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Dazi: accordo amaro | ISPI


All’indomani dell’annunciata intesa raggiunta con gli Stati Uniti sui dazi, in Europa la sensazione è quella di una sconfitta difficile da digerire. L’accordo, che prevede tariffe base al 15% a partire dal 1° agosto su tutte le merci europee esportate negli Usa, più un’altra serie di impegni su energia e armi, è stato accolto come una capitolazione, in cui il Vecchio Continente ha poco di cui andar fiero. Anche se “era il miglior approdo che si potesse raggiungere” come ha precisato Ursula von der Leyen, l’impressione è che – pur avendo delle frecce al suo arco – l’Europa abbia scelto di non usarle, per evitare un periodo di incertezza e per non dover combattere una battaglia che avrebbe potuto danneggiarla su altri fronti, come quello militare e di difesa. Come evidenziano Moreno Bertoldi e Marco Buti in un’analisi per ISPI, la parte americana “è riuscita a imporre la propria narrativa e la propria agenda” mentre “il lato europeo ha assunto una posizione estremamente difensiva e reattiva, focalizzata sulla riduzione delle perdite”. La suspense è durata fino all’ultimo e l’accordo è stato raggiunto sul filo di lana a cinque giorni dalla scadenza del 1° agosto, precedentemente fissata da Donald Trump, oltre la quale le esportazioni europee avrebbero dovuto affrontare dazi punitivi del 30%. Così, tra due mali, i 27 hanno scelto il minore: un compromesso sbilanciato a favore degli Stati Uniti piuttosto che il rischio di una guerra commerciale dalle conseguenze imprevedibili. “Preferiamo la stabilità alla totale imprevedibilità”, ha giustificato il Commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic. Ma è probabile che l’immagine della presidente della Commissione, il sorriso tirato, seduta immobile e in silenzio accanto al presidente Usa nella sala da ballo di un resort golfistico di Turnberry, sulla costa occidentale della Scozia, rimarrà nell’immaginario europeo, commentano oggi diversi osservatori, come una delle pagine più umilianti della storia dell’Unione.

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Cosa c’entra la sicurezza?

Inizialmente, la Commissione sperava di convincere Washington a istituire un’area di libero scambio transatlantica, con dazi doganali pari a zero da entrambe le parti. Poi, Bruxelles ha sperato di raggiungere un’intesa su dazi al 10% sulle importazioni europee, con un sistema di possibili esenzioni per l’industria automobilistica, prima che Trump brandisse la minaccia del 30%. Di fronte alla temerarietà di Trump, più che convinto di riuscire a piegare il Vecchio Continente, i 27 non erano d’accordo sulla risposta appropriata. Alcuni, come la Francia, avrebbero propeso per una dimostrazione di forza. Ma altri, tra cui Germania e Italia, hanno fatto pressione perché si evitasse lo scontro. Alcuni per ragioni economiche e perché, essendo più esposti sul mercato Usa, preferivano evitare un conflitto commerciale aperto. Altri, in particolare quelli geograficamente più vicini alla Russia, temevano che un atteggiamento più conflittuale nei confronti di Washington potesse avere ripercussioni anche in altri ambiti. “Non possiamo isolare questi negoziati dal resto delle relazioni transatlantiche”, ha ammesso un diplomatico nordeuropeo in una conversazione con il Financial Times. Detto in altre parole, c’era il timore che un inasprimento delle relazioni commerciali si sarebbe accompagnato a un’accelerazione del disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa in materia di sicurezza. I timori che Trump avrebbe interrotto le forniture di armi all’Ucraina, ritirato le truppe dall’Europa o addirittura abbandonato la Nato hanno offuscato i colloqui, confermano i diplomatici.

Reazioni diverse?

In Europa l’accordo è stato accolto da reazioni diverse, che riflettono le posizioni dei paesi membri sulla strategia da adottare. “Evitata un’escalation inutile”, ha detto il cancelliere tedesco Friedrich Merz, garantendo il sostegno tedesco alla Commissione anche per lavorare alla riduzione delle barriere commerciali su altri trattati, a cominciare da quello sul Mercosur. Sostegno pieno è stato espresso, oltre che dalla premier italiana Giorgia Meloni, che lo ha definito “sostenibile”, anche dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, secondo cui l’intesa “dà priorità alla cooperazione, protegge gli interessi fondamentali della Ue e offre alle aziende la certezza di cui hanno bisogno”. Aperture a cui si contrappone il silenzio di altri, come Emmanuel Macron, che ha commentato invece il Tour de France, o il premier spagnolo Pedro Sanchez. “Non è stato un accordo tra il presidente Donald Trump e Ursula von der Leyen. È stato Donald Trump a mangiarsi Ursula von der Leyen a colazione”, è sbottato il premier ungherese Viktor Orbán lunedì mattina. Orbán ha aggiunto che l’accordo tra Stati Uniti e Regno Unito è molto migliore di quello ottenuto dall’Ue e che questo è “un altro segnale che Bruxelles ha bisogno di una nuova leadership”. Anche altri leader euroscettici, come la capofila del partito di estrema destra tedesco AfD Alice Weidel e la prima donna dell’estrema destra francese Marine Le Pen, non si sono lasciate sfuggire l’occasione di criticare la Commissione. Ma non sono i soli: “È un giorno buio quando un’alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, si rassegna alla sottomissione”, ha scritto su X il primo ministro francese François Bayrou. 

Fine dell’incertezza?

Critiche a parte, molti in Europa sperano che la ritrovata intesa con Washington metta fine a mesi di incertezza sui mercati, riportando alla stabilità commerciale tanto attesa. Che si tratti di una aspettativa ben riposta o di una chimera, considerato che con Trump le cose possono cambiare velocemente, solo il tempo potrà dirlo. Di certo l’Europa può rivendicare di aver limitato i danni ma ha dimostrato quanto la sua dipendenza militare, digitale e finanziaria dagli Stati Uniti ne abbia compromesso i margini di manovra. E di fatto oggi si ritrova a pagare tariffe che sono il triplo di quelle dell’era pre-Trump senza contare l’effetto penalizzante aggiuntivo del dollaro debole. Sul Financial Times Martin Sandbu aveva esortato l’Ue a non farsi tentare da un accordo che in realtà non lo è avvertendo che difficilmente gli accordi con Trump garantiscono stabilità: “Non ci sarà nulla di definitivo. Continuerà a esserci un caos strumentalizzato, le misure politiche promesse verranno di colpo accantonate e continueranno ad arrivare ogni tipo di richieste estranee al commercio, in stile mafioso (basta chiedere al Brasile)” osserva Sandbu secondo cui con Trump alla Casa Bianca “Non ci sarà un nuovo status quo”. Come a dire che il peggio è stato evitato sì, ma a carissimo prezzo per l’immagine dell’Europa e comunque solo fino al prossimo colpo di testa di The Donald.

Il commento

Di Matteo Villa, ISPI Senior Research Fellow

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“Un accordo che non salva la faccia, ma salva la pelle. Questo, più o meno, il riassunto di quattro mesi di tira e molla, lettere minatorie e promesse tradite. Alla fine, il dazio al 15% è forse proprio quello cui puntavano Trump e i suoi. A torto, ma quello in politica conta solo fino a un certo punto. Ci si consola pensando che, ancora una volta, l’UE ha fatto a Trump promesse di investimento e acquisti di energia che non sono nelle sue competenze, e che dunque non realizzerà davvero se non sulla base di considerazioni economiche. Tutto come prima, insomma, ma con un dazio in più”.



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