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La Settimana Economica | n. 30/2025


Negli Stati Uniti, la Fed ha mantenuto fermi i tassi, mentre i mercati attendono dati importanti su crescita e inflazione. Cresce però l’incertezza: dal 1° agosto potrebbero scattare nuovi dazi del 30% contro Europa e Messico, alimentando rischi per consumi e investimenti.

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In Europa, la BCE ha sospeso i tagli ai tassi, ma resta pronta a intervenire in autunno se i dazi statunitensi o l’euro troppo forte rallentassero la ripresa. I dati economici sono misti, con segnali di stabilità in molti settori ma ancora debolezze in Germania.

A livello globale, la crescita tiene: la Cina ha compensato il calo dell’export verso gli USA aumentando le vendite verso Asia e Sud America, mentre l’Organizzazione Mondiale del Commercio ha rivisto al rialzo le stime sul commercio mondiale.

In sintesi, l’economia globale ha resistito meglio del previsto. Ma i prossimi mesi — tra dazi, tassi d’interesse e crisi politiche — saranno un vero test di tenuta.

MERCATI FINANZIARI

FTSE MIB: 40599,58, +0,71% questa settimana, +18,20% da inizio anno

STOXX 600: 549,96 punti, +0,70% questa settimana, +8,23% da inizio anno 

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DAX: 24217,50, -0,46% questa settimana, +21,48% da inizio anno 

IBEX: 14237,29,  +1,58% questa settimana, +22,47% da inizio anno 

CAC: 7834,59, +0,47% questa settimana, +6,03% da inizio anno 

NASDAQ: 2108,31, +1,02% questa settimana, +8,78% da inizio anno 

SP 500: 6388,65, +1,45% questa settimana, +8,22% da inizio anno 

US10Y: 4,39%, -3 punti base questa settimana, -18 punti base da inizio anno 

US02Y: 3,92%, +4 punti base questa settimana, -33 punti base da inizio anno 

US10Y-US02Y: 0,49%, -8,4 punti base questa settimana, +15 punti base da inizio anno

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

IT10Y: 3,56%, +3 punti base questa settimana, +1 punto base da inizio anno 

SPREAD: 85,70 punti base, -2,9 punti base questa settimana, -31,4 punti base da inizio anno 

VIX: 14,92, -9,02% questa settimana, -13,31% da inizio anno

BTC: $117214, -0,11% questa settimana, +25,57% da inizio anno

FOCUS DELLA SETTIMANA 

Stati Uniti: resilienza tra rallentamento e incertezza tariffaria

L’economia statunitense mostra segnali di rallentamento, ma continua a sorprendere per la sua resilienza. Secondo il Conference Board, il Leading Economic Index (LEI) – un indicatore anticipatore basato su dieci componenti macroeconomiche – ha registrato a giugno un calo dello 0,3%, peggiore delle attese degli analisti, dopo una contrazione del 2,8% nel primo semestre del 2025. Il dato riflette il peggioramento delle aspettative dei consumatori, l’indebolimento dell’attività manifatturiera e l’aumento delle richieste di sussidi di disoccupazione, nonostante il sostegno dei mercati azionari.

L’effetto cumulativo delle nuove tariffe commerciali, secondo Justyna Zabinska-La Monica del Conference Board, si tradurrà in prezzi più elevati, frenando gradualmente la spesa delle famiglie. Tuttavia, la domanda interna regge: le vendite al dettaglio hanno superato le attese, il sentiment dei consumatori – in ripresa dopo il crollo di aprile – si sta rafforzando e il mercato azionario ha toccato nuovi massimi. L’inflazione, pur restando sopra l’obiettivo, non ha ancora mostrato l’accelerazione temuta, mentre il tasso di disoccupazione si mantiene al 4,1%.

In questo contesto, la politica commerciale dell’amministrazione Trump rappresenta una variabile critica. Dopo il rinvio delle tariffe annunciate ad aprile, la Casa Bianca ha rilanciato l’ipotesi di dazi del 30% su importazioni da Unione Europea e Messico a partire dal 1° agosto. Parallelamente, si sta negoziando un nuovo modello tariffario globale basato su accordi bilaterali con un’aliquota del 15%. Il Giappone ha già accettato questo schema, mentre un’intesa con Bruxelles sembra possibile, anche se subordinata alla firma finale del presidente Trump.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Le tensioni restano elevate: Canada e Messico rischiano tariffe fino al 35% in assenza di accordi entro la scadenza, mentre la Cina – già colpita da dazi del 30% – potrebbe subire ulteriori aumenti a metà agosto. Le imprese globali reagiscono con cautela, congelando investimenti in attesa di chiarezza. Nel frattempo, gli economisti avvertono che i nuovi dazi rischiano di alimentare l’inflazione interna, soprattutto nel settore automobilistico, dove l’accordo con il Giappone è percepito come penalizzante per i produttori nordamericani.

Sul fronte monetario, la Federal Reserve si trova in una posizione delicata. Malgrado le pressioni del presidente Trump per un taglio dei tassi fino all’1%, l’istituto centrale mantiene un orientamento cauto. Secondo le sue analisi, l’attuale politica rimane moderatamente restrittiva rispetto al tasso neutrale di lungo termine, ma le condizioni finanziarie – grazie al rally azionario, al dollaro debole e alla discesa dei prezzi del petrolio – sono tra le più accomodanti degli ultimi tre anni. In altre parole, la stretta monetaria è meno severa di quanto sembri, e un taglio dei tassi nel breve periodo potrebbe risultare imprudente, rischiando di alimentare eccessi nei mercati finanziari e nelle asset class speculative.

Nel complesso, la traiettoria dell’economia americana dipenderà in larga misura dalle prossime decisioni politiche e dalla risposta dei mercati ai nuovi assetti commerciali. Se la resilienza dei consumi e dei mercati finanziari dovesse proseguire, lo scenario recessivo potrebbe essere evitato. Tuttavia, come nel biennio 2018–2019, gli effetti delle politiche tariffarie più aggressive potrebbero emergere con ritardo, amplificando l’incertezza per la seconda parte dell’anno.

Unione Europea: riforma di bilancio e segnali di slancio economico

La Commissione Europea ha presentato una proposta ambiziosa per il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale 2028–2034, pari a circa 1.984 miliardi di euro (a prezzi correnti), ovvero l’1,26% del Reddito Nazionale Lordo dell’Unione (RNL). Pur rappresentando un incremento rispetto all’1,1% dell’attuale bilancio, l’aumento reale delle risorse per le politiche UE – al netto del rimborso del debito legato al Next Generation EU – è limitato a soli +0,04% del RNL. Il vero cambiamento, però, è di natura strutturale: la Commissione propone una riforma radicale dell’architettura di spesa, riducendo il numero dei programmi da 52 a 16, per rendere l’azione europea più semplice, rapida e flessibile.

I nuovi pilastri dell’impianto finanziario includono meno burocrazia, maggiore flessibilità nell’affrontare crisi, strumenti su misura per Stati e regioni, e una decisa accelerazione su difesa, innovazione ed energia. Per finanziare queste priorità, Bruxelles propone cinque nuove entrate proprie, di circa €58,5 miliardi l’anno, che permetteranno di ridurre il carico sui bilanci nazionali: tra queste, spiccano il sistema ETS (€9,6 miliardi l’anno), la tassa CBAM sulle emissioni incorporate (€1,4 mld), un contributo sui rifiuti elettronici (€15 mld), accise sul tabacco (€11,2 mld) e un prelievo sulle grandi aziende (€6,8 mld).

Le aree di investimento subiranno importanti ricalibrature. La difesa beneficerà di €131 miliardi, con un aumento del 500%, così come il settore digitale (€54,8 miliardi) e l’energia (€30 miliardi, quintuplicati rispetto all’attuale dotazione). Quasi raddoppiati i fondi per la ricerca (€175 miliardi per Horizon Europe), mentre Erasmus+ crescerà del 50%, superando i €40 miliardi. Al centro dell’agenda geopolitica figura anche l’Ucraina, con uno stanziamento da €100 miliardi per ricostruzione e adesione all’UE.

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Tuttavia, non mancano i settori penalizzati. I fondi per agricoltura e pesca scenderanno da €386 a €300 miliardi, con la PAC accorpata ad altri strumenti, riducendone la prevedibilità. Anche la biodiversità subirà tagli, con l’eliminazione dei fondi dedicati, inglobati nel macro-target “ambiente e clima”, pari al 35% del budget complessivo. Sul fronte fiscale, i fumatori saranno tra i più colpiti: si prevedono rincari fino a €1–2 per pacchetto di sigarette.

Il percorso politico della proposta sarà complesso: servirà l’unanimità in Consiglio UE e l’approvazione del Parlamento europeo, in un contesto di crescenti divergenze tra Stati membri. Come sottolineato dalla presidente Ursula von der Leyen, si tratta del “budget più ambizioso mai proposto”, ma resta da capire se sarà confermato o ridimensionato nei mesi di negoziati.

Sul fronte congiunturale, i dati macroeconomici offrono un moderato ottimismo. A luglio, l’attività economica dell’eurozona è cresciuta più del previsto: il PMI composito flash è salito a 51,0 – massimo da quasi un anno – trainato dal settore dei servizi (PMI a 51,2) e da segnali di stabilizzazione nel manifatturiero (PMI a 49,8, miglior dato da tre anni). L’inflazione, intanto, è scesa ai minimi da nove mesi, ben sotto la media storica.

Secondo Cyrus de la Rubia (Hamburg Commercial Bank), l’economia dell’Eurozona sta gradualmente riacquistando slancio, con robuste stime di crescita nel terzo trimestre. La disinflazione nei servizi, combinata alla forza dell’euro e all’effetto calmierante delle tariffe, potrebbe favorire ulteriormente la stabilizzazione dei prezzi. Questo contesto rafforza le aspettative di una BCE in modalità “attesa”, ma pronta a intervenire se le tensioni commerciali con gli Stati Uniti dovessero peggiorare nei prossimi mesi.

Germania: consumi deboli, ripresa incerta ma segnali di stabilizzazione

In Germania, l’incertezza economica e la pressione dei prezzi continuano a pesare sul morale delle famiglie. L’indice GfK-NIM, sul clima dei consumatori, cioè la loro fiducia nei confronti dell’economia tedesca, è sceso per il secondo mese consecutivo, attestandosi a –21,5 nella previsione per agosto, ben al di sotto delle attese (–20,0). Secondo Rolf Buerkl (NIM), il peggioramento riflette la persistente cautela dei cittadini, che preferiscono trattenere la spesa – soprattutto per beni durevoli – in un contesto ancora instabile. Anche se l’inflazione è rientrata al 2,0% a giugno, i prezzi alimentari restano elevati, contribuendo a mantenere alto il livello di incertezza.

Le aspettative economiche si sono nuovamente indebolite dopo cinque mesi di miglioramento, complice la minaccia di nuove tariffe da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, si registra un primo segnale positivo: le aspettative di reddito sono in lieve miglioramento, spinte dagli aumenti salariali, dagli adeguamenti pensionistici e da un’inflazione in raffreddamento.

A livello politico, il dibattito sul bilancio pubblico si intensifica. I socialdemocratici dell’SPD spingono per allentare il freno costituzionale all’indebitamento – il cosiddetto “debt brake” – per liberare risorse a favore degli investimenti pubblici. Il vicecancelliere Lars Klingbeil ha richiamato la CDU/CSU al rispetto del contratto di coalizione, ma una modifica costituzionale richiede il sostegno anche di Verdi e Sinistra, il che mette i conservatori in una posizione politicamente delicata.

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Nel frattempo, il governo ha imposto una linea di austerità in vista dei deficit previsti per il 2027: tutti i ministeri sono stati invitati a individuare margini di risparmio immediato. Fa eccezione il settore della Difesa: il ministro Boris Pistorius ha ottenuto un incremento della spesa a €62,4 miliardi nel 2025, con un piano di crescita progressiva fino a €93,3 miliardi nel 2027, pari al 3,5% del PIL entro il 2029.

Sul fronte congiunturale, i dati offrono un quadro misto ma non privo di spunti incoraggianti. L’attività economica tedesca è cresciuta marginalmente a luglio: il PMI composito HCOB si è attestato a 50,3, in lieve calo da giugno (50,4), ma ancora sopra la soglia di espansione. Il settore dei servizi ha mostrato segni di stabilizzazione, con un PMI a 50,1 – il livello più alto da quattro mesi – mentre la produzione manifatturiera, pur restando in area negativa (PMI a 49,2), ha registrato il quinto mese consecutivo di espansione.

Secondo Cyrus de la Rubia (Hamburg Commercial Bank), questi segnali suggeriscono un cauto ottimismo, supportato dall’aumento dei salari reali e dalla possibilità di una politica fiscale più accomodante nei mesi a venire. Anche la fiducia delle imprese mostra un lieve miglioramento: l’indice Ifo è salito a 88,6 da 88,4, pur rimanendo sotto le attese di mercato (89,0). Le aziende appaiono più soddisfatte delle condizioni attuali, ma restano prudenti sul futuro, condizionate dall’incertezza geopolitica e dalle tensioni commerciali con gli Stati Uniti.

Regno Unito: crescita debole, inflazione ostinata e sfide fiscali crescenti

Il Regno Unito affronta una combinazione delicata di vincoli fiscali, inflazione elevata e fragilità economica. A giugno, il prestito pubblico ha raggiunto i 20,7 miliardi di sterline, secondo dato mensile più alto dopo il picco pandemico del 2020. L’impennata è stata causata da interessi straordinari (16,4 miliardi), legati all’indicizzazione all’inflazione e all’aumento dei rendimenti. Il dato ha superato di 3,5 miliardi le previsioni ufficiali.

Nonostante ciò, la cancelliera Rachel Reeves ha ribadito l’intenzione di rispettare le regole fiscali, che prevedono un calo del debito/PIL in cinque anni e prestiti limitati agli investimenti produttivi. Tuttavia, il governo ha già dovuto rivedere alcuni tagli al welfare, sotto la pressione dell’opinione pubblica.

Il governatore della Bank of England, AndrewBailey, ha definito l’aumento dei rendimenti un fenomeno globale, respingendo le critiche alla regolamentazione bancaria, che ha invece difeso come garanzia di stabilità.

Le vendite al dettaglio sono cresciute dello 0,9% a giugno, dopo il calo di maggio (–2,8%), ma la fiducia dei consumatori resta bassa, frenata dall’inflazione (3,6%), dal rallentamento del mercato del lavoro e dalle incertezze internazionali. La propensione al risparmio rimane alta, limitando così la ripresa della domanda interna.

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Nel complesso, il secondo trimestre si è chiuso con una crescita dei consumi dello 0,2%, insufficiente a rilanciare l’economia, che ha mostrato segnali di contrazione ad aprile e maggio. Secondo molti analisti, senza un sostegno più deciso, la ripresa britannica potrebbe restare debole.

BCE: pausa tattica, ma le pressioni esterne potrebbero riaprire il ciclo dei tagli

La Banca Centrale Europea si appresta a mantenere invariati i tassi d’interesse nella riunione di giovedì, segnando una pausa dopo otto tagli consecutivi che hanno portato il tasso di deposito al 2%, in calo dal massimo storico del 4%. L’attuale tregua monetaria riflette un miglioramento dell’equilibrio macroeconomico dell’eurozona: l’inflazione è tornata al target del 2% a giugno, mentre la crescita del PIL nel primo trimestre ha sorpreso al rialzo con un +0,6%. Tuttavia, questo rimbalzo è stato in parte determinato da spedizioni accelerate in vista di possibili nuove tariffe statunitensi.

Un altro elemento che complica il quadro è il rafforzamento dell’euro, salito del 15% da inizio anno e attualmente attestato a 1,17 contro il dollaro. Questo apprezzamento sta contribuendo a contenere l’inflazione importata, ma rischia anche di erodere la competitività dell’export europeo, già minacciato dai dazi. Il vicepresidente della BCE, Luis de Guindos, ha avvertito che un superamento della soglia di 1,20 potrebbe diventare “molto più complicato” per la politica monetaria, anche se la BCE formalmente non persegue un obiettivo di cambio.

Gli analisti ritengono che Francoforte attenderà i dati autunnali prima di decidere la prossima mossa, mantenendo un profilo di “data-dependency“. Le probabilità di un nuovo taglio a settembre restano elevate, ma condizionate dagli sviluppi geopolitici e dai riflessi delle tariffe sulla domanda interna. Intanto, il confronto con la Federal Reserve è sempre più evidente: la banca centrale statunitense ha mantenuto i tassi fermi da dicembre e, nonostante le pressioni politiche di Trump per una riduzione aggressiva, i mercati attribuiscono solo una probabilità del 58% a un taglio a settembre.

In sintesi, la BCE si trova in una posizione di attesa strategica, bilanciando tra la necessità di consolidare i progressi sul fronte inflazione e il rischio di shock esterni derivanti dalla politica commerciale americana. Un contesto incerto che potrebbe richiedere risposte rapide già nel prossimo autunno.

PROSPETTIVE

Nonostante le tensioni geopolitiche, l’inasprimento delle tariffe e l’incertezza monetaria, l’economia globale ha finora mostrato una sorprendente capacità di adattamento. Tuttavia, questa resilienza — pur evidente nei dati su crescita, occupazione e commercio — verrà messa alla prova nei prossimi mesi, con variabili politiche e finanziarie cruciali all’orizzonte.

La settimana entrante rappresenta un passaggio decisivo per tastare il polso della congiuntura. Negli Stati Uniti, la Federal Reserve dovrebbe lasciare invariati i tassi nel range 4,25%–4,5%, resistendo (per ora) alle pressioni di Trump per un taglio. I mercati guarderanno a dati su PIL, inflazione PCE, occupazione e fiducia per valutare se a settembre si potrà concretizzare un allentamento. Sullo sfondo, la scadenza del 1° agosto: dazi del 30% su Europa e Messico potrebbero frenare crescita e inflazione.

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In Europa, la BCE ha sospeso il ciclo di tagli dopo otto riduzioni, mantenendo il tasso al 2%. Una pausa giustificata da inflazione tornata al target e da una crescita sopra le attese (+0,6% nel primo trimestre). Tuttavia, la BCE resta pronta a intervenire in autunno, specie se i dazi USA verranno confermati o l’euro — già salito del 15% — continuerà ad apprezzarsi.

La Cina, pur penalizzata dalla contrazione dell’export verso gli USA, ha riorientato i flussi verso Asia, Africa e America Latina, mentre l’Europa registra segnali positivi a livello industriale. 

Tuttavia, la Germania continua a inviare segnali misti: domanda interna debole, fiducia bassa, e incertezze politiche sul freno al debito, parzialmente bilanciate da aumenti salariali e investimenti nella difesa.

A livello sistemico, il modello multilaterale appare sotto pressione, sostituito da regionalizzazione spinta e dazi selettivi come nuovo standard. I negoziati USA–Cina e l’accordo con il Giappone confermano questa tendenza, rendendo improbabile un ritorno al WTO. Le catene del valore rischiano così una crescente frammentazione.

In definitiva, la resilienza di famiglie e imprese resta un cuscinetto importante, ma non illimitato. I dati del primo semestre — con crescita globale al 2,4%, vendite solide e inflazione in calo — segnalano una tenuta sopra le attese. Tuttavia, l’indebolimento degli indicatori anticipatori (come il LEI USA), l’incertezza sull’inflazione e i rischi tariffari mostrano un percorso fragile.

Le prossime settimane saranno cruciali: dalla riunione della Fed alla risposta europea ai dazi, fino ai colloqui con la Cina, ogni scelta influenzerà la traiettoria globale. Il compito dei policy maker sarà bilanciare prudenza e reattività. Solo così la resilienza potrà evolversi in una ripresa solida, evitando che nuove turbolenze o errori strategici compromettano la stabilità economica.



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