Il nuovo ceo di Cdp Venture presenta le priorità della sgr che ha investito in oltre 1000 startup italiane: «In Italia scarseggiano i round di importo elevato, servono più capitali privati»
«Le startup italiane oggi non hanno più difficoltà a trovare capitali per partire, il problema nasce quando devono raccogliere somme maggiori di denaro per diventare grandi e competitive a livello globale: è qui che vogliamo intervenire». Dopo 25 anni di carriera nel settore, a fine maggio Emanuele Levi è diventato amministratore delegato di Cdp Venture Capital. Dal suo avvio, la società di Cdp e Invitalia ha investito circa 2,1 miliardi su un totale di 4,7 in gestione, sostenendo oltre 1000 startup e più di 40 fondi italiani e internazionali. «Come principale attore del venture capital italiano, vogliamo fungere da motore dell’evoluzione dell’industria nazionale, attraendo più capitali da investitori privati come fondi pensione e casse previdenziali e favorendo il rafforzamento di gestori italiani», sottolinea Levi, anticipando importanti operazioni su startup attive nell’intelligenza artificiale e nella transizione energetica.
Quanto ha investito Cdp Venture Capital nel 2025?
«Quest’anno abbiamo già approvato investimenti per 417 milioni (+40%) e partecipato a circa la metà dei round chiusi da startup italiane o create da imprenditori italiani».
Il valore degli investimenti nelle startup italiane è però sceso del 31% nel primo semestre: che segnale è?
«Il venture capital è in frenata in tutta Europa a causa dell’incertezza economica e geopolitica. In Italia stanno scarseggiando i round di grandi dimensioni ed è un campanello di allarme: le startup hanno bisogno di raccogliere capitali in più fasi e, se ne viene a mancare una, si crea un collo di bottiglia che ne arresta lo sviluppo».
Come interverrete? Rivedendo il piano industriale?
«Lavoreremo a un aggiornamento del piano, anche alla luce del nuovo contesto di mercato. Ora, però, la priorità è approntare uno strumento che consenta a fondi pensione ed enti previdenziali di approfittare degli incentivi fiscali appena approvati per gli investimenti in venture capital e catalizzare capitali privati verso il mercato. Entro l’autunno costituiremo un fondo Previdentia che porterà nuove risorse a sostegno della raccolta dei gestori italiani».
Sinora casse e fondi pensione hanno guardato con sospetto al venture capital perché giudicato troppo rischioso e, quando hanno investito, si sono spesso rivolti a gestori americani: perché?
«Credo che i fondi di venture capital europei e italiani abbiano ormai dimostrato la loro capacità e i migliori stanno dando rendimenti superiori anche ai rivali statunitensi. L’investimento nelle startup è peraltro coerente con le strategie e i tempi di fondi pensione ed enti previdenziali. E con la loro missione di garantire le pensioni degli italiani, collegata all’andamento dell’economia, che ha necessità di aziende innovative e competitive nel mondo».
Cosa manca allora?
«Bisogna solo creare fiducia fra gestori e investitori italiani e, favorendo un primo contatto, il nostro prossimo fondo può aiutare a innescare questo circolo virtuoso».
Servono fondi più grandi per startup più grandi?
«La tendenza è già evidente in Europa e anche in Italia c’è bisogno di consolidamento fra gestori che devono raccogliere più denaro e specializzarsi per essere più competitivi nel Paese e fuori. Qualcosa si sta muovendo, ma lentamente. Come principale sottoscrittore dei fondi di venture capital italiano, pur nel rispetto dell’autonomia imprenditoriale, vediamo favorevolmente queste aggregazioni».
Ma farete anche direttamente grandi investimenti in una o più startup?
«Sì, stiamo valutando di fare alcune grandi operazioni per sostenere startup che possono diventare campioni europei nel loro settore. Mi riferisco, in particolare, all’intelligenza artificiale e alla transizione energetica».
A proposito, come procede il fondo dedicato all’AI?
«Abbiamo approvato 60 dei 100 milioni di investimenti previsti per il 2025. Circa 50 milioni sono andati a sostegno di startup già esistenti e in fase di crescita, mentre altri 10 a supporto del polo di trasferimento tecnologico per l’AI appena costituito per sostenere il passaggio dalla ricerca all’impresa. Come detto, stiamo anche valutando alcune startup interessanti che potrebbero diventare campioni italiani ed europei a cui destinare somme importanti».
Ma quanto avete ancora da spendere?
«Abbiamo investito circa 2,1 dei 4,7 miliardi che abbiamo in gestione, sostenendo oltre 1000 startup e più di 40fondi italiani e internazionali. In particolare, il coinvolgimento di gestori internazionali è un elemento cruciale per garantire l’accesso a capitali maggiori, e con il fondo di fondi internazionale, abbiamo constatato che ogni euro investito su gestori esteri ha sinora portato a più di 6 euro di investimenti in startup italiane, favorendo peraltro l’approdo sul mercato italiano di altri investitori stranieri».
Sul mercato c’è chi vi rimprovera di investire, anche cifre basse, in troppe startup: non c’è il rischio di disperdere risorse finanziarie e umane?
«Cdp Venture Capital è il risultato di una serie di iniziative lanciate in fasi diverse, e quindi con scopi diversi: gestiamo per esempio un fondo partito nel 2020 per sostenere le startup nel periodo della pandemia. La stratificazione ha creato differenti strategie di investimento. C’è però un lavoro di razionalizzazione iniziato già nella precedente gestione, con una focalizzazione degli investimenti e un’attenzione alla qualità per generare ritorni per gli investitori e impatto economico per il Paese.
Come?
Ora lavoreremo soprattutto su operazioni più grandi senza però mai abbandonare il sostegno al trasferimento tecnologico, alla rete degli acceleratori e alle nuove iniziative imprenditoriali, che sono indispensabili per lo sviluppo di startup italiane di qualità».
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