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Cibo: studio, clima e prezzi allontanano obiettivo “fame zero”


Mentre il Vertice Onu sui sistemi alimentari, co-presieduto da Italia ed Etiopia, è in corso ad Addis Abeba, un campanello d’allarme arriva da uno studio internazionale stilato nei giorni scorsi da sei organizzazioni di ricerca europee, pubblicato sulla rivista Environmental research letters. Il titolo è eloquente e prospetta una strada tutta in salita per raggiungere l’obiettivo “fame zero” entro il 2030: “Estremi climatici, impennate dei prezzi alimentari e i loro rischi sociali più ampi”.
La ricerca documenta 16 casi di impennate dei prezzi alimentari tra il 2022 e il 2024, connessi a fenomeni meteorologici resi più estremi dal clima che cambia in 18 Paesi, Italia compresa. Ulteriore motivo di allarme è il fatto che gli ingredienti di questa ricetta minacciosa per la sicurezza alimentare dell’umanità si mischiano il più delle volte in paesi poveri, teatro di conflitti ed eventi meteorologici dalla potenza devastante. Sicuramente, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha avuto e sta avendo conseguenze gravi sull’approvvigionamento di cereali – in particolare in Africa – con un rincaro dei costi di produzione che si ripercuotano sui prezzi di vendita per i consumatori.
Oltre ai conflitti lunghi e a ripetizione – come quello in Sudan e nell’est della Repubblica democratica del Congo – l’umanità deve fare i conti anche con il moltiplicarsi di eventi climatici estremi a partire dal 2022, che a loro volta hanno avuto un forte impasto sul costo di diversi alimenti.
Lo studio cita, tra i tanti cibi colpiti, il cavolo sudcoreano, la lattuga australiana, il riso giapponese, le cipolle in India, il caffè brasiliano e il cacao ghanese, mostrando come i rincari spesso localizzati abbiano effetti globali in un mondo sempre più interconnesso.
“Finché non raggiungeremo emissioni nette pari a zero, gli eventi meteorologici estremi non faranno che peggiorare, ma stanno già danneggiando i raccolti e fanno aumentare i prezzi dei prodotti alimentari in tutto il mondo, cambiando il carrello della spesa”, ha commentato il ricercatore tedesco Maximilian Kotz del Barcelona Supercomputing Centre, che ha guidato lo studio. Sulla consapevolezza della gente, Kotz ha precisato che “le persone se ne stanno accorgendo, perché l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari è al secondo posto nella lista degli impatti climatici che vedono nelle loro vite, secondo solo al caldo estremo stesso”, sottolineando che le famiglie a basso reddito sono spesso le più colpite quando “il prezzo del cibo sale alle stelle”.
Nel caso dell’Italia, il costo del cibo è aumentato del 3,2% il mese scorso, rispetto a giugno 2024. Un caso emblematico è quello dell’olio di oliva, il cui prezzo ha segnato un aumento del 50% su base annua, prendendo come riferimento gennaio 2024 in tutta l’Unione europea, come conseguenza della grave siccità che tra 2022 e 2023 ha colpito Spagna e Italia, i due principali produttori.
Ma, oltre a ‘guardare’ all’orto di casa, lo studio evidenzia le interconnessioni globali nei rincari di alcune materie prime alimentarie, che vanno ben oltre i confini nazionali. Come effetto di una prolungata siccità nel 2023 in Costa d’Avorio e Ghana – che insieme producono il 60% del cacao mondiale – lo scorso anno i prezzi globali della fava di cacao sono aumentati di circa il 300%. Lo stesso pesante rincaro si è verificato con il caffè, dopo ondate di calore e di siccità anomale in Brasile e in Vietnam nel 2024.
L’India, invece, è stata colpita dalla crisi delle cipolle, ortaggio fondamentale nella cucina nazionale, il cui rincaro ha causato addirittura una crisi di governo. L’anno scorso, per l’ondata di caldo davvero estremo dal mese di maggio, cipolle e patate made in India hanno visto quasi raddoppiare il loro prezzo. Lo stesso fenomeno ha colpito gli ortaggi in Cina e tutti i prodotti agricoli in Pakistan dopo le inondazioni del 2022. Ma in Asia sono andati male anche il cavolo coreano e il riso giapponese.
La volata dei prezzi indotta dal clima viene definita dagli studiosi un catalizzatore di rischi per l’intera società, soprattutto per le famiglie a basso reddito costrette a ricorrere a opzioni di acquisto più economiche, a tagliare alimenti nutrienti come frutta e ortaggi, rinunciando ad altri acquisti essenziali. Peggio ancora quando i rincari si verificano nei paesi più caldi e tipicamente poveri, come spesso accade, i danni sociali sono amplificati.
Le conseguenze negative dei prezzi sulla qualità delle diete si misurano anche in termini di salute pubblica – con malattie croniche – e relative spese sanitarie. La mancata stabilità dei prezzi degli alimenti rappresenta un rischio poi sui mercati nazionali e nei mercati globali, con un effetto inflazionista gravoso soprattutto per le economie in via di sviluppo. Le cosiddette ‘rivolte per il pane’ risalgono soltanto al 2008-2011.
“I rischi per la sicurezza alimentare, la salute e la stabilità monetaria e politica che evidenziamo implicano complesse interazioni tra sistemi ambientali e socioeconomici”, conclude lo studio, suggerendo urgenti politiche verso emissioni nette zero, oltre a politiche di resilienza e adattamento a lungo termine.
I ricercatori citano la sostituzione delle colture, la gestione dell’acqua in agricoltura, un miglior equilibrio tra la produzione locale e il commercio internazionale oltre a provvedimenti che fanno leva dei sussidi agricoli e per l’accessibilità economica del cibo con programmi di sicurezza sociale indicizzati e reti di sicurezza nutrizionale rivolte a gruppi a rischio.
Questo trend allarmante dovrebbe essere confermato anche dall’annuale rapporto della FAO, intitolato State of Food Security and Nutrition 2025 (Sofi), che sarà lanciato domani ad Addis Abeba, intitolato “Addressing high food price inflation for food security and nutrition”. Si sofferma sulla minaccia che i prezzi elevati degli alimenti – esacerbati dai conflitti, dagli shock climatici, dall’instabilità economica – rappresentano in particolare per i paesi vulnerabili e a basso reddito. (AGI)
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