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Produrre con con alghe, lieviti e batteri: le molecole «bioidentiche» che trasformeranno l’industria


di
Laura Magna

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Arsenale Bioyard: dalla fabbrica di Pordenone parte la rivoluzione silenziosa che può rifondare la manifattura italiana. Organismi riprogrammati, intelligenza artificiale e fermentazione di precisione per costruire un’economia «rigenerativa»

Non è solo un’idea di business, ma un progetto rivoluzionario per rifondare la manifattura italiana – che è ciò su cui la nostra economia può continuare a crescere. Un progetto che si fonda sullo sviluppo su scala industriale del biomanufacturing – che a regime potrà generare un giro di affari di mille miliardi all’anno, dai 200 attuali. Un futuro possibile se si riescono ad abbassare i costi del «nature co-design», per dirla con Massimo Portincaso, visionario fondatore di Arsenale Bioyard, tornato in Italia dopo una carriera internazionale nella consulenza perché era «arrivato il momento del give back». 
Nella sua startup, operativa da inizio 2024, si riprogrammano geneticamente i lieviti per dare vita a qualsiasi molecola a base di carbonio – collagene, insulina, ferrolattina, mioglobina, biosurfattanti, limonene – con applicazioni nell’industria cosmetica, alimentare e del pulito. Così, il processo impiega organismi produttori OGM – oggi i lieviti, domani anche batteri e funghi filamentosi, che hanno la maggior produttività in assoluto – per creare molecole bioidentiche, indistinguibili da quelle naturali.

Le molecole «bioidentiche» prodotte con la natura

«Produciamo con la natura e a imitazione della natura – dice Portincaso – E oggi siamo di fronte alla stessa transizione che 10 mila anni fa ha portato l’uomo a passare dall’essere cacciatore e raccoglitore a occuparsi di agricoltura. Ora diventiamo agricoltori a livello atomico, con un impatto sulla società che è paragonabile a quello ma che sarà visibile nei prossimi 10 o 20 anni».
Un passaggio epocale dal paradigma estrattivo a quello generativo nella produzione: «Concretamente vuol dire che invece di partire da qualcosa di finito per ridurlo (che sia una catena di polimeri e spezzettarla, o una materia prima che viene modellata), partiamo dal livello atomico e costruiamo sommando, da micro a macro».




















































Un mercato da mille miliardi all’anno

«Fino al 60% di tutti gli input fisici dell’economia globale, che comprendono sia materiali biologici sia input non biologici, potrebbero essere prodotti o sostituiti con metodi biologici», dice Portincaso. Quando questo si realizzerà, la biomanifattura genererà un mercato da 200 miliardi nell’agricoltura, da 300-400 miliardi nell’industria alimentare, 200-300 nei carburanti, 180 nella chimica e 40-70 nella cosmesi. Con un impatto ambientale enorme, grazie alla riduzione delle emissioni globali del 5%, con un risparmio di CO₂ che vale 3 volte le emissioni dell’aviazione globale; consentendo il ripristino da 1 a 4 milioni di km² di terreno (pari alla superficie dell’India) e tagliando tra 250 e 500 miliardi di metri cubi il consumo dell’acqua (equivalente a 3-6 volte quella che scorre annualmente nel Nilo). I numeri sono quelli della ricerca Harnessing the economic and environmental benefits of advanced biotechnology, realizzata con McKinsey & Company dalla coalizione Advanced Biotech for Sustainability (AB4S – di cui fanno parte con Arsenale: Basecamp Research, Cradle, Darwin International, EIT Food, Evonik, Good Food Institute, Invert Bio, Lallemand, L’Oréal e ShakeUp Factory).

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Il sogno di Arsenale: la biomanifattura con lieviti, batteri e alghe

Per dare corpo a questa visione, nasce un anno e mezzo fa Arsenale Bioyard, che è una piattaforma end-to-end (la prima del suo genere in Europa) che integra hardware avanzati, software di intelligenza artificiale e un’infrastruttura modulare per facilitare il passaggio trasformativo verso modelli di produzione rigenerativi e circolari. La piattaforma usa la natura per produrre: nello specifico servendosi della fermentazione di precisione, la tecnica biotecnologica che utilizza microrganismi geneticamente modificati, come lieviti, batteri o alghe, per produrre specifici proteine, enzimi, polimeri, ormoni, vitamine.
«Possiamo produrre sostanzialmente qualsiasi molecola organica a base di carbonio, purché si conoscano la struttura della molecola e il percorso metabolico necessario per sintetizzarla», afferma Portincaso. Il cui obiettivo è chiaro: industrializzare il processo per far sì che la fermentazione di precisione sia sostenibile come tecnica produttiva per i beni di largo consumo, dove il prezzo finale è un fattore determinante. 
Il nome stesso dell’azienda contiene la sua mission: l’Arsenale di Venezia è stato un luogo dove in 60 giorni nel 1200 si costruivano 100 navi – ed è stata una delle ragioni del dominio di Venezia sui mari. «Noi vogliamo diventare nei prossimi dieci anni lo standard nella produzione bio-manifatturiera, superare i 20 milioni di litri di produzione in 10 siti, con centinaia di bioreattori in funzione e decine di checkpoint che raccolgono dati. Prevediamo 10.000 litri di produzione nel 2027. Nel 2028-2029 inizieremo a vendere prodotto finito alle aziende». Nello stesso arco temporale Arsenale stabilirà nuove fabbriche nel Nord Italia, nel triangolo Friuli-Veneto-Emilia, dove «esiste la migliore capacità esecutiva al mondo. Questa trasformazione può avvenire solo qui e da nessun altra parte al mondo: ed è un’opportunità enorme per il sistema Paese».

Per rendere la biomanifattura sostenibile, Arsenale ha dunque cambiato completamente la prospettiva. «Normalmente, startup come la nostra partono dalle università in zone fancy di grandi città e poi fanno produrre i loro materiali da altri – spiega Portincaso – Noi abbiamo fatto l’opposto: siamo entrati in una fabbrica e abbiamo portato il laboratorio al suo interno. È un nuovo paradigma: i biologi lavorano e pensano in laboratorio, ma la biologia è contesto-dipendente, quindi non basta raccogliere dati in laboratorio per sapere come funzioneranno le cose su scala industriale: perché se cambia il contesto cambiano anche le reazioni dell’organismo che lo abita».
E inoltre nella biomanifattura la struttura dei costi è completamente diversa rispetto a molte industrie tradizionali: «Nelle raffinerie più grandi, maggiore è la produzione, minore è il costo. Ma la natura non funziona in scala: ogni volta che cambi una variabile come abbiamo detto, cambiano anche tutte le altre condizioni. Se muta la dimensione, non sai come reagirà l’organismo».

Le due fasi della fermentazione di precisione e l’importanza dei dati

«Ci sono due fasi nella fermentazione: si lavora nel codice genetico dell’organismo e lo si modifica. Nella fase due si definiscono le condizioni di processo: la quantità di zuccheri e nutrienti, la temperatura, il livello di ossigeno, il Ph e il tempo di fermentazione. Oggi i due step sono separati e quindi in laboratorio il ricercatore sceglie, ad esempio, tra 300 disegni dell’organismo in sviluppo e, sempre ad esempio, 400 condizioni possibili: ma in verità le opzioni possibili combinando disegni e condizioni sarebbero 12 mila. Il punto chiave è che, invece di testare solo poche combinazioni alla volta, noi usiamo un approccio basato sui dati, sfruttando intelligenza artificiale e automazione per trovare fra esse in maniera efficiente le migliori».

In questo modo si accelera enormemente il processo di ricerca: invece di procedere per tentativi limitati, si esplora rapidamente uno spazio molto più ampio di possibilità, individuando in tempi brevi la soluzione più efficace e conveniente per la produzione su larga scala. Ed è questo approccio che permette di abbassare i costi e di rendere più accessibile la produzione di molecole che fino a poco tempo fa avevano prezzi altissimi.

Tutto questo consentirà di abbattere i costi fino al 90% – dalle centinaia di euro al chilo di oggi nel range delle decine, fino a 3-4 euro al chilo – e contemporaneamente ad abbreviare i tempi dell’industrializzazione.

Oltre i costi. I vantaggi della biomanifattura

Ma perché usare la natura per produrre molecole un tempo appannaggio dell’industria petrolchimica? La risposta, anche in questo caso, è complessa. «Il maggior vantaggio è la precisione atomica, che consente di determinare proprietà di materiali e proteine che oggi sono impensabili. Sarà possibile combinare in una sola molecola caratteristiche che prima non si potevano avere insieme». 

L’impatto ambientale della biomanifattura

Ma esiste anche un vantaggio di tipo ambientale. Per esempio, oggi usiamo tonnellate di arance e limoni per ottenere limonene e orangene, le fragranze degli agrumi. Un domani sarà possibile produrle a partire da pochi chili di zucchero. Lo stesso vale per il collagene: oggi si estrae dalle carcasse suine per ebollizione (per un kg di insulina servono 50 mila pancreas animali), domani potremo produrlo con la fermentazione di precisione dell’Escherichia coli. «Perché ciò sia possibile dobbiamo ridurre le variabili – È quello che stiamo facendo con Arsenale: tutto è focalizzato su modularità, sull’uso dei dati e sul rendere il biomanufacturing una disciplina basata su dati».

Pordenone, nuovo centro mondiale del biotech

Nella fabbrica di Pordenone lavorano giovani biologi laureati nelle Università del territorio, fianco a fianco con manager della Silicon Valley, per cui la città friulana è diventata polo di attrazione. Al progetto hanno aderito Gordana Djordjevic, Chief scientific officer che a San Diego ha maturato 25 anni di leadership scientifica presso Perfect Day, Zymergen, Synthetic Genomics, Bp e Basf, dove ha costruito l’esperienza necessaria per superare le barriere della fermentazione di precisione industriale e portarla oltre i confini del settore farmaceutico. Niels Lynge Agerbæk, che aveva base a San Francisco, dove è stato ex vicepresidente di Zymergen, general manager di Xellia Pharmaceuticals Usa e di Novo Nordisk Engineering Us, e che ora è alla guida dell’implementazione tecnica in qualità di Cto – e lo si può incontrare in laboratorio, camice bianco e mani nelle beute insieme ai ragazzi. 
A completare la squadra, due cervelli di ritorno: il Chief information officer Matteo Zanotto, dottore di ricerca in IA e deep learning con base a Verona, alla guida dell’innovazione software e algoritmica, e il Coo Arnaud Legris, ingegnere ed ex consulente di Bcg con base a Parigi.

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