riconoscimento internazionale assegnato alle organizzazioni capaci di costruire ambienti di lavoro piatti, aperti, responsabilizzanti. «Nel 1987 Var Group contava 653 persone in 15 Paesi – ci racconta Moriani – Oggi abbiamo raggiunto un traguardo che corona un percorso quinquennale di trasformazione profonda. Un’evoluzione organizzativa che, lungi dall’essere un esperimento teorico, sta ridefinendo i fondamenti stessi del lavoro e della leadership».
Ma in cosa consiste il modello Open Platform Organization? E quali sono le sue reali applicazioni nel mondo dell’imprenditoria? Ce ne ha parlato Francesca Moriani, in occasione di un incontro che si è tenuto presso la sede di Var Group, proprio per spiegare il metodo RenDanHeYi (Rdhy). L’evento, a cui hanno preso parte anche William Fischer, Senior Lecturer at Mit‘s Sloan School of Management, Emeritus Professor of Innovation Management at Imd; e Stuart Crainer, Co-founder Thinkers50, è stato un’opportunità per analizzare come l’Rdhy stia trasformando le imprese e contribuendo a ridefinire i paradigmi del lavoro, della leadership e del successo organizzativo.
Micro-imprese e leadership diffusa: l’organizzazione si trasforma
Alla base del cambiamento c’è una presa di coscienza netta: «Alla fine del 2022 – prosegue Moriani – ci siamo resi conto che i clienti non erano più soddisfatti del servizio offerto. Eravamo estremamente frammentati e lenti nel cambiare il modello». L’organizzazione, cresciuta per acquisizioni, era diventata un mosaico di entità legali, ognuna con la propria cultura e le proprie strutture operative. «Non riuscivamo a trasformare quella pluralità in un ecosistema funzionale. Mancava una sovrastruttura che desse coerenza e senso condiviso». Da qui è nata l’esigenza di passare da un modello costruito attorno a società giuridiche a uno costruito attorno a micro-imprese interne, vere e proprie cellule autonome accomunate da uno scopo e da un cliente di riferimento. È qui che entra in gioco il RenDanHeYi, metodo sviluppato da Haier, che Var Group ha adattato al proprio contesto.
«Avvicinarsi al cliente non significa abbandonare il proprio ambito – spiega William Fischer – Significa arrivare abbastanza vicini da conoscerli meglio di quanto si conoscano loro stessi, in modo da poter applicare la vostra competenza per aiutarli a risolvere i loro problemi. L’organizzazione deve essere orientata verso l’esterno. Inoltre, andando la customer experience sta diventando sempre più complessa, e molte organizzazioni dovranno accedere a competenze che oggi non possiedono. E vorranno farlo senza stravolgere la struttura interna. Quindi la relazione che si instaura con l’utente è centrale».
Il metodo RenDanHeYi: autonomia, responsabilità, libertà di azione
Il RenDanHeYi si fonda su due concetti chiave: Ren (persona) e Dan (valore creato). Le persone non sono più risorse da coordinare, ma imprenditori interni chiamati a generare valore direttamente per il cliente. Il rapporto tra impresa e individuo non è più gerarchico, ma mutuale: io ti metto in condizione di esprimere il tuo potenziale, tu generi valore reale. Le micro-imprese – chiamate anche micro enterprises – diventano così le vere unità operative dell’organizzazione, con autonomia decisionale, responsabilità sui risultati e libertà di azione. Questo ribalta completamente la logica dell’organigramma verticale: «Non si tratta più di dividere funzioni, ma di mettere insieme le competenze attorno a uno scopo comune. Marketing, vendite, operations, digital: tutto lavora in modo fluido e coordinato per un unico obiettivo. E se qualcosa non funziona, chiunque può alzare la mano, ovunque si trovi», sottolinea Moriani. Tuttavia, la struttura a micro-imprese da sola non basta. Per funzionare richiede un cambiamento profondo della cultura manageriale. «Il passaggio più difficile è stato chiedere ai leader se erano davvero pronti a perdere potere, a fidarsi, a essere trasparenti», afferma la Ceo. La trasformazione, infatti, non può partire da un disegno organizzativo se chi guida non è disposto a mettere in discussione il proprio ruolo. Da qui l’integrazione con l’Holacracy, una tecnologia sociale che redistribuisce il potere decisionale all’interno dell’organizzazione secondo ruoli dinamici e processi strutturati. Il principio è che la leadership deve essere distribuita, non centralizzata. «Volevamo un’organizzazione in cui chiunque potesse contribuire, proporre, cambiare. Ma per farlo, serve una preparazione culturale forte. Non tutti sono pronti. E dobbiamo essere onesti: non tutte le persone possono restare in un’azienda così».
Le aziende oggi hanno accesso a una quantità di informazioni enormemente superiore rispetto al passato. La complessità è aumentata, i margini di errore si sono ridotti, e il tempo per reagire è sempre meno. Semplificare è difficile, quasi impossibile. Ed è proprio questa la sfida. «Le relazioni da gestire sono troppe, i livelli decisionali ancora rigidi – commenta Stuart Crainer – Per questo diventa fondamentale coinvolgere l’intera organizzazione nella fase di progettazione strategica. Non si può più pensare che il business venga disegnato solo dall’alto: deve essere co-creato, dall’interno. E questo richiede una presa di coscienza profonda: oggi siete ancora dentro un modello organizzativo tradizionale, e tutte le organizzazioni tradizionali, in fondo, si somigliano. Perché sono costruite dall’uomo. E come tutte le strutture umane, portano con sé limiti culturali, inerzie e resistenze».
Attivazione interna e tecnologie emergenti
L’effetto del nuovo modello è tangibile. Decisioni più rapide, maggiore capacità di ascolto, coinvolgimento autentico delle persone. «Attivare le persone cambia tutto. Si muove l’energia interna, si sbloccano processi, si eliminano sprechi. Non è sempre facile, non è sempre bello. Ma funziona». Ed è proprio questa attivazione diffusa a rendere possibile anche l’integrazione delle tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale. «L’IA è un nuovo collega – ha spiegato Moriani – sempre disponibile, connesso, competente, ma fallibile. Bisogna insegnare alle persone a lavorarci insieme. Serve educazione, cultura, consapevolezza. Ma soprattutto serve un’organizzazione pronta. Non è l’IA che decide: è l’organizzazione che deve essere strutturata per recepire, integrare, evolvere».
Condividere per evolvere: una lezione per l’Italia
Il cambiamento raccontato da Var Group non si pone come un caso isolato, ma vorrebbe essere un modello di riferimento potenziale anche per altre imprese italiane. Anche alla luce di un contesto segnato da ritardi nel passaggio generazionale e da una diffusa resistenza alla condivisione. Ambizione troppo vasta? Chi può dirlo. La conferma, come sempre, verrà da fatti e numeri. «In Italia il problema è che ognuno vuole tenersi tutto per sé. Non si condivide un errore, una competenza, una soluzione. Ma se non impariamo a raccontarci anche ciò che sbagliamo, continueremo a sbagliare tutti allo stesso modo», ha concluso Moriani.
Massimizzare il valore umano: il modello RenDanHeYi per l’era dell’IoT
Il modello RenDanHeYi è stato introdotto da Zhang Ruimin, fondatore e presidente emerito del gruppo Haier, nel 2005, con l’obiettivo di rispondere alle sfide dell’Internet of Things (IoT). È un approccio radicalmente nuovo rispetto ai modelli aziendali tradizionali: non più strutture gerarchiche, ma un ecosistema aperto dove l’impresa si mette al servizio degli utenti e dei dipendenti. Il modello RenDanHeYi si fonda su tre allineamenti: tra dipendenti e utenti, tra obiettivi condivisi, e tra valore personale e valore generato per l’ecosistema. In pratica, ogni collaboratore si connette direttamente con il cliente finale, co-crea soluzioni con altri attori e misura il proprio impatto sulla base del valore prodotto per la comunità. Alla base di tutto c’è un principio guida: massimizzare il valore umano, su tre livelli. Per gli utenti, significa ricevere esperienze sempre più personalizzate. Per i dipendenti, avere uno spazio per esprimere talento e creatività. Per gli azionisti, ottenere ritorni stabili grazie a una base solida di utenti fedeli e collaboratori motivati.
Il percorso evolutivo di Haier è passato da un’organizzazione verticale a un ecosistema distribuito. Prima con unità auto-gestite (2005), poi con l’abolizione del management intermedio (2012), quindi con la creazione di oltre 4.000 micro-imprese autonome (2013), fino ad arrivare alle Ecosystem Micro-Communities (Emc) del 2019: reti auto-organizzate che si formano e si sciolgono attorno ai bisogni dell’utente, regolamentate da contratti di valore condiviso. Oggi il modello è entrato nella fase 2.0, basata su ecosistemi intelligenti e interattivi. Con HomeGPT, Quantum Stores e contratti Emc dinamici, Haier è in grado di adattare in tempo reale l’offerta alle esigenze dell’utente, generando un ciclo continuo di innovazione. Lo stesso approccio è stato esteso anche all’ambito industriale con la piattaforma CosmoPlat.
Oltre la Cina: casi di successo
GE Appliances (USA)
Dopo l’acquisizione da parte di Haier, l’azienda americana ha adottato RenDanHeYi senza cambiare il management locale. In pochi anni ha superato la concorrenza, diventando il primo marchio per elettrodomestici negli Stati Uniti. Oltre 4.000 dipendenti beneficiano oggi dei nuovi meccanismi di condivisione del valore.
Haier Japan
In soli otto mesi, l’azienda giapponese acquisita è passata da perdite a profitti. Anche durante il Covid ha continuato a crescere. Oggi è leader in frigoriferi e lavatrici nel mercato giapponese.
Gummy Industries (Italia)
Agenzia di marketing digitale di medie dimensioni, Gummy ha adottato RenDanHeYi nel 2022. Le micro-imprese sono diventate “cucine”, i leader “chef”, e i servizi condivisi il “mercato alimentare”. In sei mesi hanno raggiunto l’autosufficienza economica e lanciato sette nuovi prodotti (contro uno ogni anno in passato). Ora operano con otto MEs autonome e registrano una crescita superiore al 10% annuo.
Fajar Benua Group (Indonesia)
Azienda di ingegneria, ha trasformato l’intero reparto vendite in MEs indipendenti, con responsabilità su profitti e accesso diretto alla produzione. Risultati: +50% di fatturato, -18% di costi produttivi, riduzione del 60% del management, aumento della collaborazione e fidelizzazione del talento chiave all’89%.
“Braveship”. Il coraggio di innovare: perché intraprendere un viaggio verso la leadership diffusa
Cosa ci impedisce di essere pienamente noi stessi nel lavoro, di crescere, di divertirci portando valore? Cosa ostacola le imprese nel lasciare spazio all’autonomia delle persone, al rispetto reciproco e all’evoluzione dei talenti e delle inclinazioni individuali? «La braveship è il coraggio di fare un passo avanti quando sarebbe più facile restare fermi, di scegliere la trasparenza quando la tentazione della maschera è forte, di vedere possibilità dove altri vedono limiti, di scegliere la strada meno battuta anche quando fa paura – spiega l’autrice Francesca Moriani – L’innovazione non si insegna, si abita. È un modo di stare nel mondo, di affrontare la complessità senza paura di perdersi. Non esiste innovazione senza la libertà di sbagliare, senza la possibilità di mettere in discussione ciò che si è sempre fatto. In quest’ottica la leadership diffusa non è una concessione, ma una scelta consapevole di responsabilità condivisa, di autonomia che si nutre di fiducia. Perché il vero cambiamento nasce quando smettiamo di cercare alibi e iniziamo a prenderci la responsabilità di ciò che possiamo essere».
Perché è proprio questo il senso della braveship: superare una cultura del controllo per affermarne una dell’autonomia, con lo sguardo rivolto a un mercato che entra nell’organizzazione e la trasforma dall’interno. Nutrire e moltiplicare la leadership, trasformando l’azienda in una piattaforma di imprenditorialità diverse ma allineate, tenute insieme dal sogno condiviso di un’innovazione aperta da abilitare, facilitare, abitare.
Var Group raccontata da Francesca Moriani
«Germania, Spagna, ma anche Francia, Austria, Benelux, Svizzera e Paesi nordici. Puntiamo all’espansione internazionale con l’ambizione di diventare un player strategico per la trasformazione digitale e l’innovazione dei modelli di business delle imprese europee. Un percorso di consolidamento e crescita che sosterremo attraverso fusioni e acquisizioni». È quanto afferma Francesca Moriani, ceo di Var Group, la società del Gruppo Sesa, che chiuderà il fiscal year ad aprile di quest’anno con un fatturato stimato di 900 milioni.
Oltre 6.000 clienti e nomi di spicco come Leonardo, Luxottica e realtà importanti del settore automotive, come Ducati, Lamborghini e Audi, nella grande distribuzione organizzata (tutto il mondo Conad) e nel manifatturiero (Marposs e Bonfiglioli). Non solo grandi aziende. Fattore distintivo di Var Group sono le soluzioni Erp e i moduli verticali che soddisfano le esigenze di pmi che operano nelle più importanti filiere industriali (Food & Beverage, Pharma, Automotive, Meccanico, Fashion & Luxury, Furniture, Gdo & Retail). «Come system integrator, software e digital service provider, questo è da sempre uno dei nostri punti di forza, e un differenziale di competitività nei confronti dei concorrenti, dice Moriani. «La rilevanza sostanziale è che i nostri prodotti danno risposte sulle verticalità di mercato, cosa che gli internazionali non potranno mai fare, perché non vanno così a fondo sulle singole esigenze della piccola e media impresa italiana. Noi siamo nati lì, dalla localizzazione nei vari distretti industriali. Grazie alla capacità di investimento abbiamo reso disponibili nel tempo soluzioni satelliti all’Erp, nell’ambito Crm, dell’advanced analytics. Ora è la volta dell’intelligenza artificiale, che andremo progressivamente a integrare nelle nostre soluzioni», aggiunge Moriani. Logica verticale che nel manifatturiero viene declinata da Var Industries, il brand di competenza del gruppo specializzato in soluzioni per ambienti di produzione e un fatturato di 60 milioni.
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