Preferisce chiamarla intelligenza aumentata Alberto Tripi, 40 anni di esperienza come imprenditore nell’industria hi-tech italiana, presidente di Almaviva e del Sounding Board Intelligenza Artificiale di Confindustria, il gruppo di lavoro creato in viale dell’Astronomia per “dare il la” sulla tecnologia destinata a trasformare l’economia, e non solo. A 85 anni Tripi mette, quindi, la sua esperienza e la sua saggezza al servizio della principale sfida che il sistema delle imprese si trova ad affrontare. Gli piace dire, citando Abramo Lincoln, che non contano gli anni della tua vita, ma la vita che metti in quegli anni.
Il board ha prodotto un report che fotografa il livello di adozione dell’AI in Italia, analizza 241 casi d’uso, dà le prime linee guide e ha stretto un’alleanza generazionale con i giovani di Confindustria. “Stiamo lavorando per formare una vera e propria cultura dell’intelligenza artificiale”, spiega Tripi, che in questa intervista a EconomyUp affronta i temi legati alla diffusione dell’AI nelle imprese italiane e non solo, perché “la rivoluzione riguarda anche la pubblica amministrazione e l’intera società”.
Presidente, come nasce il “Sounding Board” di Confindustria e perché si chiama così?
Il “Sounding Board” per l’Intelligenza Artificiale nasce come un gruppo di lavoro informale all’interno di Confindustria. Siamo un gruppo di imprenditori e presidenti di associazioni di categoria e di grandi territoriali che, per usare un termine che mi piace, provano a far “suonare” qualcosa di nuovo rispetto all’IA. Tutti parlano di intelligenza artificiale ormai, perché l’argomento è affascinate ed è diventato come il calcio: tutti si sentono un po’ attaccanti e allenatori, magari perché hanno letto qualche libro o visto qualche film di fantascienza. Noi vogliamo trasmettere un messaggio chiaro: l’intelligenza artificiale non è un mostro da temere, ma una risorsa potente, capace di migliorare e trasformare il nostro Paese.
Non sembra un messaggio difficile…
No, ma non è neanche così semplice, visto che il 99% della struttura economica è fatto da piccole e medie imprese, che la propensione all’innovazione non è alta e che sull’argomento circolano troppi stereotipi e allarmismi. Non siamo di fronte a una minaccia al nostro modello sociale, ma a un fattore di potenziamento. Ma dobbiamo comprenderlo perché accada. Per questo vogliamo procedere in modo pragmatico, partendo dall’informazione e dalla formazione delle nostre imprese. Quindi il nostro lavoro non si limita a raccogliere dati, ma a creare una vera e propria cultura che va ben oltre l’adozione di una tecnologia. Anche per questo lo abbiamo chiamato Sounding Board e non gruppo tecnico, come di solito si fa in Confindustria. Noi non dobbiamo analizzare quali sono i software migliori, dobbiamo creare consapevolezza, dare linee guida e sgombrare il campo da quegli stereotipi che ricordavo prima.
Nel report “L’AI per il Sistema Italia” viene ricordato che l’adozione dell’IA in Italia è ancora bassa rispetto ad altri Paesi europei: l’8,2% contro il 13,5% della media UE secondo l’ISTAT. Che cosa frena ancora il sistema economico italiano?
È vero, purtroppo siamo ancora un po’ indietro. Ma bisogna fare attenzione a come si analizzano i dati. Bisogna considerare che molte piccole aziende italiane, anche se non lo sanno, usano già l’intelligenza artificiale, magari attraverso soluzioni di digitalizzazione dei processi aziendali o software di contabilità. Quello che dobbiamo fare ora è stimolare l’adozione in modo strutturato, puntando sulle competenze digitali, tanto nel settore ICT quanto tra i lavoratori in generale. C’è poi un altro motivo per cui possiamo e dobbiamo essere ottimisti.
Quale presidente?
Le aziende italiane hanno un vantaggio enorme: sono capaci di gestire il caos. Siamo molto più veloci ad adattarci alle difficoltà di un mercato che cambia rispetto ad altri Paesi forse più ordinati ma più rigidi, e questo vantaggio, se lo sfruttiamo, ci permetterà di recuperare il gap molto rapidamente. Lo abbiamo visto durante il difficile e drammatico periodo del Covid: siamo tra i Paesi che ne sono usciti meglio e più velocemente. Lo dico in altro modo: l’uomo colto è colui che riesce a comprendere meglio di altri lo stato delle cose, adattarsi e trovare le vie di uscita. L’uomo stupido è quello che ripete pedissequamente quello che gli è stato detto di fare.
Il Sounding Board ha fatto un accordo con i Giovani Imprenditori di Confindustria, con cui ha da poco organizzato un evento sull’AI a Ponza. Serve un’alleanza fra generazioni per affrontare le sfide dell’intelligenza artificiale? Fra imprese mature e nuove imprese?
Per favore, non mi parli di imprese mature. Che cosa vuol dire impresa matura? Per me ci sono imprese che riescono a stare bene sul mercato e imprese che non ce la fanno a produrre servizi o prodotti competitivi ed economicamente sostenibili. Queste seconde non sono imprese mature, sono imprese stanche, poco innovative, che non sono ringiovanite nella leadership.
Ecco, torniamo all’alleanza con i giovani e al rinnovamento generazionale…
L’alleanza con i Giovani Imprenditori è pensata proprio per portare un’energia nuova all’interno delle aziende, in particolare quelle familiari, dove spesso si fatica a innovare. I giovani hanno una marcia in più, sono più aperti e più disposti a correre rischi. Noi, d’altro canto, mettiamo a disposizione loro l’esperienza e una visione più matura. È una vera e propria sinergia. Il movimento dei Giovani Imprenditori, inoltre, è fondamentale per sensibilizzare soprattutto le PMI sull’importanza del digitale, portando direttamente il messaggio alle imprese. Nell’evento che abbiamo organizzato l’11 luglio a Ponza, con i Giovani Imprenditori del Lazio, abbiamo parlato proprio di come l’IA può aiutare a fare un salto in avanti, quello necessario nei prossimi cinque anni: aumentare la produttività e la competitività. L’idea è proprio quella di coinvolgerli e insieme far capire che l’IA è una vera e propria opportunità e non un rischio.
Che cosa ci dicono i 241 use case analizzati nel vostro report? Quali sono le opportunità e i rischi che emergono?
Quelli che abbiamo analizzato non sono casi di studio teorici, ma applicazioni concrete di IA in aziende italiane. Stiamo parlando di realtà che, in molti casi, non sono multinazionali, ma piccole e medie imprese che già utilizzano l’intelligenza artificiale in settori chiave come il manifatturiero, le scienze della vita, il turismo e la pubblica amministrazione. L’opportunità più grande sta nel fatto che l’intelligenza artificiale è vista da noi come uno strumento per potenziare l’intelligenza umana, non per sostituirla. Più che di “intelligenza artificiale” a me piace parlare di “intelligenza aumentata”. Questo è fondamentale: l’IA non deve essere una minaccia per il lavoro, ma un’opportunità per liberare risorse e spostarle verso attività di maggiore valore aggiunto. Se, invece, l’approccio diventa puramente tecnologico, senza considerare l’importanza del ruolo umano, allora sì, c’è il rischio che si crei un divario, con un impatto negativo sul sistema.
Come vanno accompagnate le imprese e il Paese in questo percorso di “AI Transformation”?
Il primo passo è sicuramente quello di introdurre l’IA nei settori industriali in cui siamo già forti. Ad esempio, nel manifatturiero e nelle scienze della vita, l’adozione dell’IA è già un motore di innovazione. La vera sfida è riuscire a farla evolvere a misura delle esigenze specifiche delle nostre industrie. Un altro aspetto importante riguarda lo sviluppo di un’industria europea dell’intelligenza artificiale. Noi italiani possiamo essere protagonisti di questo sviluppo, ma dobbiamo saper creare soluzioni che siano non solo innovative, ma anche sostenibili e applicabili al nostro sistema industriale.
Il 2 agosto entrano in vigore le regole per i modelli di AI a uso generale. Alcune associazioni di categoria di Confindustria hanno chiesto un rinvio di due anni. Preoccupa, quindi, l’impatto della normativa sulle imprese italiane? Quali sono le sfide che attendono le imprese?
Io ho provato a leggerle queste regole, ma sono talmente complesse che anche con la mia esperienza faccio fatica. Figuriamoci un piccolo imprenditore. C’è sempre la necessità di regole, e questo non si discute. Tuttavia, il rischio è che la nuova normativa sull’intelligenza artificiale, con la sua complessità, possa diventare un ostacolo per le imprese. Le normative devono essere chiare e facili da applicare. In Italia e in Europa stiamo già affrontando un mosaico di leggi e regolamenti digitali, che spesso si sovrappongono e creano confusione. Le PMI, che non hanno le risorse per affrontare una burocrazia complessa, potrebbero semplicemente decidere di non entrare nel campo dell’IA, per paura di non rispettare le normative. Questo sarebbe un fallimento per tutti. È necessario semplificare e, soprattutto, fare in modo che le regole non diventino un freno ma uno stimolo per l’innovazione.
Quindi, regole sì ma lacci e lacciuoli no…
Ripeto: le regole sono necessarie, anche perché dobbiamo favorire lo sviluppo di un’intelligenza artificiale che sia rispettosa delle persone, dei gruppi sociali e della convivenza democratica. Ma dobbiamo creare un ambiente favorevole all’innovazione e alla sua accettazione. la regolamentazione va affrontata con un approccio pragmatico. Le regole devono tutelare i diritti, ma devono anche essere applicabili e sostenibili per le imprese. Solo così potremo sfruttare il potenziale dell’IA e renderla un motore di crescita per l’Italia.
Quali sono le tre raccomandazioni che Confindustria fa alle aziende italiane per avviare il percorso nell’IA?
Le prime due raccomandazioni sono chiare. Primo, le aziende non devono adottare soluzioni di IA “calate dall’alto”, ma devono coinvolgere l’intera organizzazione nel processo. Secondo, devono garantire l’accesso a dati di alta qualità, perché gli algoritmi funzionano bene solo se i dati sono ben strutturati. Infine, il terzo elemento è lo sviluppo di una cultura dell’innovazione. Non serve solo il tecnico esperto in IA, ma persone curiose, che siano aperte al cambiamento e pronte a innovare. Sicuramente, poi, occorre anche un piano strutturato per la formazione di figure professionali con competenze tecniche, digitali e in generale nelle materie STEM che, purtroppo, continuano a mancare. Questa per le imprese è una vera urgenza.
Ingegnere, per chiudere, lei ha visto tanti cambiamenti e tante ondate tecnologiche nel corso della sua carriera manageriale prima e imprenditoriale dopo. Cosa c’è di diverso nell’AI?
L’intelligenza artificiale è più veloce, più profonda, più pervasiva. Ogni tecnologia che permette all’uomo di “fare di più”, in qualche modo allunga la vita, nel senso che la rende più piena. Oggi possiamo fare in un anno quello che un tempo si faceva in dieci. E l’AI accelera ancora di più questo processo. Ma va sempre guidata dall’uomo. L’automazione esiste da decenni: la differenza ora è che possiamo fare simulazioni, analisi predittive, decidere prima ancora di produrre. Ma la decisione resta dell’imprenditore.
In che senso?
Faccio un esempio. Un imprenditore deve acquistare materie prime. Le banche dati gli dicono dove sono e a che prezzo. Ma è sempre lui a scegliere, a valutare in base alla sua esperienza, al suo “fiuto”. Lo stesso vale per il controllo della produzione, per il marketing, per i canali di vendita. L’AI è uno strumento potentissimo, ma da solo non basta. È come una potentissima calcolatrice: può fare conti assai complessi, ma è l’uomo che deve sapere che cosa fare con quei numeri.
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