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Tra dazi e credito, la via per l’export italiano


Giovanni Rossi, direttore generale di Promos

L’export italiano cresce nonostante le tensioni sui dazi Usa e la stretta del credito. Secondo Giovanni Rossi, direttore generale Promos, la chiave è per le imprese diversificare mercati e per la politica semplificare il sostegno istituzionale alle Pmi, puntando su nuove geografie e strumenti finanziari più accessibili.

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Negli ultimi mesi, il presidente americano Donald Trump ha sconvolto equilibri pluridecennali minacciando dazi “urbi et orbi” e imponendone subito di pesanti su acciaio e alluminio, sostenendo che serviranno a rilanciare l’industria siderurgica americana. Come impattano queste misure sull’export italiano, che nel 2024 ha registrato una crescita del 3,7% secondo Istat? Come si può cavalcare quest’onda positiva senza subire contraccolpi?
Nel 2024 l’export italiano ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita economica del Paese, considerando che un euro su tre del Pil nazionale proviene proprio dalle esportazioni. Questo dato è cruciale per un Paese come il nostro, che affronta una decrescita demografica: secondo alcune stime, nel 2100 potremmo essere solo 40 milioni, e se davvero il mercato dei consumi interni si restringerà in questi termini, è più che mai essenziale poter vendere nel resto del mondo: mantenere e ampliare gli sbocchi sui mercati esteri è vitale.

E come sta andando il primo trimestre del 2025?
Se guardiamo al primo trimestre 2025, i numeri sono ancora positivi: +3,2% rispetto all’anno precedente, con una crescita extra Ue ancora più marcata. Tuttavia, negli Stati Uniti si è registrato un +41,2%, un dato probabilmente “drogato” dall’effetto scorte: le imprese americane hanno fatto incetta di prodotti italiani in vista dei dazi. È ragionevole aspettarsi che l’impatto reale dei dazi si manifesti nei prossimi mesi.

Analizzando i dati dei primi quattro mesi dell’anno, la crescita resta, ma si nota un rallentamento soprattutto nei mercati extra Ue, con un -7,5% ad aprile su aprile. Curiosamente, la flessione verso gli Stati Uniti è stata più contenuta, solo -1,9%. La vera novità è che l’export italiano sta crescendo in aree come Svizzera, Paesi Opec, Mercosur e Asean, in linea con il piano del Governo che punta proprio su queste geografie. C’è quindi una coerenza tra le strategie annunciate e le azioni concrete.

Cosa si può fare di più per raggiungere nuovi mercati ed evitare i rischi legati a una possibile “tempesta dazi”?
La strategia è proseguire su quanto già avviato: avere un piano chiaro, come quello presentato dal Ministro Tajani, e muovere tutto il “sistema Italia” in modo coordinato per aprire nuove porte e creare condizioni favorevoli all’ingresso in mercati meno tradizionali.

Non va dimenticato che la competenza sul commercio internazionale è europea: la firma dell’intesa preliminare per un trattato di libero scambio con il Mercosur, ad esempio, è una decisione comunitaria.

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La Commissione europea si è recentemente recata in India, mercato in forte crescita, seguita dal Governo italiano. Il 4 giugno, a Brescia, 70 imprenditori indiani hanno incontrato aziende italiane per attività di matching: segno di un’attività intensa e coerente.

Uno sforzo in più, però, per i nostri esportatori!
Naturalmente, entrare in nuovi mercati richiede alle imprese una curva di apprendimento, perché si tratta di Paesi meno noti, con differenze culturali, linguistiche, legislative e doganali. Serve investire tempo e risorse, ma gli italiani hanno nel Dna la capacità di esplorare e adattarsi. I risultati, pur con fatica, stanno arrivando.

Il Governatore della Banca d’Italia ha lanciato un appello alle banche affinché tornino a sostenere il credito, soprattutto per il finanziamento delle esportazioni. Qual è la situazione attuale e quali strumenti possono utilizzare le imprese, anche con riferimento diretto al mestiere che fa Promos?
La nostra storia nasce a Milano, ma oggi operiamo a livello nazionale. Promuoviamo attivamente le misure di supporto offerte dal sistema Simest e da Sace, che assicura il credito verso molti Paesi. Le ultime misure di Simest, recentemente rifinanziate, sono particolarmente interessanti e noi ci impegniamo a divulgarle tra le imprese.

Sul fronte del credito privato, la situazione è complessa: le regole di Basilea sull’assorbimento di capitale sono molto stringenti e spesso rendono difficile per le banche finanziare le imprese, anche quelle più volenterose. Questo vale soprattutto per le iniziative internazionali, che richiedono esposizioni finanziarie importanti, dalla logistica alla produzione, fino ai pagamenti spesso dilazionati e in valute diverse dal dollaro.

L’incertezza economica, acuita dalla questione dazi, induce le banche alla cautela, proprio quando il sistema produttivo avrebbe bisogno di maggiore coraggio.

E dunque?
Dunque l’appello del Governatore è positivo, ma servono anche strumenti più semplici e accessibili, soprattutto per le Pmi. Oggi molte procedure bancarie, come l’anticipo delle esportazioni o le lettere di credito, sono ancora troppo complesse e adatte solo alle grandi aziende. Bisogna “democratizzare” questi strumenti, rendendoli fruibili anche per le piccole e medie imprese.

Molti imprenditori guardano con interesse a mercati come l’Africa, ma sono frenati da fattori di rischio: valute locali poco affidabili, normative incerte, difficoltà a recuperare i crediti. Esiste una graduatoria affidabile dei Paesi più sicuri? Come possono le aziende tutelarsi?
Non solo l’Africa, ma anche l’America Latina in passato ha vissuto momenti di insolvenza di interi Stati. Esistono molte asimmetrie informative, ma oggi si possono gestire grazie a una vasta disponibilità di dati e fonti sul mercato, sui Paesi e sulle singole controparti.

Sì, esistono fonti normative e strumenti che consentono una valutazione informata dei rischi, sia a livello di ecosistema Paese che di singole aziende. Noi, ad esempio, formiamo le imprese su dove reperire queste informazioni e come utilizzarle. Un tema cruciale è il rischio di cambio: a volte nella filiera entra la valuta locale, ma esistono strumenti come i contratti swap per tutelarsi. Anche qui, la tendenza è semplificare e rendere questi strumenti più accessibili alle Pmi.

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Le complessità di questi mercati si affrontano con informazione, competenza e professionalità. Sace svolge un ruolo fondamentale assicurando i crediti verso molti Paesi, anche se non tutti, e supportando le aziende nella valutazione e assunzione consapevole del rischio.

Quindi, in sintesi, si può fare?
Assolutamente sì. Serve impegno, informazione e il coraggio di affrontare nuove sfide, ma il sistema Italia ha le risorse e le competenze per continuare a crescere sui mercati internazionali, anche in un contesto globale sempre più complesso e competitivo.



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