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Nucleare: i nonsense Bankitalia e del paragone con le rinnovabili. Serve all’industria! Parla Monti, Ain


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 «Il lavoro di Bankitalia? Il confronto con le rinnovabili è improprio: mentre queste ultime sono fonti intermittenti (sole e vento), il nucleare garantisce energia di base continuativa. E poi il nucleare potrebbe valere 2 punti e mezzo di Pil». Parole rilasciate in un’intervista ad Industria Italiana da Stefano Monti – già ai vertici della Iaea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) e ora presidente di Ain (Associazione Italiana Nucleare). Ma a cosa si riferisce Monti?  Monti rimanda allo studio “L’atomo fuggente: analisi di un possibile ritorno al nucleare in Italia” redatto da Luciano Lavecchia e Alessandra Pasquini per Banca d’Italia e scaricabile da questo indirizzo. Questo paper va correttamente inquadrato: seppur scritto da esperti interni all’ente, non rappresenta la posizione ufficiale dell’istituto, ma serve a stimolare il confronto e a offrire spunti basati su dati e modelli economici. Solo che in un momento in cui l’energia è diventata una vera e propria emergenza nazionale, lo studio ha acceso un fuoco nel dibattito pubblico: nel giro di pochi giorni, ha scatenato reazioni accese da parte del mondo industriale, delle istituzioni e della comunità scientifica.

L’intervista a Monti prende spunto da questo dibattito per fare il punto su tema cruciale per l’industria italiana, e cioè il ruolo del nucleare nella transizione energetica. Ma cosa dice in sintesi questo studio? Dice che il nucleare non abbasserebbe i prezzi dell’energia ma potrebbe renderli più stabili nel tempo. Non eliminerebbe la dipendenza dall’estero, ma la sposterebbe verso fornitori di tecnologia e combustibile nucleare. Inoltre, il contributo alla riduzione delle emissioni sarebbe rilevante, ma restano i problemi legati alle scorie.  In pratica: i costi iniziali sono alti, i ritorni incerti e le nuove tecnologie non ancora mature.

E cosa risponde Monti? Monti ammette che il nucleare richiede investimenti significativi, ma rilancia: è una fonte stabile, continua e a zero emissioni, quindi essenziale per un mix energetico affidabile. Boccia il confronto diretto con le rinnovabili, giudicato fuorviante perché ignora i costi di accumulo e le infrastrutture necessarie per gestire la loro intermittenza. Sottolinea il valore aggiunto del nucleare, capace di produrre non solo elettricità, ma anche calore industriale, idrogeno e acqua desalinizzata. Quanto alla tempistica, ricorda che in molti Paesi gli impianti si costruiscono in 5-6 anni e che anche l’Europa sta colmando il divario tecnologico. In sintesi, per lui il nucleare è una leva decisiva per garantire sicurezza energetica e competitività industriale.

Il nucleare come leva strategica per l’economia italiana

Costo del capitale e tempi di costruzione previsti ed effettivi per una serie di centrali nucleari
di recente costruzione. Secondo lo studio, il nucleare con abbasserebbe il costo dell’energia, ma potrebbe contribuire a stabilizzare i prezzi. Fonte: IEA (2025).

Monti infatti sottolinea che il tessuto industriale nazionale è già ampiamente coinvolto nella filiera, con competenze consolidate e capacità produttive in grado di rispondere alle esigenze dei programmi nucleari, sia grandi che modulari. Il ritorno dell’atomo nel mix nazionale potrebbe attivare nuova occupazione, pari a 170mila nuovi posti di lavoro, stimolare investimenti e aprire spazi competitivi sui mercati esteri, dove la presenza italiana è già riconosciuta. Per le imprese, si tratta di una concreta occasione di crescita tecnologica e posizionamento in un settore ad alto contenuto strategico.

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D: L’Italia, con la sua tradizione manifatturiera in settori ad alta precisione, potrebbe ricoprire un ruolo importante nella filiera del nucleare?

R: Assolutamente sì. L’Italia ha una delle filiere nucleari più sviluppate d’Europa — è la seconda in termini di capacità — e può contare su competenze tecniche di alto livello in quasi tutti gli ambiti necessari per un programma nucleare industriale. Anche sul fronte della ricerca e della formazione, il nostro Paese è riconosciuto a livello internazionale.

D: Qual è oggi il grado di prontezza delle nostre aziende nel rispondere a una possibile ripartenza del comparto?

Stefano Monti, presidente di Associazione Italiana Nucleare.

R: Le imprese italiane sono già coinvolte in importanti progetti nucleari in Europa, come le centrali di Cernavoda (Romania) e Mohovce (Slovacchia), dove hanno avuto un ruolo chiave, e nei progetti Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor, il più grande esperimento al mondo sulla fusione nucleare) e Hinkley Point (il primo impianto nucleare di nuova generazione costruito in Regno Unito), con circa 100 fornitori attivi. Escludendo la produzione di combustibile, le aziende italiane sono in grado di coprire quasi tutto: grandi componenti, tubazioni, valvole, materiali speciali, sistemi di misura e tecnologie per la gestione dei rifiuti radioattivi.

D: Ci sono già imprese in grado di fornire componenti chiave, materiali speciali o know-how per Smr e grandi impianti?

R: Sì, ci sono già 13 società di ingegneria qualificate per il nucleare e 4 general contractor. Circa 50 aziende italiane fanno parte della European Smr Industrial Alliance (SmrIA), che punta a costruire un reattore modulare in Europa entro il 2030. E non finisce qui: ci sono molte altre aziende, potenzialmente decine o centinaia, che le associazioni di settore — AIN compresa — stanno preparando per cogliere le nuove opportunità, sia in Italia che all’estero.

D: Quali benefici concreti si possono ipotizzare per le aziende manifatturiere italiane, in termini di commesse, sviluppo tecnologico e occupazione, se il nucleare tornasse ad avere un ruolo nel mix energetico nazionale?

R: Diversi studi recenti hanno analizzato l’impatto economico di un ritorno del nucleare in Italia. Tra questi, quello della Piattaforma Nazionale per il Nucleare Sostenibile promossa dal Mase, il rapporto “Il nuovo nucleare in Italia per i cittadini e le imprese” elaborato da The European House Ambrosetti per Edison e Ansaldo Nucleare, e lo studio di Confindustria intitolato “Lo sviluppo dell’energia nucleare nel mix energetico nazionale”. Si stimano benefici significativi: un ritorno diretto e indotto pari al 2,5% del Pil nazionale e la creazione di circa 117mila nuovi posti di lavoro. Oltre al mercato interno, le aziende italiane potranno rafforzare la loro presenza nei grandi progetti nucleari europei, ampliando opportunità e competitività.

D: Dunque parliamo di opportunità anche all’estero? Ci sono margini per un “Made in Italy” nucleare nei mercati internazionali in via di sviluppo o nei paesi dell’Europa orientale che investono in questa tecnologia?

R: Assolutamente sì. Anzi, nel breve periodo le maggiori opportunità per le aziende italiane arriveranno proprio dall’estero. Un mercato chiave è quello dei nuovi reattori avanzati in costruzione in Gran Bretagna e dei sei Epr previsti in Francia.
Gli Epr (European Pressurized Reactor) sono reattori di grande taglia, progettati per garantire elevati standard di sicurezza, efficienza e durata operativa. C’è poi il settore del revamping e della estensione di vita di impianti esistenti in Europa, come nel caso della centrale di Cernavoda in Romania, dove è coinvolta Ansaldo Nucleare. Un’altra grande opportunità arriva dagli Smr (Small Modular Reactor), reattori più piccoli, compatti e flessibili, adatti anche a contesti industriali o territori con domanda energetica più limitata. L’Italia, tra i primi Paesi a investire nello sviluppo degli SMR, può contare su competenze avanzate e infrastrutture di test e qualifica riconosciute a livello internazionale.

D: Tuttavia, di recente Bankitalia ha sostenuto che il nucleare “non ha evidenze di vantaggi di costo rispetto ad altre tecnologie”. Come risponde a questa critica?

R: Il rapporto è stato analizzato con attenzione da Ain, anche perché alcune sue conclusioni vanno in direzione opposta rispetto a quanto sta avvenendo a livello internazionale. Basti pensare che la World Bank ha appena firmato un accordo di collaborazione con l’Iaea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) e ha eliminato il divieto di investire nel nucleare, mentre la Bei (Banca Europea per gli Investimenti) si prepara a fare lo stesso.

La figura mostra come sul mercato elettrico all’ingrosso europeo le tecnologie vengano ordinate rispetto al proprio costo marginale e come il prezzo dell’elettricità venga fissato al costo marginale più alto fra quello delle tecnologie necessarie a coprire la domanda di elettricità stimata. “DSR” si riferisce al Demand Side Response, il meccanismo che prevede una modifica dei consumi elettrici da parte degli utenti su indicazione del proprio fornitore di energia, ai fini di benefici in tariffa. Fonte: Gasparella et al. (2023).

È importante chiarire che lo studio citato non rappresenta la posizione ufficiale di Bankitalia, ma è frutto del lavoro di due suoi ricercatori. Proprio per rispondere punto per punto alle osservazioni, Ain sta preparando un white paper tecnico e documentato. Sul tema dei costi, il paragone con le rinnovabili è improprio, perché non tiene conto di elementi fondamentali: il solare e l’eolico sono fonti intermittenti, mentre il nucleare produce energia continua e programmabile. Inoltre, nello studio non si considerano né i costi degli accumuli necessari per bilanciare le rinnovabili, né quelli per potenziare le reti elettriche che servono a trasportare l’energia prodotta da impianti spesso lontani dai centri di consumo.

D: Sempre secondo lo studio di Bankitalia, i tempi di realizzazione del nucleare sarebbero troppo lunghi. È davvero così?

R: È vero che i tempi possono rappresentare una sfida, ma vanno letti nel giusto contesto. I ritardi registrati nei primi reattori di III generazione costruiti in Occidente dipendono dal fatto che erano le prime unità dopo decenni di pausa, in un’Europa che aveva quasi azzerato la propria capacità industriale nel nucleare. Ma negli stessi anni, in Cina, Russia, Corea del Sud ed Emirati Arabi, reattori simili sono stati completati in soli 5-6 anni. Oggi, anche l’Unione Europea ha compreso la necessità di recuperare il tempo perduto: la crisi energetica ha rimesso il nucleare al centro delle strategie, con l’obiettivo di ricostruire rapidamente competenze e capacità. E non bisogna dimenticare che la flotta nucleare europea che ancora oggi copre circa il 25% della domanda elettrica del continente è stata realizzata in appena due decenni.

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D: Alla luce di questi aspetti, il nucleare è davvero inadatto a sostenere la competitività industriale nel breve-medio termine?

Il grafico mostra l’andamento nel tempo della dipendenza energetica in una selezione di Paesi e nell’Unione Europea. La dipendenza energetica è misurata come rapporto tra il totale di energia netta importata sul totale dell’energia primaria richiesta da ciascun paese. Fonte: elaborazione su dati Eurostat.

R: Al contrario, il nucleare può essere un alleato strategico per la competitività industriale, anche nel medio periodo. Le nuove tecnologie nucleari non producono solo elettricità: possono anche fornire idrogeno, calore per l’industria e acqua desalinizzata, tutti elementi utili in un sistema energetico più integrato e sostenibile. Secondo il rapporto Teha, mantenere una quota di energia prodotta da fonti programmabili — come il nucleare — è essenziale per bilanciare l’intermittenza delle rinnovabili e ridurre i costi complessivi del sistema. Questo dà maggiore stabilità e continuità all’industria, che non può permettersi incertezze sull’energia.

D: Sulla scorta di tutto ciò, perché una azienda manifatturiera dovrebbe investire in una filiera che – secondo lo studio di Bankitalia – potrebbe arrivare “fuori tempo massimo” rispetto alle esigenze attuali di decarbonizzazione e costo dell’energia?

R: Sul tema dei costi, va detto che il nucleare è più competitivo se si usa il parametro giusto, ovvero il Valcoe (Value-Adjusted Levelized Cost of Electricity), che considera non solo il costo puro di produzione, ma anche il valore che una tecnologia offre al sistema elettrico — come stabilità, capacità di risposta alla domanda, affidabilità. Questo è più realistico del semplice Lcoe (Levelized Cost of Electricity), che guarda solo ai costi “nudi” per megawattora. Quanto al “fuori tempo massimo”, non capisco bene il senso di questa affermazione.

Il grafico riporta le emissioni di gas serra (gCO2eq per kWh prodotto) per diverse fonti energetiche. Fonte: Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC (2018)..

Il fatto che in Europa ci siamo dati obiettivi molto ambiziosi al 2030, 2040 e 2050 – fra l’altro da giustificare meglio visto che l’UE conta già solo qualche percento sulle emissioni planetarie – non significa che dopo quelle date il mondo finirà; al contrario occorrerà mantenere la decarbonizzazione per sempre e comunque la transizione energetica prenderà molto più tempo che 20-25 anni. A questo proposito va notato che mediamente gli impianti eolici o solari durano 25 anni mentre un impianto nucleare moderno è progettato per arrivare a 60-80 anni. Ma il punto chiave è un altro.

D: E qual è il punto chiave per comprendere la vicenda?

R: Per raggiungere gli obiettivi estremamente sfidanti che ci siamo dati nell’UE abbiamo bisogno di tutte le tecnologie CO2-free. Lo dice anche il rapporto Draghi e lo dice la stessa IEA e l’Unfccc, la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Se vogliamo avere qualche chance di successo, occorre adottare un approccio neutrale dal punto di vista tecnologico, che preveda il ricorso alle rinnovabili, alle bioenergie, alla cattura e sequestro della CO2, all’idrogeno, ma necessariamente, anche al nucleare.

D: Lei ha affermato che il nucleare richiede una visione di lungo periodo. Cosa comporta concretamente questo per un Paese?

R: Per gli Stati, l’inclusione del nucleare nel proprio mix energetico significa un impegno di lungo periodo, anche ben oltre i 15-20 anni. Il nucleare richiede infrastrutture immateriali da sviluppare e aggiornare nel tempo. Inoltre, un impianto nucleare comporta un ciclo di vita completo – autorizzazioni, realizzazione, commissioning, esercizio, decommissioning, gestione dei rifiuti – che impegna il sistema Paese per almeno un secolo.

D: È realistico chiedere alle imprese di investire in un orizzonte a 15-20 anni, data la rapidità dei cicli economici dell’industria manifatturiera?

R: Nonostante la natura a lungo termine del nucleare, ciò non esclude opportunità anche nel breve periodo. I nuovi progetti nucleari già avviati all’estero, in particolare in Europa, offrono occasioni concrete. L’industria manifatturiera italiana ha la possibilità di inserirsi da subito, come dimostrano gli accordi già siglati da Ain con la filiera nucleare francese, Romatom in Romania e presto con controparti in Polonia e Turchia. Queste azioni permettono alle imprese di cogliere opportunità immediate anche mentre si lavora alla visione di lungo periodo.

Il grafico riporta per tipologia di reattore e range di temperatura raggiungibile, le possibili
applicazioni off-grid (c.d. combined heat and power) della produzione energetica da fonte nucleare.
Fonte: IEA (2025).

D: Cosa si sta facendo a livello nazionale per facilitare il coinvolgimento delle imprese italiane?

R: Per il mercato interno, prima di parlare di commesse bisognerà completare alcune azioni fondamentali: definizione del quadro giuridico e normativo, istituzione dell’autorità di sicurezza, e completamento dello studio di fattibilità previsto da Nuclitalia – la società pubblica costituita nel 2023 su iniziativa del Governo e partecipata da Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo, con il compito di valutare la realizzabilità del rilancio del nucleare in Italia. Tuttavia, il Governo potrebbe già ora coinvolgere l’industria nazionale, ad esempio creando un hub tecnologico dedicato alle aziende che vogliono qualificarsi nel settore nucleare. È una proposta che AIN ha avanzato da tempo e che intende ribadire, insieme ad altre associazioni, come misura urgente di supporto pubblico al nuovo nucleare in Italia.

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D: Molti ritengono che i reattori modulari siano più adatti al tessuto industriale italiano, fatto di Pmi e distretti ad alta specializzazione. Quali segmenti della manifattura italiana possono realmente partecipare a questa tecnologia?

R: Come si diceva i citati Smr sono reattori nucleari di piccole dimensioni, e questo li rende compatibili con molte delle capacità produttive già presenti in Italia. Secondo uno studio recente del Politecnico di Milano, il nostro Paese ha tutte le condizioni per costruire in modo significativo uno dei componenti chiave di questi reattori: il Reactor Pressure Vessel, cioè il contenitore che ospita il nocciolo del reattore. Le imprese manifatturiere italiane, già mappate durante la partecipazione alla Smr-IA (European SMR Industrial Alliance), possono quindi avere un ruolo attivo nella progettazione, sviluppo e costruzione degli Smr. A livello europeo si sta lavorando per creare una filiera industriale coordinata e ben strutturata, coinvolgendo anche i futuri utilizzatori finali, che dovranno indicare le loro esigenze pratiche. Gli Smr, infatti, possono essere impiegati non solo per produrre elettricità, ma anche per co-generazione (elettricità + calore) o tri-generazione (elettricità + calore + freddo), a servizio di industrie, distretti o comunità locali.

D: Ci sono già collaborazioni attive tra imprese italiane e sviluppatori di Smr, o siamo ancora in fase di osservazione?

Il ministro Calenda, pur favorevole al ritorno del nucleare, è scettico sugli Smr, una tecnologia a suo dire ancora poco matura. 

R: Non siamo affatto fermi a guardare: l’Italia è pienamente coinvolta nello sviluppo degli Smr a livello europeo. Alcune industrie italiane stanno guidando direttamente tre dei nove progetti di Smr e Amr (Advanced Modular Reactors) selezionati dalla menzionata Smr-IA. Questo significa che il nostro Paese è già protagonista non solo nella progettazione, ma anche nella certificazione, nella validazione normativa (licensing) e nella costruzione di queste tecnologie. Tuttavia, per valorizzare appieno questo potenziale serve un miglior coordinamento a livello nazionale e un sostegno più deciso da parte delle istituzioni, così da trasformare queste collaborazioni in una vera strategia industriale condivisa.

D: Considerando gli alti investimenti iniziali e i tempi lunghi di ritorno, come possono le aziende manifatturiere italiane entrare nel mercato nucleare senza esporsi a rischi eccessivi? Servono garanzie pubbliche o partenariati?

R: È una domanda centrale. Per le imprese, entrare nel nucleare richiede impegni importanti e ritorni che non sono immediati, quindi servono strumenti di supporto adeguati. A livello europeo esistono già meccanismi pensati proprio per tecnologie complesse e strategiche come il nucleare. Tra questi c’è il Pinc (Nuclear Illustrative Programme), che definisce le priorità per il nucleare nell’Unione, e gli Ipcei (Important Projects of Common European Interest), che permettono di finanziare con fondi pubblici progetti ad alto impatto industriale e innovativo. Inoltre, nel prossimo bilancio europeo 2028–2034, sono previsti due strumenti fondamentali: il nuovo European Competitiveness Fund, che sosterrà le tecnologie chiave per la competitività europea, e l’EU Research Framework, con 175 miliardi di euro destinati alla ricerca e all’innovazione, inclusa la transizione energetica. Questi fondi potranno essere cruciali per ridurre i rischi e incentivare l’ingresso delle aziende italiane nella filiera nucleare.

Intervista al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. La nuova legge sul nucleare potrebbe sbloccare anni di paralisi. Il ministro difende la filiera industriale nazionale, che non si è mai fermata.

D: L’Ain ha un ruolo attivo nel promuovere l’accesso delle imprese italiane a questi strumenti di supporto?

R: Sì, Ain è impegnata attivamente, anche attraverso la rete nucleareurope, in un’azione di lobbying presso Parlamento e Commissione europea affinché una quota significativa di questi fondi sia destinata al nuovo nucleare. Tuttavia, è necessario agire anche sul piano nazionale. Finora, solo una parte della ricerca ha beneficiato di finanziamenti importanti tramite il fondo Mission Innovation. Ain ha più volte sollecitato i ministeri competenti affinché si estenda il supporto anche all’industria, per renderla competitiva sulle nuove tecnologie. Questi argomenti saranno centrali nella giornata Ain di fine anno, alla quale saranno invitate tutte le parti interessate. Ain resta aperta a proposte concrete da parte delle imprese del settore.

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D: Oggi l’Italia non ha ancora un quadro normativo o industriale chiaro sul nucleare. Secondo lei, quanto pesa questa incertezza sulle scelte strategiche delle aziende manifatturiere? Un imprenditore dovrebbe aspettare o iniziare a prepararsi?

R: C’è senz’altro ancora tanto da fare al riguardo ma tenderei a guardare il bicchiere mezzo pieno anziché il mezzo vuoto. Sul lato legislativo, il Governo ha approvato un Ddl quadro, che ora passerà all’esame del Parlamento, che prevede decreti applicativi per le varie infrastrutture di base da emanare entro 12 mesi dall’approvazione del Ddl. Sul versante industriale è stata costituita la citata Nuclitalia. La supply chain italiana si sta organizzando a livello europeo e bilaterale. Tutti segnali che convergono verso l’assunzione di decisioni importanti. Certo, bisogna accelerare su tutte le varie azioni perché certamente le aziende manifatturiere non possono aspettare all’infinito. In ogni caso raccomanderei a queste industrie, se non l’hanno già fatto, di muoversi da subito per progetti all’estero. L’Ain è già attiva coi propri associati ed è pronta a supportare anche altre industrie interessate in questo percorso.



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