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Il Canada estromette Hikvision: un punto di svolta nella geopolitica della sicurezza


Il Canada ha bandito Hikvision per motivi di sicurezza nazionale, segnando un’escalation nella sfiducia globale verso la tecnologia cinese.

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Nonostante le smentite dell’azienda, il caso evidenzia i rischi di spionaggio e dipendenza, esacerbati dalla legge cinese sull’intelligence e dall’uso della tecnologia per il controllo nello Xinjiang.

La decisione di Ottawa rafforza la necessità di vigilanza sulla sovranità tecnologica, un monito per Stati come l’Italia e l’Ue di fronte a minacce geoeconomiche.

Il Canada mette al bando di Hikvision: i motivi

Il governo canadese ha sferrato un colpo significativo a Hikvision, il colosso cinese della videosorveglianza, ordinando l’immediata cessazione di ogni operatività sul proprio territorio nazionale.

Questo provvedimento drastico, ufficialmente motivato da “gravi pericoli per la sicurezza nazionale”, non solo sancisce la chiusura delle filiali canadesi dell’azienda, ma proibisce tassativamente a tutte le agenzie governative l’acquisto o l’utilizzo dei suoi prodotti.

Nonostante la decisa opposizione di Hikvision, che ha bollato la mossa come “priva di fondamento oggettivo” e “guidata da pregiudizi geopolitici”, l’iniziativa di Ottawa si inserisce in un quadro globale di crescente sfiducia verso i fornitori tecnologici cinesi.

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Tale sfiducia non è frutto di mero opportunismo. Ma scaturisce da comprovati legami con le autorità di Pechino, dalle profonde implicazioni per la protezione dei dati sensibili e dalle palesi vulnerabilità che tali tecnologie possono introdurre nelle infrastrutture critiche occidentali.

La determinazione del Canada riflette un dibattito ben più articolato, che ingloba le sistematiche violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, abilmente facilitate dalla sorveglianza di massa, e una legislazione cinese sull’intelligence che impone una cooperazione inequivocabile con lo Stato, sollevando tangibili timori di spionaggio o sabotaggio.

I precedenti nei Paesi del G7

Usa, Regno Unito e d Australia hanno già adottato misure restrittive simili.

Anche l’Italia si è confrontata con la problematica presenza di telecamere Hikvision in siti governativi strategici, mentre le istituzioni dell’Unione europea, sebbene non abbia ancora imposto un divieto generalizzato, manifestano serie preoccupazioni sui pericoli latenti di questa tecnologia.

La determinazione canadese: sicurezza strategica come priorità assoluta

La ministra dell’Industria Melanie Joly ha affermato con chiarezza che “la permanenza delle attività di Hikvision Canada Inc. sul suolo canadese rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza nazionale del Canada”.

Questa ferma conclusione deriva da una “minuziosa analisi delle informazioni e delle evidenze fornite dalla comunità di sicurezza e intelligence canadese”, evidenziando una valutazione di rischio intrinseca.

Sebbene la natura specifica delle minacce non sia stata divulgata pubblicamente, il messaggio è cristallino: la cyber sicurezza e la salvaguardia delle informazioni sensibili sono considerate principi inderogabili.

Le accuse del Canada contro Hikvision

Hikvision, entità principale di Hangzhou Hikvision Digital Technology Co, è un nome ricorrente nelle accuse globali.

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Gli Usa, in particolare, le hanno inflitto sanzioni e restrizioni significative a causa del suo comprovato coinvolgimento nell’abilitazione della sorveglianza di massa nella regione cinese dello Xinjiang, dove numerose organizzazioni per i diritti umani hanno documentato meticolosamente abusi sistematici contro la popolazione uigura ed altre comunità musulmane.

La dura replica di Hikvision alla decisione canadese, definendola priva di “basi fattuali, equità procedurale e trasparenza” e attribuendola a “tensioni geopolitiche più ampie e a un pregiudizio infondato contro le aziende cinesi”, rivela la sua strategia difensiva, volta a delegittimare le preoccupazioni di sicurezza come semplici frizioni politiche.

Intelligence cinese e la fusione civile-militare: un rischio sistemico

Le preoccupazioni per la sicurezza nazionale, messe in evidenza da Ottawa e da altre capitali, trovano un fondamento strutturale non solo nella legislazione cinese, ma anche nelle sue strategie di sviluppo a lungo termine.

La legislazione sull’intelligence cinese e la fusione civile-militare rappresentano infatti un rischio sistemico di ingegneria tecnologica statale.

Le preoccupazioni per la sicurezza nazionale, messe in evidenza da Ottawa e da altre capitali, trovano un fondamento strutturale non solo nella legislazione cinese, ma anche nelle sue strategie di sviluppo a lungo termine.

La Legge sull’Intelligence Nazionale (NIL), promulgata nel 2017, impone a tutte le organizzazioni e a tutti i cittadini cinesi un obbligo inderogabile e inequivocabile di cooperare con le autorità governative in materia di sicurezza.

Questa norma, in particolare alcuni suoi articoli, rinforza drasticamente l’argomento che la presenza di aziende cinesi nelle infrastrutture critiche di qualsiasi nazione può costituire un rischio sistemico per il controllo dei dati e l’accesso alle informazioni sensibili.
I principali articoli della NIL stabiliscono che:

  • articolo 7: delinea un requisito imprescindibile di cooperazione per tutte le organizzazioni e i cittadini con gli sforzi di intelligence nazionale;
  • articolo 9: incentiva attivamente tale cooperazione attraverso elogi e ricompense.
  • articolo 12: conferisce alle istituzioni di intelligence il potere di stabilire “rapporti di cooperazione” e di “incaricarli di svolgere lavoro correlato” con entità private.
  • art. 14:pPermette alle istituzioni di intelligence di richiedere “il supporto, l’assistenza e la cooperazione necessari”, trasformando tali richieste in obblighi giuridici vincolanti se interpretati congiuntamente all’Articolo 7.

Fusione civile-militare: normativa dalla portata globale

La portata di questa normativa è globale. Si estende a tutti i gruppi cinesi, comprese le filiali estere, indipendentemente dalla loro collocazione geografica.

Riguarda inoltre tutte le organizzazioni stabilite in Cina, a prescindere dalla proprietà (privata, pubblica o straniera), e si applica a tutti i cittadini cinesi, anche quando risiedono al di fuori del Paese.

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Questo imponente impianto normativo si inquadra nella più ampia e strategicamente cruciale dottrina cinese della fusione civile-militare (MCF – Military-Civil Fusion).

Si tratta di un programma ambizioso finalizzato a trasformare l’Esercito popolare di liberazione (PLA) in una forza militare di prim’ordine mondiale entro il 2049. Attraverso la MCF, il Partito comunista cinese (Pcc) sta riorganizzando sistematicamente l’intero apparato scientifico e tecnologico del Paese per assicurare che le nuove innovazioni contribuiscano simultaneamente allo sviluppo economico e al rafforzamento delle capacità militari.

La Cina persegue la MCF per “fondere” le sue strategie di crescita economica e sociale con quelle di sicurezza, costruendo un sistema nazionale integrato a supporto degli obiettivi di “ringiovanimento nazionale”.

Il Pcc considera la MCF un pilastro fondamentale per la realizzazione delle sue ambizioni regionali e globali, convinto che l’intelligenza artificiale sarà il motore della prossima rivoluzione negli affari militari e che la nazione che per prima riuscirà ad applicarla alla guerra di prossima generazione conseguirà il dominio militare.

La MCF, pertanto, mira a spianare la strada alla Cina per essere la prima potenza a transitare verso la “guerra intelligente” e a sviluppare le capacità militari ritenute indispensabili per il conseguimento di questi obiettivi strategici.

Il rischio infiltrazione

In questo contesto normativo e strategico pervasivo, l’ingresso di qualsiasi società cinese fornitrice di tecnologia (ad esempio nel settore 5G o della sorveglianza) nel mercato interno di uno Stato può essere interpretato come un’autorizzazione a una potenziale infiltrazione da parte di Pechino, gettando le basi per la creazione di dipendenze tecnologiche a lungo termine e l’accesso a ingenti volumi di dati degli utenti.

Le aziende ICT cinesi, spesso pioniere nei mercati emergenti con offerte estremamente competitive, riescono a “bloccare” gli utenti, definendo standard tecnici che modelleranno la struttura a lungo termine delle economie digitali e la loro inevitabile dipendenza da Pechino.

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Questi strumenti, venduti sotto la facciata di progetti di “città intelligenti”, possono includere avanzate tecnologie di sorveglianza, riconoscimento facciale e sistemi integrati di tracciamento sociale che aggregano dati significativi dei cittadini, replicando così all’estero gli stessi meccanismi di controllo già ampiamente utilizzati in Cina.

Reazione globale: il caso Italia e le apprensioni europee

La decisione canadese si inserisce in un modello di crescente scetticismo globale verso i fornitori di tecnologia cinesi, in particolare Hikvision, costantemente al centro dell’attenzione:

  • Stati Uniti: hanno guidato le misure più drastiche. Dal 2019, Hikvision è nella “Entity List” del Dipartimento del Commercio. Nel 2022, la FCC ha vietato vendita e importazione di nuovi prodotti Hikvision.
  • Regno Unito: ha imposto divieti su nuove installazioni Hikvision in siti governativi sensibili.
  • Australia e Nuova Zelanda: hanno limitato l’uso di telecamere Hikvision in contesti governativi e critici.
  • altri Paesi:dDiverse nazioni occidentali riconsiderano la dipendenza da tecnologie di sorveglianza cinesi.

Il caso Italia: nuove barriere normative contro l’infiltrazione tecnologica

Anche l’Italia ha affrontato questa spinosa questione. Inchieste hanno rivelato telecamere Hikvision in siti sensibili, inclusa la sede del governo. Particolare apprensione ha generato la scoperta di telecamere, anche a Fiumicino, che inviavano milioni di richieste di connessione esterne, suggerendo esfiltrazione dati o attacchi cibernetici.

Hikvision Italia, seppur appartenente a una holding europea, è legata alla statale cinese CETC.

A fronte di ciò, a maggio è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale un decreto del Presidente del Consiglio che stabilisce precisi confini all’installazione di tecnologia proveniente da Paesi non inclusi nel perimetro di sicurezza nazionale.

Sebbene non nomini esplicitamente la Cina, il riferimento è palese. Per anni, la tecnologia cinese ha penetrato la Pubblica Amministrazione italiana con offerte estremamente vantaggiose.

Molti analisti interpretano questa capacità cinese di mantenere costi così bassi come un vantaggio strategico di Pechino, parte di una “guerra ibrida” per diffondere tecnologia potenzialmente vulnerabile.

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Il paradigma del libero mercato, che privilegiava la mera convenienza economica, non è più sostenibile. Il governo italiano ha quindi avviato una revisione e un potenziale inasprimento delle normative sulle telecamere di sorveglianza in siti critici.

Le apprensioni nell’Unione Europea: vulnerabilità persistenti

A livello UE, sebbene manchi un divieto uniforme, le preoccupazioni sono elevate:

  • vulnerabilità tecnologiche: le telecamere Hikvision presentano vulnerabilità sfruttabili per accessi non autorizzati o codici malevoli.
  • conformità al GDPR: nonostante le giustificazioni di Hikvision, permangono timori sull’esfiltrazione dati e il controllo cinese, a causa della NIL.
  • Diffusione in infrastrutture sensibili: Hikvision e Dahua sono ancora ampiamente usate in Europa, anche in siti critici, spesso per i costi inferiori e i sussidi cinesi.
  • Direttiva NIS 2: questa direttiva UE mira a rafforzare la cybersicurezza in settori critici, e la sua implementazione nazionale potrebbe portare a ulteriori requisiti o restrizioni.

La posta in gioco è la sovranità digitale

In definitiva, la decisione del Canada non è un mero atto politico isolato, ma riflette una consapevolezza sempre più profonda e una determinazione incrollabile da parte delle nazioni democratiche nel tutelare la propria sicurezza nazionale e i diritti umani di fronte a fornitori tecnologici strettamente legati a stati autoritari.

Il caso Hikvision serve da monito inequivocabile per la necessità di una due diligence estremamente rigorosa e l’adozione di politiche chiare e inamovibili in un panorama tecnologico globale sempre più interconnesso e carico di pericoli intrinseci.

La posta in gioco è la sovranità tecnologica, la sicurezza collettiva e l’integrità stessa dei sistemi democratici globali.



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