Dall’intelligenza artificiale alla transizione verde, dalla crisi abitativa studentesca al ruolo dell’università nella società: per Alessandra Petrucci l’Ateneo pubblico deve formare coscienze critiche, adattarsi al cambiamento, ma senza cedere alla logica della quantità. La qualità si difende con didattica digitale e personalizzata, microcredenziali e formazione attiva. “Firenze è un brand potente, ma va usato con strategia”, afferma, rivendicando la capacità dell’Ateneo di attrarre fondi europei e guidare progetti PNRR come Age-It e THE. Centrale anche l’alleanza con il territorio, per garantire opportunità e coesione. E sul principio da salvare non ha dubbi: “Diritto allo studio e autonomia, come vuole la Costituzione”.
Università di Firenze, la Magnifica Rettrice Petrucci: “L’Università deve restituire valore sociale”
Professoressa Petrucci, lei è la prima donna rettrice in sette secoli di storia dell’Ateneo. Ha sentito sulle spalle un’eredità ingombrante o un’opportunità per cambiare passo, anche simbolicamente?
È vero, lo Studium generale viene fondato a Firenze nel 1321, ma la nascita della nostra Università risale al 1924. L’eredità che ho raccolto, al di là dell’essere la prima Rettrice donna, è impegnativa, perché ho alle spalle Rettori che sono stati grandi personalità e amministratori preparati, ciascuno con il suo carattere e con una diversa cifra del proprio mandato, esercitato in contesti diversi e in tempi diversi. Ognuno di loro, anzi, ognuno di noi ha il suo ‘passo’.
In Italia il numero dei laureati resta drammaticamente basso rispetto alla media europea. Qual è, secondo lei, l’errore di fondo nel modo in cui il nostro Paese guarda all’università?
Non c’è solo un bias nel rapporto tra il numero dei laureati e gli errori con cui il Paese considera l’Università. Il basso numero dei laureati ha varie cause, che vanno dalle basse opportunità occupazionali ai livelli di remunerazione spesso inferiori ai corrispettivi europei, all’ancora non sistematizzato sistema formativo post diploma dei corsi a carattere professionale, all’estero molto diffusi e dove rappresentano una fetta considerevole dei titoli terziari. Incide anche la questione di genere: sarebbero necessarie politiche che consentissero alle laureate di conciliare vita privata e lavoro, per offrire loro maggiori opportunità.”
L’intelligenza artificiale, la transizione verde, le guerre e i conflitti: che ruolo può e deve avere oggi un’università pubblica nell’orientare il pensiero e le scelte di una generazione che vive in tempi di incertezza radicale? E come si prepara un Ateneo a questa responsabilità educativa e culturale?
La didattica, la ricerca e ogni altra attività istituzionale sono al servizio della collettività e contribuiscono allo sviluppo sostenibile della società. Ogni azione dell’Ateneo risponde all’obiettivo di rendere tutti maggiormente consapevoli e in grado di formulare un pensiero autonomo. In questo periodo di incertezza, l’università pubblica deve garantire la formazione di nuove competenze, la valorizzazione della persona e la ricerca di soluzioni alle sfide globali, oltre ad assicurare il dibattito democratico. Dobbiamo saperci adattare alle esigenze che scaturiscono dalle complessità, con percorsi formativi personalizzati e flessibili e collaborazioni con il territorio e il sistema del lavoro. Dobbiamo essere comunità riflessive, restituendo valore al ruolo sociale delle Università, per formulare nuove visioni del futuro.
Come si mantiene alta la qualità della formazione in una struttura con 50 mila studenti, pressioni crescenti sui finanziamenti e una domanda di competenze che cambia ogni anno? Quali leve si possono attivare per non cedere alla logica della quantità a scapito della profondità?
Con l’esaurirsi dei finanziamenti straordinari e l’ipotesi di un prossimo contenimento del FFO e di nuovi provvedimenti relativi alla spesa degli Atenei, va assicurata la sostenibilità prospettica delle decisioni strategiche. Impegno virtuoso nei parametri di assegnazione del FFO, basati sulla qualità della ricerca e della didattica, attrazione di nuove fonti di supporto, efficienza dei servizi, razionalizzazione della gestione, attenzione agli impatti degli investimenti possono ridurre il margine di rischio. L’impegno dell’Ateneo si concretizza nell’alleanza con le Istituzioni locali, in particolare con la Regione Toscana, che sostiene, ad esempio, il Dottorato Pegaso con diverse borse di Dottorato. Il sostegno di Fondazione CR Firenze è un punto di ancoraggio forte, per sostenere molte scelte. In termini generali, la qualità della didattica viene garantita ponendo al centro dei processi di apprendimento gli studenti: sono loro che stimolano il rinnovamento delle metodologie didattiche, incrementandone l’efficacia attraverso una formazione attiva e cooperativa, che fa uso di tecnologie digitali, quali, ad esempio, blended learning, realtà aumentata, dispositivi mobili e percorsi flessibili e certificati come le microcredenziali. In questo modo, rispondiamo alle esigenze dei discenti, aumentando l’accessibilità della formazione e superando l’offerta massiva di enti non sempre qualificati. È necessario, però, investire sulle competenze pedagogiche e digitali del personale docente e sull’organizzazione di supporto.
Il vostro Ateneo è molto attivo sul fronte PNRR. Qual è l’ambito su cui scommetterebbe oggi con maggior convinzione, tra ricerca di base, trasferimento tecnologico e innovazione didattica? E dove invece crede che il sistema nel suo complesso stia ancora sottovalutando il potenziale?
L’Università di Firenze è affermata nel campo della ricerca nazionale e internazionale, posizionandosi ai primi posti tra gli Atenei italiani per qualità della produzione scientifica ed entità dei finanziamenti ottenuti. Con l’ultima assegnazione PRIN è tra i primi 10 Atenei italiani per numero di progetti finanziati; è inoltre sesta istituzione di istruzione superiore in Italia per numero di progetti Horizon finanziati. Nell’ambito del PNRR, sono stati ottenuti oltre 137 milioni. La nostra Università guida il partenariato esteso Age-It, che affronta in ottica positiva la sfida della longevità. È, inoltre, coordinatore dell’ecosistema dell’innovazione Tuscany Health Ecosystem (THE), a cui partecipano tutti gli atenei toscani, insieme a enti di ricerca e aziende, unico ecosistema finanziato che si occupa del sistema-salute. La vincita del bando sulla misura ‘Parchi e giardini storici’, inoltre, ha permesso il restauro del Giardino della Villa medicea della Quiete, gestita dal Sistema Museale di Ateneo. La capacità di attrarre fondi si traduce in investimenti in infrastrutture, ricerca e innovazione, utili a potenziare lo sviluppo economico e sociale del Paese.”
Molti studenti denunciano difficoltà crescenti a vivere in città universitarie come Firenze, fra affitti inaccessibili e caro servizi. Cosa può e deve fare un ateneo in un contesto che spinge all’esclusione sociale, e come si costruisce un’alleanza stabile con il territorio?
Il problema degli alloggi per gli studenti, in una città turistica come Firenze, è un’emergenza che l’Università affronta mediante servizi dedicati e politiche di sensibilizzazione a livello cittadino, sostenendo gli enti locali nella trasformazione di edifici adatti in studentati, che abbiano prezzi accessibili, come nel caso della imminente conversione dell’ex ospedale di Monna Tessa. Quanto all’alleanza stabile e sinergica col territorio, stiamo promuovendo la collaborazione tra istituzioni accademiche e realtà locali, pubbliche, private o del terzo settore, con progetti di ricerca congiunti, tirocini e stage presso aziende del territorio, attività di volontariato e coinvolgimento degli studenti in progetti di sviluppo locale. A questa attività di networking partecipano i 21 Dipartimenti dell’Ateneo, il Centro Servizi di Ateneo per la Valorizzazione della Ricerca, l’Incubatore Universitario Fiorentino, la Fondazione per la Ricerca e l’Innovazione (FRI). Si consideri che la presenza dell’Ateneo sul territorio è capillare, con sedi oltre l’area urbana, anche in zone dalla forte vocazione industriale (Sesto Fiorentino, Calenzano, Empoli, Prato, Pistoia, Borgo San Lorenzo).
L’Università di Firenze può contare su un’identità potente e riconoscibile. Ma la forza del brand “Firenze” è sfruttata davvero in modo strategico? Che ruolo gioca nella vostra strategia di internazionalizzazione e nel rapporto con imprese, istituzioni e fondi europei?
Il centenario dell’Ateneo, lo scorso anno, è stata occasione per rinsaldare il legame tra Università e Città. Il nostro Ateneo è fortemente attrattivo, anche perché la città offre opportunità straordinarie: abbiamo un elevato numero di Visiting professors e di accordi internazionali, ma anche relazioni dirette con le imprese, come provano gli esiti delle giornate dedicate al placement dei nostri laureati. I risultati dei bandi europei sono lusinghieri. Nel programma Horizon Europe, attualmente in corso, l’Università di Firenze è coinvolta in 75 progetti, di cui 13 coordinati direttamente, per un finanziamento complessivo di circa 33,5 milioni di euro, comprendendo anche 6 progetti di eccellenza ERC. Nel precedente programma Horizon 2020, sono stati finanziati 149 progetti, tra cui 13 ERC, per oltre 55 milioni di euro. La promozione degli accordi, come quelli stipulati nei giorni scorsi in Giappone, nasce dalla qualità della ricerca, dagli interessi comuni e da solide aspettative: il brand ‘Firenze’ consente di favorire questi contatti.
Se potesse difendere un solo principio fondante del sistema universitario pubblico, quale salverebbe: il diritto allo studio, l’autonomia della ricerca, o la funzione civile dell’università nella società? E come lo difenderebbe oggi, in un tempo di riforme rapide e logiche manageriali aggressive?
Non esiste un sistema universitario pubblico senza il diritto allo studio e senza l’autonomia, come sancisce la Costituzione. Sostenere il diritto allo studio significa creare cittadini consapevoli e influire sulla compagine sociale, e l’Ateneo è già fortemente impegnato su questo fronte, grazie a una serie di iniziative che passano attraverso il principio trasversale dell’inclusione, delle pari opportunità, del supporto a chi si trova in difficoltà economiche per consentire il largo accesso alla formazione universitaria.
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