Nell’attuale ecosistema informativo, sempre più interconnesso e dominato da logiche algoritmiche, la gestione etica della reputazione è diventata una priorità strategica per aziende, istituzioni e professionisti della comunicazione. L’emergere dei social media, la pervasività della tecnologia e l’automazione dei processi comunicativi hanno trasformato la reputazione in un asset intangibile di altissimo valore, ma anche estremamente esposto a distorsioni e abusi.
La reputazione non si riduce a un semplice consenso o a una percezione favorevole dell’opinione pubblica: è un capitale di fiducia che orienta i comportamenti di consumo, condiziona la competitività, attrae investitori e talenti, incide sull’accesso al credito e può determinare la continuità operativa di un’organizzazione. In un contesto in cui l’informazione circola a velocità incontrollabile e le fonti si moltiplicano in modo disordinato, il rischio reputazionale si intensifica, amplificato dalla facilità con cui i contenuti possono essere manipolati, omessi o alterati.
In questo scenario, promuovere una gestione etica della reputazione significa integrare le tecniche di comunicazione strategica con una visione profondamente responsabile, ispirata ai valori ESG. Non basta la competenza tecnica: è necessaria una cornice valoriale condivisa, capace di guidare le scelte dei comunicatori verso trasparenza, integrità e rispetto del bene comune.
Manipolazione della reputazione: una minaccia sistemica alla fiducia
In un contesto dominato da dinamiche digitali e opacità informativa, la manipolazione della reputazione si configura come una minaccia strutturale all’affidabilità del sistema comunicativo. Le pratiche scorrette non intaccano solo l’immagine di un’organizzazione, ma minano le basi stesse della fiducia pubblica e del confronto democratico.
Le nuove forme di disinformazione reputazionale
Oggi la manipolazione reputazionale non avviene più solo tramite diffamazioni o campagne stampa: si tratta di un fenomeno ibrido e digitale, dove la reputazione può essere costruita o demolita con operazioni informatiche sofisticate.
Le tecniche più diffuse includono la distribuzione sistematica di fake news e la creazione di profili falsi (fake account) per influenzare l’opinione pubblica, ma anche l’uso di strumenti di data forging (alterazione dei dati) o data deletion (cancellazione selettiva di informazioni).
Queste pratiche influenzano non solo l’opinione pubblica, ma anche gli algoritmi dei motori di ricerca e delle piattaforme digitali – che governano visibilità e autorevolezza online – con conseguenze potenzialmente devastanti per la visibilità e la credibilità di persone e organizzazioni.
Costruzione artificiale vs. reputazione autentica
Sempre più spesso, agenzie e professionisti senza scrupoli offrono servizi di costruzione reputazionale artificiale, che vanno ben oltre il media training o la gestione delle crisi. Queste pratiche includono la creazione di narrazioni positive non autentiche, oppure attacchi diretti a competitor o soggetti “scomodi” per danneggiarne l’immagine.
L’etica professionale viene così sacrificata sull’altare della visibilità a breve termine. Ma ciò che viene compromesso è ben più ampio: la fiducia collettiva, base imprescindibile per qualsiasi relazione, personale o professionale. Una reputazione costruita su fondamenta fittizie non è sostenibile nel tempo e genera effetti collaterali gravi, sia per chi la subisce sia per chi la promuove.
FERPI approva il nuovo Codice di Autoregolamentazione: un presidio etico per la professione
Nel corso dell’Assemblea Nazionale FERPI di Napoli di luglio 2025, è stato presentato ufficialmente il Codice di Autoregolamentazione per la gestione etica della reputazione. Il testo, frutto del lavoro della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana con il contributo di esperti esterni, entra a far parte dei riferimenti valoriali e normativi per chi opera nel settore della comunicazione e delle relazioni pubbliche in Italia.
La reputazione orienta i consumi e genera ricchezza
“La letteratura scientifica conferma che la reputazione è uno dei maggiori vantaggi competitivi di cui un’organizzazione possa disporre, nonché il più importante dei suoi asset intangibili e orienta i comportamenti di acquisto del pubblico, quindi genera denaro – ricorda Luca Poma, professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma e coordinatore del gruppo di lavoro che ha redatto il Codice – E come tutto ciò che è generatore di valore, diventa sempre più oggetto di attenzione, e in alcuni casi, purtroppo, di manipolazione”.
Come la reputazione può essere alterata online
Il panorama della comunicazione si è trasformato in un territorio estremamente complesso e insidioso: agenzie e imprese sempre più spregiudicate, insieme a professionisti dalla dubbia etica, offrono oggi servizi mirati alla costruzione artificiale della reputazione. Ma, come evidenzia Poma, il problema non si ferma qui: le stesse realtà non esitano a orchestrare attacchi per demolire l’immagine di concorrenti o di chi risulta scomodo ai loro clienti.
La diffusione ad arte di fake news, l’impiego di bot e profili falsi, oltre a sofisticate manipolazioni informatiche come data forging e data selection, consentono a questi comunicatori senza scrupoli di condizionare non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto gli algoritmi che governano la visibilità sui social e nei motori di ricerca. Questo modus operandi altera in modo doloso i dati relativi alle organizzazioni colpite, erodendo il loro valore, compromettendo la continuità operativa e, nei casi più gravi, causando il tracollo di aziende o la rovina di figure pubbliche.
Perché servono regole condivise nella comunicazione pubblica
“Per questi motivi – conclude Poma – è imperativo che i professionisti delle relazioni pubbliche e della comunicazione si dotino di codici di regole condivisi per agire con integrità, trasparenza e responsabilità, realmente, non solo a parole. Perché in presenza di manipolazione, crolla la fiducia; e la costruzione di rapporti basati sulla fiducia è un elemento fondamentale per garantire il buon funzionamento delle istituzioni democratiche, per la competitività del sistema economico e per la coesione del tessuto sociale”.
Un cambio di paradigma per i professionisti della reputazione
Rifiutare incarichi manipolativi è un dovere etico
Il nuovo Codice FERPI invita tutti i professionisti a non accettare incarichi da parte di clienti che comportino l’attuazione di pratiche manipolative o ingannevoli a danni di terzi.
Questo rappresenta un cambio culturale radicale: fino a poco tempo fa, molti professionisti si rifugiavano nel principio della “neutralità del consulente”, ma oggi non è più sostenibile. Accettare incarichi dannosi significa contribuire attivamente alla perdita di valore reputazionale e al deterioramento dell’ecosistema informativo. L’etica professionale non è solo un insieme di buone intenzioni, ma una scelta operativa quotidiana.
Uno strumento aperto alla comunità professionale
“Il Codice è un documento impegnativo da subito per tutti gli iscritti FERPI – ha dichiarato Filippo Nani, presidente nazionale della Federazione – ma è anche un progetto aperto al dibattito e confronto con altre associazioni di categoria e gruppi di interesse, che immagino non mancheranno di dare il proprio contributo di idee”. La gestione etica della reputazione si configura così non solo come una scelta deontologica, ma come una necessità per garantire credibilità, sostenibilità e innovazione nell’intero settore.
La reputazione come bene comune da proteggere
In un contesto dove la reputazione può essere manipolata, costruita o distrutta con pochi clic, il Codice FERPI rappresenta un presidio fondamentale per chi crede in una comunicazione responsabile e orientata al bene comune. La gestione etica della reputazione non è solo una questione professionale, ma un pilastro per costruire relazioni di fiducia durature tra cittadini, imprese e istituzioni.
Contrastare queste derive non è solo una questione di tutela dell’immagine, ma un passo necessario per ricostruire un ecosistema informativo sano e affidabile, in cui la reputazione torni a essere espressione di comportamenti reali e non il prodotto di manipolazioni artificiali. Senza un impegno concreto per l’etica comunicativa, a rischiare non è solo il singolo brand, ma l’intero sistema di fiducia su cui si regge la convivenza civile, economica e istituzionale.
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