L’affondo di Confindustria Vicenza: «l’Ue ha scelto di rendere competitivi gli altri sistemi». Il presidente Boscaini apre: «Almeno è finita l’epoca dell’incertezza»
«Una pessima notizia», chiosa il presidente degli industriali veneti Raffaele Boscaini che però cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. «Almeno è finita l’epoca dell’incertezza, la partita non è ancora chiusa e siamo in attesa di conoscere i dettagli che potrebbero fare la differenza». Quella di Boscaini è tuttavia l’unica apertura, tra gli industriali, all’accordo Usa-Ue sui dazi al 15%. Perché dalle sedi locali, in particolare da Vicenza, la provincia con più export verso gli States (2,2 miliardi, il 30% di tutte le esportazioni venete) arriva la stroncatura dell’intesa, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen tacciata di «aver scelto di rendere competitivi gli altri». È l’affondo di Barbara Beltrame Giacomello, presidente di Confindustria Vicenza. «Attendiamo di vedere il testo definitivo e i termini tecnici reali — premette —. Ma la presidente per l’ennesima volta sui temi economici non si è dimostrata all’altezza: pare non si sia ancora resa conto che l’Europa è fatta da gente che lavora, da manifattura che crea valore aggiunto e occupazione, non da slogan e ideologia». Quindi il monito, «l’Europa si deve dare una scossa» con uno «scatto di orgoglio» perché la strada intrapresa «è quella del declino». Ai dazi al 15%, sottolinea Beltrame, va aggiunto il fatto che oggi il dollaro è debole e che sull’acciaio restano tariffe al 50%: il che (come impone l’accordo) «farà spendere in tre anni 750 miliardi in acquisti energetici e 600 in investimenti che si aggiungono a quelli che già ci sono», conclude.
Le stime
Si tratta al momento di stime, elaborate a fronte di alcuni punti fissi, ossia i dati effettivi dell’export: nei primi tre mesi dell’anno sono stati esportati negli Usa prodotti per un valore di 1,73 miliardi, con un più 0,2% rispetto all’anno precedente e un’incidenza su tutto l’export della regione pari all’8,8%. Percentuale — di pochissimo — inferiore sul 2024 quando i commerci verso gli Stati Uniti hanno rappresentato il 9,1% del totale pari a 7,3 miliardi in dodici mesi. «Dopo mesi di stillicidio, questo accordo porta una certa stabilità: per le aziende è fondamentale poter pianificare con dati certi alla mano sui quali ancora non ci sono informazioni puntuali — osserva Boscaini —. Come ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni la partita non è chiusa e siamo in attesa di valutare tutti i dettagli che potrebbero fare la differenza».
Che l’intesa metta la parola fine alle incertezze e quindi sia, in un certo senso, un passo in avanti ne è convinto anche il presidente degli artigiani veneti, Roberto Boschetto (Confartigianato). Resta però la certezza che «l’impatto dei dazi al 15% non sarà indolore». Per questo, ora la palla passa a Roma e Bruxelles chiamati a fare da subito la propria parte. «Accompagnino l’accordo con misure compensative, semplificazioni doganali e un piano di sostegno all’export per le imprese artigiane — dice — . È più che mai necessario che l’Ue si concentri su politiche industriali per aumentare la competitività di aziende e economia». Le maggiori ricadute, per Confartigianato, saranno nella gioielleria, occhialeria, macchinari e bevande.
Sostegno e semplificazione
«L’impatto sarà differenziato», sostiene Boscaini. Ossia, le produzioni ad alto valore aggiunto — «meccanica, design o agrindustria», elenca — e quindi difficilmente sostituibili «potranno assorbire l’extra costo». Anche se, in Veneto, bisogna attendere per capire come si evolverà la situazione nei settori strategici di «macchinari, forniture mediche, food e gioielli». Su un punto concordano artigiani e industriali: «L’Europa deve trovare soluzioni e strategie che possano mitigare questa pesante situazione». «Idealmente è una sconfitta dei principi di libero scambio — conclude Boscaini — causata da un leader che ha rovesciato il tavolo imponendo regole nuove: si tratta di un accordo più politico che economico». Preoccupati anche gli agricoltori. «La chiusura dell’intesa è un passo avanti — dice Giangiacomo Bonaldi, presidente di Confagricoltura Veneto — ma i dazi avranno un sicuro impatto diretto sulla competitività internazionale delle aziende venete». Serve dunque «realismo»: «Chiediamo misure di sostegno e un rafforzamento delle politiche di semplificazione, per accompagnare e promuovere le eccellenze venete sui mercati esteri». Soprattutto sul fronte del vino la cui esportazione verso gli Stati Uniti, nel 2024, ha raggiunto un valore di quasi 600 milioni di euro, di cui oltre metà di Prosecco.
Il prosecco e l’export
L’ultima parola, per questo settore, non sarebbe comunque stata detta. «Al momento non è stata definita alcuna misura tariffaria. È ancora tutto aperto, e non possiamo escludere nemmeno l’ipotesi di dazi zero», spiega Giancarlo Guidolin, presidente del Consorzio di tutela del Prosecco Doc. Con circa 130 milioni di bottiglie esportate all’anno, gli Usa «rappresentano oggi il nostro primo mercato estero e ha dimostrato negli anni — aggiunge — una straordinaria capacità di apprezzamento per le nostre bollicine. Per questo siamo fiduciosi che prevarrà il buon senso». Meno ottimista l’Unione italiana vini (Uiv) che invece calcola (su scala italiana) 317 milioni di euro di perdite e, per i partner americani, un mancato guadagno di 1,7 miliardi di dollari. «Il danno salirà a 460 milioni se il dollaro rimarrà svalutato», dice Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv. Dall’Italia ogni anno partono 364 milioni di bottiglie: il 27% è Prosecco, calcola l’Osservatorio di Uiv. «A inizio anno il prodotto che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduto in corsia a 11,5 dollari — spiega — ora, tra dazio e svalutazione della moneta statunitense, il prezzo sarebbe vicino ai 15 dollari con più 186%. Ma nella ristorazione la stessa bottiglia rischierà di costare circa 60 dollari».
Tra le eccellenze venete, ci sono anche arredamento e legno, che negli Usa ha un discreto seguito. «Da subito saremo al lavoro per contenere al massimo l’impatto nella consapevolezza che sarà strategico guardare e investire in nuovi mercati», annuncia Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo.
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