Nonostante gli sforzi annunciati, la Calabria continua a navigare in acque torbide: la qualità di depurazione e trattamento acque reflue resta critica e l’Europa osserva con preoccupazione.
Con 188 agglomerati urbani ancora non conformi agli standard europei sul trattamento delle acque reflue, la Calabria occupa il secondo posto in Italia per numero di infrazioni in materia ambientale. La procedura d’infrazione UE 2017/2181 è tutt’altro che archiviata e gli obblighi comunitari, più volte sbandierati nei comunicati istituzionali, restano in larga parte disattesi.
Depurazione e trattamento acque reflue in Calabria: la situazione e le promesse di intervento della Regione
Mentre la Regione annuncia nuovi interventi e promette mari più puliti già dalla stagione estiva 2025, la realtà sul campo appare ben più complessa. I controlli effettuati da Arpacal – l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente – avvengono su richiesta di enti terzi, in assenza di convenzioni stabili.
Le verifiche si limitano a misurazioni analitiche puntuali e non offrono un quadro completo sull’efficienza del sistema depurativo regionale. Per una valutazione esaustiva, servirebbero dati dettagliati su carichi in entrata, tipologia degli impianti, trattamento dei fanghi, costi di gestione e durata delle infrastrutture. Informazioni che oggi mancano o sono frammentarie.
Autorizzazioni, controlli e responsabilità
La normativa italiana, attraverso il Decreto Legislativo 152/2006, stabilisce che tutti gli scarichi debbano essere autorizzati e rispondere a precisi limiti emissivi. Le competenze per il rilascio delle autorizzazioni sono distribuite tra diversi livelli istituzionali: la Regione per gli impianti industriali soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale; le Province per gli impianti urbani e industriali che ricadono nell’Autorizzazione Unica Ambientale; i Comuni per gli scarichi che confluiscono nelle reti fognarie. Il controllo di conformità spetta alle autorità competenti, che possono avvalersi delle agenzie ambientali regionali per l’analisi tecnica delle acque.
Il decreto, in particolare all’articolo 128, impone un sistema di controlli periodici, capillari e imparziali. Ma nella pratica, questo principio è spesso sacrificato a causa di risorse limitate e responsabilità istituzionali frammentate.
Il piano regionale per il 2025
Negli ultimi anni, la Regione Calabria ha avviato un piano d’azione articolato, iniziato nel 2022, che punta alla riqualificazione della rete fognaria e degli impianti di depurazione. L’obiettivo dichiarato: acque marine più sicure per l’estate 2025. Tra gli interventi in corso si segnalano il miglioramento dello smaltimento dei fanghi, l’efficientamento degli impianti esistenti, la pulizia di 294 corsi fluviali e il monitoraggio straordinario della costa.
Gli investimenti sono rilevanti: 15 milioni di euro affidati a Sorical per il potenziamento dei depuratori, a cui si aggiungono 121 milioni provenienti da fondi europei e nazionali (Por, Fsc, Pnrr) per 51 interventi infrastrutturali complessivi. Innovativa anche la tecnologia impiegata: droni a lungo raggio dotati di radar Sar per rilevare scarichi illegali, battelli antinquinamento del sistema “Pelikan”, e robot subacquei per il monitoraggio dei fondali.
Una lotta alla maladepurazione ancora in salita
Nonostante gli sforzi, la depurazione in Calabria resta una sfida aperta. Lo ha ricordato recentemente Camillo Falvo, procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, che da anni è in prima linea nel contrasto all’inquinamento marino. In un’intervista radiofonica a Radio Onda Verde, Falvo ha evidenziato come le criticità non derivino da un singolo evento, ma da un inquinamento strutturale e persistente. “Il mare verde che vediamo – ha spiegato – non è formalmente inquinato secondo le analisi, ma è il risultato di un accumulo di nutrienti, fitofarmaci e azoto che alimentano la proliferazione di alghe unicellulari. È un danno ambientale invisibile, ma reale”.
Il magistrato ha ripercorso i passi compiuti nel Vibonese: protocolli di intesa, campagne di campionamento, incontri tecnici e un cambio di rotta nel coinvolgimento delle istituzioni locali. Dal 2021 ad oggi, la percentuale di attività industriali collegate al sistema fognario a Vibo Marina è salita dal 10% al 90%. Le segnalazioni ambientali si sono ridotte drasticamente, passando da 2.000 a meno di un centinaio. Ma il lavoro non è finito: molti impianti continuano a operare male o in condizioni di saturazione, e in alcune aree mancano completamente le infrastrutture di raccolta e trattamento.
Un caso emblematico è quello del fiume Mesima, che riceve scarichi da comuni non allacciati alla rete fognaria. “Dove finiscono questi reflui?”, si chiede Falvo. “Finiscono lì, nel fiume, senza alcuna depurazione”.
Le soluzioni proposte: pragmatismo e sostenibilità
Secondo il procuratore, è necessario cambiare approccio: intervenire non solo sul fronte repressivo, ma anche su quello culturale. Serve sensibilizzare gli imprenditori agricoli sull’uso responsabile di fertilizzanti e pesticidi, promuovere buone pratiche agricole e investire nella formazione.
Tra le proposte alternative, Falvo ne rilancia una provocatoria ma basata su dati scientifici: convogliare i reflui a largo, in mare aperto, dove l’azione naturale dell’acqua può favorire la dispersione e il riassorbimento dei nutrienti. “Sarebbe meno dannoso di quello che accade oggi – afferma – perché il mare ha una capacità depurativa che potremmo sfruttare meglio, purché lontano dalle coste e sotto rigorosi controlli”.
Scenari futuri
La Calabria si trova davanti a un bivio. Da una parte, gli obblighi normativi e le infrazioni europee che rischiano di tradursi in pesanti sanzioni; dall’altra, una rete di impianti obsoleti, una burocrazia complessa e una gestione spesso inefficiente. Gli strumenti tecnici e le risorse economiche ci sono, ma servono visione, continuità e soprattutto una volontà politica forte e coerente. Solo così il mare calabrese potrà tornare limpido davvero, e non solo nei report ufficiali.
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